Lavoro e interesse collettivo sindacale
Il singolo lavoratore, in un’economia di mercato, per far fronte alla situazione di debolezza in cui si trova tende ad unirsi ad altri individui nelle sue stesse condizioni così da contrattare le regole del rapporto di lavoro. Tale dinamica è tipica della subordinazione. Quella di aggregarsi è una scelta di necessità del singolo perché consente una difesa rispetto al datore di lavoro. È un fenomeno molto antico che quindi precede il piano giuridico. Quindi il piano sindacale è strettamente collegato alla logica di libertà, delle condizioni di lavoro del lavoratore.
Se tale fenomeno nasce per sostenere la sfera individuale non si risolve in questa, altrimenti l’individuale non ricorrerebbe al collettivo. Nel nostro ordinamento non c’è un espressa nozione di interesse collettivo per cui si fa riferimento ad una nozione classica secondo la quale tale interesse, indivisibile, è volto a realizzare il bisogno della collettività ed è una sintesi degli interessi individuali a cui risulta superiore, in quanto riferito all’organizzazione sindacale.
Nel momento in cui ci si aggrega, infatti, il singolo deve essere disposto a sacrificare, o comunque a mettere in discussione, il proprio “ideale” vantaggio così da coordinarsi con gli altri. In tal modo si ha un processo di formazione di volontà da parte di una pluralità organizzata di persone. Gli interessi individuali sono il punto di partenza per il raccordo intersoggettivo.
Ad oggi la posizione sovraindividuale del fenomeno sindacale si è arricchita di molti significati. In primo luogo essa è strumentale alla tutela del lavoro e quindi ai valori della persona e della cittadinanza. In secondo luogo essa è correlata al ruolo del sindacato sul versante politico economico.
L’interesse collettivo sindacale è tipico ed è connaturato a relazioni di lavoro contraddistinte da uno squilibrio socio-economico che si riflette sui conseguenti poteri giuridici della organizzazione deputata alla sua realizzazione. Ad ogni modo il singolo lavoratore subordinato viene tutelato dal “collettivo” e tale protezione, per essere adeguata, impone un sacrificio della libertà di scelta dei singoli.
Ai sensi dell’articolo 39 comma 1 della Costituzione il singolo ha la fondamentale libertà sindacale di fuoriuscire da un gruppo, di creare o di aderire a un altro gruppo o anche di rimanere inattivo cioè di non aggregarsi ad alcuna organizzazione sindacale.
Coesistono varie organizzazioni sindacali che possono assumere la veste di coalizioni occasionali, sorte anche solo per una specifica e breve controversia, o figure più stabili. Ogni organizzazione può esprimere un siffatto interesse collettivo.
Soggetti sindacali e moduli organizzativi
L’articolo 39 della Costituzione ha un ruolo fondamentale in quanto assicura al soggetto sindacale la massima apertura e la più ampia scelta di moduli e strutture. Una classica distinzione è quella tra sindacato di mestiere e sindacato per ramo d’industria. Il primo fa riferimento al mestiere esercitato dai lavoratori, ad esempio il sindacato dei piloti di aeromobili o dei macchinisti di treni. Il secondo criterio, più diffuso nel nostro paese, considera l’attività svolta, non dai lavoratori, ma dalle imprese è il caso della Fiom (ovvero la Federazione Italiana Operai Metalmeccanici) e la filca (Federazione Italiana Lavoratori Costruzioni e affini).
Altra distinzione di massima e quella tra sindacati confederali e sindacati autonomi. Le confederazioni più note sono la CGIL, (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), la CISL (Confederazione Italiana Sindacati Liberi) e la UIL (Unione Italiana del Lavoro) e hanno differenti ispirazioni politico-culturali ma una visione ampia e solidaristica del mondo del lavoro.
In esse vi si sono confederate diverse organizzazioni sindacali di categoria ad esempio nella CGIL si sono confederate la Fiom, nella CISL la fim, la fit, eccetera.
Un cenno meritano le più recenti strutture intercategoriali per i lavoratori cosiddetti atipici e parasubordinati come la nidil-cgil (nuove identità di lavoro).
A livello europeo CGIL CISL e UIL aderiscono alla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) sorta a Bruxelles nel 1973 nonché alla Confederazione Sindacale Internazionale (CIS) costituita a Vienna nel 2006.
Sono, invece, autonome le organizzazioni sindacali sorte per la tutela di interessi più circoscritti di specifiche professioni o determinati settori, soprattutto nei servizi e nelle pubbliche amministrazioni. Nel tempo la distinzione tra quelle autonome e le confederazioni ha assunto minor significato in quanto le federazioni autonome hanno dato luogo a fenomeni di accorpamento e di associazione di tipo confederale.
Meno assestate da un punto di vista organizzativo con un’impronta conflittuale accentuata sono i soggetti sindacali, come i Cobas (confederazione dei comitati di base), diffusi soprattutto tra i docenti della scuola secondaria e i macchinisti delle ferrovie.
Bisogna anche considerare il nesso che c’è tra i sindacati e partiti politici. Tale nesso al giorno d’oggi è meno evidente ma dopo la prima repubblica era molto più stretto. Ad esempio la CISL viene fuori da formazioni politiche di area cattolica, mentre la UIL da quelle di centro-sinistra e la CGIL dalla sinistra.
Nonostante queste tre confederazioni non daranno mai più vita ad una unità formale procederanno ad una unità di azione che avrà un ruolo decisivo nello sviluppo dell’esperienza sindacale.
Mentre le federazioni esercitano la rappresentanza dei lavoratori nell’ambito di riferimento rappresentato e svolgono le attività di contrattazione collettiva per la categoria produttiva, le confederazioni si occupano della definizione delle strategie dell’azione politico sindacale e del conseguente indirizzo e coordinamento nei confronti delle federazioni aderenti; stipulano accordi sindacali di massimo livello, gli accordi interconfederali, volti a indicare o definire discipline uniformi per una pluralità di categoria.
La distinzione tra federazione e confederazione è collegata a una classica differenziazione tra strutture sindacali verticali e orizzontali.
Le prime riflettono l’articolazione interna sul territorio di ciascuna associazione (federazione) di categoria che, alla dimensione (struttura) nazionale, aggiunge diversi livelli organizzativi interni in corrispondenza dei vari ambiti territoriali istituzionali (di solito regionale e provinciale). La Fiom oltre la sua struttura nazionale avrà un’articolazione di livello regionale, ovvero la Fiom Lombardia e la Fiom Campania e una a livello provinciale la Fiom Milano e la Fiom Napoli. La dimensione orizzontale si riferisce alle corrispondenti articolazioni intercategoriali sul territorio delle Confederazioni, a loro volta strutturate in livelli regionali e territoriali per lo più provinciali (come la camera del lavoro per la CGIL).
In relazione alle organizzazioni dei datori di lavoro faremo rinvio al successivo paragrafo 4. Anche qui troviamo un’articolazione verticale, associazioni o federazioni di categoria e una orizzontale, corrispondenti confederazioni. Possiamo ad esempio ricordare Confindustria, Confcommercio o Confagricoltura, ciascuna con le proprie articolazioni sul territorio a livello regionale, nazionale o provinciale. A differenza dell’associazionismo dei lavoratori, le confederazioni delle imprese fanno riferimento ai grandi settori economici come l’industria, l’agricoltura e il commercio.
Non mancano altri criteri organizzativi; ad esempio alle imprese di piccole dimensioni fanno riferimento la Confapi nell’industria e la Coldiretti per i coltivatori diretti. Anche sul versante datoriale ci sono organizzazioni a livello europeo come ad esempio UAPME, ovvero l’Unione Europea degli artigiani e delle piccole e medie imprese. Nell’ambito delle organizzazioni datoriali ci sono due contrapposte tendenze: da un lato l’aggregazione in strutture associative che accorpano ambiti più estesi di rappresentanza (come ad esempio la rete imprese Italia, ovvero un organismo di rappresentanza unitaria di 5 importanti associazioni datoriali delle piccole e medie imprese commerciali e artigiani); dall’altro lato c’è la tendenza verso una articolazione e una frammentazione organizzativa (spicca l’uscita della Fiat da Confindustria nel gennaio del 2012).
Contrattazione collettiva e sua struttura
Le organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che dei datori, nelle loro articolazioni verticali e orizzontali, danno vita a una serie di relazioni volte a generare e a regolamentare i rapporti di lavoro, ovvero la cosiddetta contrattazione collettiva. Originariamente tale espressione faceva riferimento a prassi e comportamenti periodici finalizzati alla stipula dei contratti collettivi. Negli ultimi anni ha assunto accezione più ampia, estendendosi a tutta una serie di relazioni anche informali e continue che riguardano l’applicazione del contratto collettivo e altri moduli di interazione tra le parti sociali. La contrattazione collettiva è fondamentale nel sistema delle relazioni industriali e riflette l’articolazione della organizzazione sindacale.
L’organizzazione sindacale, nel suo sviluppo, assume una determinata struttura con diversi livelli, soggetti, competenze e procedure. L’esperienza italiana mostra tre livelli di contrattazione: interconfederale, di categoria e decentrato. Gli accordi interconfederali sono stipulati dalle confederazioni quando lo ritengano opportuno al fine di dare indicazioni o regolazioni minime e uniformi per più categorie.
È il caso degli accordi degli anni 50 in materia di licenziamenti. Il contratto di categoria (ccnl) è invece volto a regolare a livello nazionale i rapporti individuali di lavoro, la cosiddetta parte normativa, e le relazioni collettive, ovvero la parte obbligatoria. Sono le parti sociali a individuare concretamente i confini di tale categoria. In genere tale categoria si identifica con la categoria produttiva. A livello decentrato il contratto collettivo può essere territoriale o aziendale. Questo è il livello deputato a definire gli istituti del rapporto di lavoro più strettamente legate ai singoli contesti produttivi e organizzativi. Il contratto territoriale, di limitata applicazione, si stipula a livello provinciale nei settori dell’edilizia del commercio e dell’Agricoltura e a livello regionale nel settore dell’Artigianato. A livello aziendale il contratto collettivo riguarda per lo più la singola impresa, talvolta anche solo uno stabile o una filiale. Generalmente a stipularlo sono le imprese medio grandi.
In relazione alla diffusione dei tre modelli si specifica che in linea di massima le fasi di difficoltà o di scarso sviluppo economico e le ridotte dimensione delle imprese favoriscono l’accentramento della struttura contrattuale. Il positivo andamento del ciclo economico, che implica maggiore competitività tra le imprese, determina una maggiore decentramento.
Negli anni 50 si rileva un predominio del livello interconfederale e poi una graduale apertura per i contratti di categoria stipulati dalle varie federazioni. Ma quest’ultimi prenderanno piede solo alla fine del decennio. Sempre in questi anni subentra la contrattazione aziendale, ovvero quella articolata (predomina il ccnl ma esso rimette alcune materie a quella aziendale).
Nei successivi decenni si registra un andamento più altalenante. Dopo il boom economico e la centralità della classe operaia ci fu il cosiddetto autunno caldo e il CCNL del 1969 segnano la fine della contrattazione articolata: dunque un’autonomia tra i vari livelli contrattuali e spazi crescenti per la contrattazione decentrata. La crisi petrolifera spinse il pendolo verso il centro. Mentre l’ampliamento dei mercati e la competizione tra le imprese determinerà una nuova spinta verso il decentramento.
Il protocollo del 23 luglio del 1993 a carattere triangolare (ovvero accordo preso tra tre parti) darà un ruolo centrale al contratto di categoria; ma ad esso le parti affiancheranno un criterio funzionale in virtù del quale al contratto decentrato sono attribuite alcune competenze in primis sulla retribuzione incentivante con il limite della non ripetibilità delle materie le regolate a livello superiore.
Non sarà facile combinare i due livelli. La presenza della contrattazione aziendale nelle imprese medio-grandi e la ridotta diffusione della contrattazione territoriale non risponderanno alla domanda di decentramento delle imprese.
Nel nuovo secolo si passa dalla concertazione al dialogo sociale, ha inizio la marginalizzazione dei grandi sindacati confederali nello scenario politico economico e si ruppe l’unità di azione tra le tre storiche confederazioni, CGIL CISL e UIL. Nel 2009 ci fu un accordo quadro in merito alla riforma degli assetti contrattuali, non sottoscritto dalla CGIL. Tale contratto prevedeva una durata triennale dei contratti e riconferma i due livelli di contrattazione la cui chiave di volta è ancora il contratto di categoria. Il livello decentrato resta competente per alcune materie e in alcuni casi può anche derogare, in via temporanea, alla disciplina degli istituti del contratto nazionale per far fronte a situazioni di crisi.
Successivamente l’accordo interconfederale del 2011 confluì, insieme al protocollo del 2013, nel testo unico sulla rappresentanza sindacale del 2014. Questi nuovi accordi trovano la firma di tutte e tre le storiche confederazioni e cercano di porre fine all’incertezza creata dall’accordo quadro del 2009, non sottoscritto dalla CGIL, proprio perché prevedeva quella possibilità di deroga da parte della contrattazione decentrata. Anche qui è ribadita la struttura gerarchica e il ruolo cardine di coordinamento del contratto di categoria. A tale contratto viene data la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale.
Le parti vogliono favorire lo sviluppo e la diffusione della contrattazione collettiva di secondo livello, le cui competenze sono delegate sia dalla legge che dal contratto collettivo nazionale del lavoro. La contrattazione aziendale potrà modificare il contenuto dei contratti di categoria nei limiti e con le procedure previste dagli stessi contratti collettivi. Si prevede che ove non sia prevista la definizione della materia nell’ambito dei contratti ad altri livelli quella aziendale può definire intese modificative con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione di lavoro.
Con il Patto della fabbrica del marzo 2018 le parti hanno riproposto quanto definito nel testo unico del 2014. Viene ribadita l’articolazione in due livelli della struttura contrattuale, con il CCNL perno regolatore e competente a individuare il cosiddetto tec (trattamento economico complessivo). Viene dato rilievo alla misurazione anche della rappresentatività dei datori di lavoro e alla perimetrazione dei contratti collettivi al fine di contrastare la moltiplicazione e la connessa frammentazione datoriale, specie nei servizi, sovente funzionale ai fenomeni di dumping contrattuale (ossia di contrattazione cosiddetto a ribasso o pirata). Inoltre l’accordo si propone di incentivare lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e quella territoriale.
La tendenza al decentramento ha coinvolto anche il legislatore con l’introduzione nel 2011 del contratto collettivo cosiddetto di prossimità; viene inserito il potere derogatorio espressamente attribuito nei confronti della legge e del contratto collettivo nazionale di lavoro. Tale atto viene considerato da molti di dubbia costituzionalità
La libertà di organizzazione sindacale (articolo 39 comma 1 cost): senso e profili
Il fenomeno sindacale è al centro del disegno della Costituzione e tale assunto viene sottolineato dal precetto “l’organizzazione sindacale è libera”. Libertà e pluralismo si sviluppano nel contesto dei sindacati. Il Costituente segnò una netta discontinuità con il periodo storico e politico precedente.
L’articolo 39 riguardante il sindacato e l’articolo 40 riguardante lo sciopero sono riconosciuti e tutelati attraverso un combinato disposto di libertà massima degli spazi di espressione e di ingerenza minima da parte dell’ordinamento. Il principio di libertà sindacale viene contemplato anche in altri atti come nella convenzione OIL del 1948 e nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Carta sociale Europea e la carta di Nizza del 2000.
L’articolo 39 apre le porte all’aggregazione tra lavoratori, quindi al raccordo e al coordinamento delle prospettive individuali e ne riconosce il fondamento giuridico. Tale articolo si collega anche agli articoli 2 e 3 della Costituzione in quanto l’organizzazione sindacale è riconosciuta come formazione sociale, dove si svolge la personalità del singolo; inoltre è strumento imprescindibile per l’uguaglianza sostanziale.
L’articolo 39 comma 1 riguarda la libertà individuale e quella collettiva nelle sue implicazioni positive e negative. Sul piano individuale la libertà, intesa in senso positivo, copre l’intero fenomeno sindacale, dalla manifestazione del pensiero, all’attività sindacale in senso stretto. Il singolo può costituire un sindacato, aderirvi, contribuire alla sua nascita e al suo sviluppo. La libertà negativa sindacale riguarda la libertà di non aderire ad alcun sindacato ovvero di recedere da quello a cui ci si è iscritti.
Connessi a queste due espressioni di libertà sindacale sono gli articoli 14 e 15 dello Statuto dei lavoratori che danno attuazione alla previsione costituzionale. Il primo riconosce ai lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali di aderirvi e di svolgere attività sindacale con specifico riferimento all’interno dei luoghi di lavoro. Il secondo sancisce la nullità di qualsiasi patto o atto diretto a subordinare l’occupazione di un lavoratore all’adesione o alla non adesione al sindacato. In Italia sono vietate le cosiddette clausole di closed shop, diffuse in America, attraverso le quali i contratti collettivi settoriali o aziendali subordinano l’occupazione del lavoratore alla sua affiliazione sindacale.
Un’altra formula è il cosiddetto pre-entry closed shop che impone al datore di assumere solo gli iscritti al sindacato e un’altra è il post entry closed shop, (ovvero la Union shop) che prevede l’obbligo di far iscrivere al sindacato i lavoratori assunti e dunque di estromettere i lavoratori che non siano iscritti o che non versino le quote associative. Anche tale due clausole sono vietate in Italia.
Connessa alla libertà sindacale e anche l’articolo 16 dello statuto dei lavoratori che vieta i trattamenti economici collettivi discriminatori di maggior favore ai sensi dell’articolo 15 vale a dire per effetto dell’adesione o della non adesione al sindacato. Il giudice può condannare il datore al pagamento di una somma pari ai trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti disponendo il pagamento al fondo adeguamento pensioni presso l’INPS.
Anche il profilo collettivo è inserito nell’articolo 39. L’espressione di importante ampiezza della libertà organizzativa è l’indiscutibile soluzione dell’alternativa tra concezione ontologica e concezione volontaristica della categoria rappresentata dal sindacato. La prima si fonda sull’idea della preesistenza strutturale della categoria medesima. La seconda concezione rimette alla libertà di determinazione del sindacato la scelta dei confini dell’ambito di riferimento. Questa seconda concezione è la sola compatibile con il principio affermato dalla Costituzione.
L’articolo 39 impedisce al legislatore di limitare l’autonomia negoziale dell’organizzazione sindacale possibile solo a salvaguardia di interessi generali e in presenza di situazioni temporalmente circoscritte. Si precisa anche che le organizzazioni sindacali in alcuni casi sono obbligate a trattare con la controparte ma l’ordinamento non può mai imporre ad esse un obbligo di contrarre vale a dire a sottoscrivere per forza un contratto collettivo.
La libertà circa la forma giuridica del sindacato definisce la relazione dell’articolo 39 con l’articolo 18 riguardante la libertà di associazione. L’attività sindacale non viene svolta entro schemi formali predefiniti. Se la forma associativa è quella più comune per il sindacato nel precetto in questione sono comprese anche le formazioni caratterizzate dalla massima informalità come comitati di lotta e le delegazioni di lavoratori.