caso Taricco
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Caso Taricco: cosa c’è da sapere?

Una delle domande più gettonate dell’esame di diritto penale (ma anche di diritto dell’Unione europea) è certamente la Sentenza Taricco.

È fondamentale conoscere gli accadimenti, seppur in forma non eccessivamente dettagliata, e i principi di diritto che sono stati affermati.

Una decisione importantissima, sebbene spesso foriera di dubbi e perplessità. In questo nuovo articolo di Ripetiamo Diritto cerchiamo di rendere più semplice il contenuto, ma soprattutto i passaggi fondamentali.

Il caso

Il caso Taricco nasce da un rinvio pregiudiziale fatto dal GUP di Cuneo, davanti al quale era stato incardinato un procedimento penale che vedeva il signor Taricco, e altri soggetti, imputati di reati fiscali riguardanti l’IVA. Specificatamente gli imputati avevano creato società fittizie, con sede in altri stati dell’UE, dalle quali la società italiana, in cui erano coinvolti gli imputati, acquistava bottiglie di champagne. Le società con sede in altri stati dell’UE erano state create ad hoc.

C’era, quindi, un passaggio commerciale a titolo oneroso tra lo Stato italiano e un altro stato dell’UE; per cui questa operazione rientrava nel campo di applicazione della direttiva del 2006 n. 112 (emanata dal Consiglio) secondo cui tali attività erano considerate esenti dall’IVA. Le bottiglie venivano, poi, vendute a società estere che emettevano fatture alla società italiana, registrandole così negli appositi registri. A seguito di ciò venivano presentate dichiarazioni IVA fraudolente.

Il giudice italiano, dal momento che sussisteva l’intento fraudolento, rinviava a giudizio. In questa fase, però, il magistrato fece una riflessione: i reati imputati ai soggetti avevano un termine di prescrizione di 8 anni e, di certo, in considerazione delle tempistiche molto lunghe dei processi italiani, non si sarebbe arrivati in tempo ad una sentenza di condanna.

Dato che gli imputati avevano utilizzato la direttiva UE a proprio vantaggio, la stessa è compatibile con la nostra disciplina degli artt. 160 e 161 c.p. relativi alla prescrizione? La nostra normativa sulla prescrizione non dovrebbe applicarsi per consentire la piena efficacia del diritto dell’UE?

Per rispondere a tutte queste domande il GUP, con ordinanza, faceva rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiedendo di chiarire se l’art. 160 ultima comma c.p. comportava una violazione della concorrenza specificata nel trattato dell’Unione europea.

L’intervento della Corte di Giustizia

I giudici europei specificavano che non era possibile coordinare la disciplina della concorrenza europea con quella della prescrizione nazionale.

Ancora, la Corte di Giustizia risponde al quesito del GUP sottolineando che questa direttiva non può essere considerata in modo isolato, ma va interpretata alla luce dell’art. 4 del TUE e alla luce dei paragrafi 1 e 2 del 325 TFUE. Questo articolo, in particolare, a detta della Corte, obbliga gli Stati membri a lottare contro qualsiasi condotta che possa intaccare il mercato europeo, in particolare ordina di combattere la frode mettendo in campo tutte le energie. In tal caso, specificatamente, la frode all’IVA ledeva gli interessi economici dell’Unione.

Pertanto, i giudici europei conclusero nel senso della disapplicazione della disciplina italiana in tema di prescrizione quando si tratta di frode grave.

Le questioni più rilevanti

L’istituto della prescrizione, nell’ordinamento italiano, è disciplinato da norme sostanziali contenute nel codice penale, non da norme procedurali. Quando si parla di norme penali sostanziali (come quelle che definiscono gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati o le cause di giustificazione) è necessario rispettare il principio di legalità ex art. 25, comma 2, Cost.

La Corte di Giustizia può ordinare la disapplicazione di norme penali, ma non può farlo laddove questa disapplicazione andrebbe a ledere degli interessi fondamentali dell’ordinamento penale. E ciò in piena conformità alla cosiddetta teoria dei controlimiti, in base alla quale non è possibile intaccare i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale.

Inoltre, l’effetto dell’intervento della Corte di Giustizia, su quello e su altri processi riguardanti reati attinenti a interessi finanziari europei, sarebbe stato, sostanzialmente, quello di azzerare i termini di prescrizione. “Azzerare” nel senso di rendere inesistenti tali termini; i reati sarebbero diventati imprescrittibili.

Quindi, sia la Corte di Appello di Milano che la Corte di Cassazione sollevano questione di legittimità costituzionale. Il ricorso alla Corte costituzionale era sostenuto dalla suddetta natura di norma sostanziale della prescrizione. Ad esempio, infatti, ad essa deve essere applicato il principio di irretroattività della norma penale (corollario del principio di legalità poc’anzi richiamato). La disapplicazione della normativa sulla prescrizione nel caso Taricco, infatti, avrebbe comportato una conseguenza sfavorevole per gli imputati di tale processo. Questi avevano commesso il reato confidando in un certo termine di prescrizione; disapplicando tale disciplina, ovvero comunque individuando un termine più lungo o, addirittura, l’imprescrittibilità, gli imputati non avrebbero conosciuto le reali conseguenze a cui sarebbero andati incontro.

La Corte costituzionale si è trovata dunque a un bivio: accettare l’interpretazione della Corte di Giustizia, oppure provare ad aprire un dialogo con i giudici europei, dato che una questione di tale genere avrebbe intaccato i rapporti tra UE e Italia. Quindi fa un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con ordinanza n. 24 del 2017 e chiede se la “regola” Taricco (ovvero la non applicazione della normativa sulla prescrizione in caso di frode grave e nel caso in cui sia perpetuata in una serie innumerevoli di casi) debba essere applicata anche qualora ci fosse una base legale sufficientemente determinata, ovvero se nell’ordinamento dello Stato membro la  prescrizione fosse parte del diritto penale sostanziale con tutte le relative conseguenze del caso, tra cui la soggezione al principio di legalità e il conseguente contrasto con i principi costituzionale dello Stato membro.

La Corte costituzionale dà la possibilità alla Corte di Giustizia di correggere il tiro e chiarire quando tale regola Taricco debba trovare applicazione. A ben vedere, infatti, il rispetto della legalità penale non è sancito solo nella Costituzione italiana, ma anche nell’art. 49 della Carta dei diritti dell’Unione Europea. Quindi, la Corte di Giustizia, qualora avesse confermato la sua scelta, sarebbe andata contro anche alla Carta di Nizza.

La Corte di Giustizia, nella sentenza definita “Taricco seconda”, sembra accogliere le richieste della Corte costituzionale. In prima battuta, i giudici europei riconoscono la non valutazione dell’art 49 e sottolineano come è necessario rispettare il principio di legalità definito negli ordinamenti nazionali, ma successivamente specificano che le norme sulla prescrizione hanno natura processuale non sostanziale e, di conseguenza, non si applicherebbe il principio di legalità. Quindi i reati contro gli interessi finanziari dell’Unione sarebbero sempre punibili.

La conclusione

La Corte Costituzionale con sentenza n. 115 del 2018 non si preoccupa di chiarire perché la prescrizione abbia natura sostanziale piuttosto che processuale, ma dal momento che è un istituto disciplinato dal diritto penale (e non dal diritto processuale) deve essere rispettato il principio di legalità. Quindi la “regola Taricco” non troverebbe alcuna applicazione nel nostro ordinamento, perché determinerebbe una modifica in peius della prescrizione, in contrasto con il principio di irretroattività della norma più sfavorevole, corollario del suddetto principio di legalità (che integra il fondamento della teoria dei controlimiti).

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Fonti normative:

  • direttiva UE del 2006 n. 112;
  • artt. 160 e 161 c.p.;
  • art. 4 TUE;
  • art. 325 TFUE;
  • art. 25, comma 2, Cost.;
  • ordinanza n. 24 del 2017;
  • sentenza Corte Costituzionale n. 115 del 2018;
  • art 49 Carta dei diritti dell’Unione europea;