giudizio arbitrale e irrituale
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Il giudizio arbitrale e irrituale

Profili generali

L’arbitrato è un mezzo di risoluzione delle controversie alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria. Si caratterizza per avere ad oggetto diritti disponibili. Oggi l’arbitrato è regolato dagli articoli 806-840 cpc. La Costituzione non prevede alcuna norma specifica in relazione all’arbitrato; quindi si considera l’articolo 102 comma 1.
Mediante l’arbitrato non c’è una rinuncia alla tutela giurisdizionale ma una sostituzione. Per cui l’articolo 24 Cost. è pienamente rispettato. Esiste, infatti, una alternatività tra arbitrato e giurisdizione in quanto le parti scelgono un arbitro per dirimere la controversia.

Tale momento di alternatività c’è solo all’inizio poiché nel momento in cui il lodo viene sottoscritto dagli arbitri e depositato il procedimento arbitrale rientra nella giurisdizione ordinaria.
L’arbitrato ha natura privatistica; pertanto si basa sul libero consenso e su un compromesso. Quindi non è un antagonista al giudizio civile. Inoltre, il lodo ha gli stessi effetti della sentenza.
Tale istituto è, quindi, utile per diminuire il carico innanzi i giudici civili.

Arbitrato e figure affini

L’articolo 1349 c.c. prevede il cosiddetto arbitramento o arbitraggio. Esso costituisce lo strumento, vincolante per le parti che lo hanno attivato, con il quale si determina un elemento mancante del contratto (ad esempio il prezzo). Pertanto, presuppone un rapporto contrattuale incompleto. L’arbitrato a differenza dell’arbitraggio, invece, ha una base nel rapporto giuridico perfetto, ma controverso.
La perizia contrattuale sussiste quando le parti volgono al terzo, scelto per competenza tecnica, la formulazione di un apprezzamento tecnico. L’arbitro, pur simile nella denominazione, ha aspetti completamente diversi in quanto tutela situazioni giuridiche soggettive.

Le condizioni dell’arbitrato

L’articolo 806 cpc, prima del decreto legislativo 40 del 2006, specificava che le parti potevano far decidere ad arbitri le controversie tra loro insorte, tranne quelle previste negli articoli 409 e 442, quelle che riguardavano questioni di Stato e separazione tra i coniugi e le altre che non potevano formare oggetto di transazione.
Oggi l’articolo 806 cpc specifica: le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge.

È stato tolto ogni riferimento alle controversie relative allo stato di persone e alla separazione personale; inoltre, il limite della transgibilità è stato sostituito con la disponibilità. Oltre la disponibilità dei diritti deve sussistere il rilievo dell’autonomia privata, espressione della libertà negoziale dei privati.
In caso di controversie riguardanti diritti disponibili le parti potrebbero: rinunciare ad essi tramite transazione, affidarle alla giurisdizione civile oppure a degli arbitri.
L’arbitrato è quindi specificazione della autonomia privata in quanto le parti scelgono di devolvervi le controversie. L’atto con cui le parti operano tale scelta è un contratto, la cosiddetta convenzione d’arbitrato, che può assumere due forme. La prima, il compromesso, stabilito nell’articolo 807 cpc, ha ad oggetto una controversia già insorta.

La seconda, è la clausola compromissoria prevista dall’articolo 808 cpc ed è relativa a controversie che potranno insorgere in futuro da un determinato contratto. In tale ultima ipotesi si parla di clausola proprio perché il patto viene inserito all’interno di un regolamento contrattuale. Il compromesso deve, a pena di nullità, essere fatto per iscritto e determinare l’oggetto della controversia. La clausola compromissoria deve risultare da atto avente la forma richiesta per il compromesso.

Dal momento che si deroga alla legge è necessario che il compromesso e la clausola compromissoria siano redatti nel rispetto della legge stessa. Pertanto si utilizza il regime normativo applicabile ai contratti. La convenzione di arbitrato è valida se rispetta l’articolo 1325 c.c.: l’accordo, ovvero la volontà di derogare alla giurisdizione, l’oggetto ovvero il rapporto contrattuale o extracontrattuale, la forma scritta, nonché la causa ovvero il perché far decidere la controversia al giudice privato anziché al giudice statale.

Il compromesso deve determinare l’oggetto della controversia mentre la clausola compromissoria può individuare la controversia successivamente. Ci sono degli elementi accidentali, tra cui la richiesta che gli arbitri pronuncino secondo equità e la fissazione di un termine per la decisione arbitrale. La forma scritta è richiesta ad substantiam.
La riforma operata dal decreto legislativo 40 del 2006 ha specificato che, nel caso di dubbi sull’interpretazione della convenzione d’arbitrato, si deve preferire quella che estende la competenza arbitrale a tutte le controversie che derivino dal rapporto cui la convenzione si riferisce.

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Le origini storiche dell’ arbitrato irrituale

È possibile specificare una forma diversa dall’arbitrato disciplinato dal codice di procedura ovvero l’arbitrato irrituale o anche definito contrattuale. Questo tipo di arbitrato, infatti, esiste indipendentemente da qualsiasi disciplina processuale.
La prima fonte normativa dell’arbitrato irrituale è contenuta nel codice navale, successivamente anche altre norme ne hanno riconosciuto l’esistenza. Ad esempio in materia di conciliazione e riforma del processo del lavoro.

Infine con la riforma del 2006 è stato introdotto l’articolo 808-ter cpc secondo cui le norme in materia di arbitrato trovano applicazione in materia di patto compromissorio, fermo il rispetto del principio del contraddittorio e la sindacabilità in via di azione o di eccezione della decisione per vizi del procedimento.

Profili di identità con l’arbitrato rituale

Per quanto riguarda alcuni aspetti, le due figure sono identiche.
In primo luogo per quanto concerne l’ambito delle controversie: in entrambi i casi il limite è costituito dalla indisponibilità del diritto. In secondo luogo anche nell’arbitrato irrituale la funzione perseguita dalle parti consiste nella risoluzione di una determinata controversia. Le loro diversità sono scolpite nell’articolo 808-ter cpc e consiste nella volontà delle parti di avere un lodo che abbia un regime giuridico e un’efficacia diversa da quella del lodo rituale.

Il lodo rituale può essere depositato presso la cancelleria del Tribunale del luogo in cui è stato pronunciato, e il giudice conferisce con un proprio decreto esecutività alla decisione. Per l’arbitrato irrituale si esclude questo principio. Inoltre, avverso il lodo rituale possono essere esperiti i mezzi di impugnazione previsti dall’articolo 827 cpc, nei confronti del lodo irrituale no. Infatti il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente. Pertanto il lodo irrituale non ha efficacia esecutiva. Quindi se una parte ha necessità di averla dovrà instaurare un procedimento di cognizione.

Nei casi dubbi l’arbitrato deve qualificarsi come rituale. Si specifica inoltre che all’arbitrato irrituale si applicano tutte le norme del codice di procedura civile che non siano incompatibili con le caratteristiche proprie del lodo contrattuale. In genere nel caso in cui le parti preferiscano una celere soddisfazione del diritto, anche a rischio di una invalidità del lodo, sceglieranno il lodo rituale che avrà efficacia di titolo esecutivo e sarà impugnabile nelle forme specificatamente previste.

Gli arbitri

Il presupposto sul quale si fonda l’arbitrato è l’esistenza di un rapporto tra le parti e gli arbitri. Tale rapporto è costituito dall’atto negoziale posto in essere dalle parti in cui si obbligano a differire agli arbitri la risoluzione della controversia.
A differenza del procedimento di giurisdizione ordinaria il procedimento arbitrale si svolge con una serie di atti e una pronuncia finale, il lodo, ma non sono atti formali. Non c’è un atto di citazione o ricorso ma una serie di atti preliminari di natura negoziale. È il caso ad esempio della nomina dell’arbitro o dell’accettazione dello stesso.

La nomina degli arbitri è la manifestazione negoziale immediatamente susseguente alla convenzione di arbitrato, il compromesso o la clausola compromissoria. Le parti possono nominare gli arbitri al momento dell’accordo compromissorio o successivamente, integrando l’accordo stesso oppure rimettersi ad una istituzione arbitrale precostituita, il cosiddetto arbitrato amministrato. Gli articoli di riferimento sono 809 e 810 cpc.
Gli arbitri possono essere uno o più ma sempre in numero dispari. Così se sono in disaccordo si adotta il principio della maggioranza semplice. Se non c’è la nomina degli arbitri e non c’è accordo tra le parti il codice di rito prevede il deferimento della nomina al Presidente del tribunale. Nel caso in cui le parti non abbiano determinato la sede dell’arbitrato sarà competente sempre il Presidente del tribunale.

La nomina degli arbitri deve essere direttamente compiuta dalle stesse parti, pertanto la parte che decide di iniziare un procedimento arbitrale nomina il proprio arbitro e lo comunica all’altra parte, tale comunicazione ha l’effetto di un invito alla controparte di nominare il proprio arbitro. Dopo la notifica, la parte comunica la nomina entro 20 giorni. Le parti possono stabilire che la nomina del collegio sia fatta da un organismo di comune riferimento.
Nel caso ci siano più parti è necessario che almeno ci sia una delle seguenti condizioni: la convenzione devolve a un terzo la nomina dell’arbitro, gli arbitri sono nominati da tutte le parti, le altre parti dopo che la prima ha nominato l’arbitro nominano d’accordo un egual numero di arbitri o ne affidano a un terzo la nomina. Non può essere arbitro chi è privo in tutto o in parte della capacità legale di agire, un minore, un interdetto, un inabilitato o un fallito.

Per quanto riguarda le sue capacità specifiche non ci sono limitazioni di alcun genere. Se l’arbitro nominato è incapace interverrà il Presidente del tribunale. È necessaria l’accettazione del mandato da parte degli arbitri. Ciò è disciplinato dall’articolo 813 cpc il quale prevede che questa deve essere data per iscritto e può risultare dalla sottoscrizione della convenzione o dal verbale della prima riunione. Il rapporto si perfeziona quando tutti gli arbitri nominati dichiarano di accettare: nasce così un vincolo contrattuale con il quale i primi si assumono l’impegno di decidere tempestivamente la controversia e i secondi di dare un corrispettivo.
Vista la natura privatistica agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Se manca un’accettazione di un arbitro il giudizio arbitrale si può ritenere viziato.

La forma scritta dell’accettazione è ad substantiam. L’articolo 814 CPC prevede che gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario per l’opera prestata, a meno che non vi abbiano rinunciato. Il quantum si specifica sulla base della autoliquidazione effettuata dagli stessi arbitri. Essi propongono e tale proposta deve essere accettata dagli altri soggetti; se non viene fatta potrebbe diventare titolo esecutivo per conseguire i diritti ai compensi e soddisfare gli arbitri. Non è previsto alcun termine per accettare tale proposta quindi l’eventuale sollecitazione viene fatta direttamente in giudizio.

Se gli arbitri non determinano le spese e il loro onorario, lo stesso è fatto con ordinanza non impugnabile dal Presidente del tribunale. Il diritto al rimborso delle spese per l’opera prestata è dovuto indipendentemente dall’esito delle impugnazioni proposte avverso il lodo. Nel caso in cui l’eventuale operato dell’arbitro possa ingenerare una responsabilità di questo, l’eventuale corrispettivo o il rimborso non gli è dovuto. Gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento di un anticipo. La determinazione delle spese verrà emessa nel momento di deliberazione del lodo e dovrà essere specificate alle parti. La liquidazione del compenso ovviamente non è parte integrante del lodo.

Gli arbitri possono essere sostituiti per qualsiasi motivo se vengono a mancare tutti o alcuni degli arbitri nominati. La sostituzione dell’arbitro non inficia l’attività fino a quel momento compiuta. L’arbitro può essere sostituito se omette o ritarda di compiere un atto relativo alle sue funzioni. In tale caso si parla di sostituzione punitiva. Se non c’è accordo tra le parti si arriverà dinanzi al Presidente del tribunale, il quale procede con ordinanza non impugnabile.

Le questioni che attengono alla legittimità della sostituzione possono formare oggetto di impugnazione del lodo.
La riforma del 2006 ha dedicato una disposizione alla responsabilità degli arbitri, l’articolo 813-ter cpc. È previsto che risponde dei danni l’arbitro che: con dolo o colpa grave ha omesso o ritardato atti dovuti oppure ha rinunciato all’incarico senza giusto motivo, con dolo o colpa grave ha omesso o impedito la pronuncia del lodo. L’azione di responsabilità può essere proposta in pendenza del giudizio arbitrale, mentre se è stato pronunciato il lodo l’azione può essere proposta solo dopo l’accoglimento dell’impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l’impugnazione è stata accolta. Se la responsabilità non dipende dal dolo dell’arbitro la misura del risarcimento non può superare una somma pari al triplo del compenso convenuto.

Tendenzialmente l’azione di responsabilità viene proposta nel momento in cui è terminato l’iter procedimentale per evitare che siano messi sotto accusa gli arbitri e si possa compromettere il processo. L’unico caso in cui è possibile procedere durante il procedimento è quando questi abbiano rinunciato all’incarico senza giustificato motivo. Gli arbitri dovranno risarcire le parti per avere emesso un lodo che non erano più legittimati a pronunciare. Oltre al risarcimento del danno l’arbitro perde il diritto al proprio compenso e al rimborso spese.

L’arbitro può essere sostituito oltre che per questa ipotesi anche nel caso in cui ricorrono le fattispecie di ricusazione, ex articolo 815 cpc. L’articolo specifica una elencazione tassativa che ricalca quella dell’articolo 51 cpc. Si cerca di affermare l’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri. Un arbitro può essere ricusato quando non ha le qualifiche espressamente convenuto dalle parti, se egli stesso o un ente ha interesse nella causa, se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente di una delle parti, se egli stesso o il coniuge ha cause pendenti o grave inimicizia con una delle parti, se è legato a una delle parti o a una società da questa controllata, se ha prestato consulenza, assistenza, difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda.

Tuttavia le parti possono nella convenzione di arbitrato statuire alcuni requisiti che l’arbitro deve possedere. Inoltre, le parti che hanno nominato o contribuito a nominare l’arbitro non possono ricusarlo se non per motivi conosciuti dopo la nomina. Il procedimento di ricusazione si fa dinanzi al Presidente del tribunale che decide con ordinanza non impugnabile, sentito l’arbitro, le parti e assunte sommarie informazioni. Il giudice toglie all’arbitro l’incarico.

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Fonti normative:

  • Costituzione: art. 24 e 102
  • Codice civile: 1349 e 1325
  • Codice di procedura civile: art. 51, 409, 442, 806, 807, 808, 808-ter, 809, 810, 813, 813-ter, 814, 815, 827
  • Decreto legislativo 40 del 2006