
8. La parasubordinazione
La rottura dell’unicità della fattispecie contrattuale giuslavoristica ha preso le mosse da una norma che all’inizio destava scarsa preoccupazione, ovvero l’articolo 409 c.p.c, che novellato dalla legge 533/1973 estendeva le regole sul nuovo processo del lavoro anche alle prestazioni lavorative rese in modo coordinato e continuativo senza vincolo di subordinazione.
I co.co.co aprirono la breccia della cosiddetta parasubordinazione, un’area grigia tra subordinazione vera e propria e lavoro autonomo, destinata a crescere. I requisiti, perché si possa applicare l’articolo 409 c.p.c. sono, secondo la giurisprudenza: continuità, che ricorre quando non ci sia prestazione occasionale ma essa perduri nel tempo e importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell’organizzazione aziendale; personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del contraente sull’opera svolta da eventuali collaboratori. I co.co.co non sono portatori di rigidità legislativa e sono anche meno costosi (non si applicano le elevate aliquote degli oneri previdenziali).
Nel corso degli anni settanta e ottanta il loro numero crebbe unitamente all’impiego sempre più sospetto di contratti di lavoro autonomo, le cosiddette partita iva.
È proprio negli anni 90 che si parla di una fuga dalla subordinazione con un ricorso a rapporti di lavoro meno costosi.
A tal proposito arriva la riforma Biagi del 2003 che già con gli articoli 61 e ss. del decreto legislativo 276 del 2003 introduce le collaborazioni coordinate a progetto, ovvero le co.co.pro, affiancandole alla co.co.co previste dal 409 c.p.c.. La continuità regolativa tra le due fattispecie non coincide con l’omogeneità della disciplina; pur trattandosi di lavoro autonomo in entrambi i casi, i requisiti per la stipulazione del contratto sono profondamente diversi e per i co.co.pro vengono introdotte alcune nuove tutele. Con la riforma Fornero infatti vengono previste varie precauzioni per evitare l’abuso dei contratti di lavoro a progetto per poi venire definitivamente eliminati dal decreto legislativo 81 del 2015.
Rimane, però, la possibilità di stipulare un co.co.co ex art. 409 c.p.c. Non si tratta però di un mero ritorno al passato perché il decreto legislativo 81/2015 ha comunque introdotto una differente articolazione della disciplina. In un primo luogo ci sono i co.co.co liberamente stipulabili anche a tempo indeterminato, ex art. 409 c.p.c., da tutti i datori di lavoro privati purché abbiano determinate caratteristiche e nettamente si distinguano dalla prestazione di lavoro subordinato. I co.co.co che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro saranno quei contratti cui si applica la disciplina del contratto di lavoro subordinato (al quale sono dunque totalmente assimilati). La loro definizione però non ricalca quella dell’art. 2094 c.c. ma ad esso si aggiunge; essi si pongono una zona di confine tra subordinazione vera e propria e universo del lavoro autonomo o parasubordinato.
Hanno in comune col lavoro subordinato la prestazione personale e continuativa.
Infine, ci sono gli altri co.co.co individuati o contenuti in accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; lo stesso dicasi per quelli riguardanti l’esercizio di professioni intellettuali per cui è necessaria l’iscrizione in apposito albo. Ad essi non si applica la disciplina del lavoro subordinato ma sicuramente quella collegata all’art. 409 c.p.c.
9. Il lavoro occasionale
Il lavoro occasionale ha preso il posto di una tipologia di rapporto denominato lavoro accessorio introdotto nel 2003.
Proprio perché il lavoro accessorio veniva utilizzato in maniera distorta viene proposto il referendum abrogativo nel 2017, evitato con l’abrogazione della norma. Il lavoro occasionale viene disciplinato dall’art. 54 bis del decreto legge 50 del 2017 modificato dal decreto dignità nel 2018. A tale tipologia di lavoro può farsi ricorso se lo svolgimento della prestazione da luogo: per ciascun lavoratore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, compensi di importo complessivamente non superiore a €5000; per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei lavoratori, a compensi di importo complessivamente non superiore a €5000; per le prestazioni complessivamente rese da ogni lavoratore in favore del medesimo utilizzatore, compensi di importo non superiore a €2500.
Al lavoro occasionale possono ricorrere: le persone fisiche, sempre che non esercitino attività professionale o d’impresa e le società sportive mediante il Libretto Famiglia nonché gli altri utilizzatori privati e le amministrazioni pubbliche mediante il contratto di prestazione occasionale. Il Libretto Famiglia è un libretto nominativo, acquisibile attraverso la piattaforma informatica INPS, per il pagamento delle prestazioni occasionali rese: per piccoli lavoratori domestici (compresi lavori di giardinaggio, di pulizia e manutenzione), assistenza domiciliare di bambini e persone anziane malate o con disabilità, insegnamento privato supplementare, attività di steward negli impianti sportivi. Ciascun libretto contiene titoli di pagamento del valore nominale fissato in €10 adoperabili per compensare prestazioni di durata non superiore a un’ora.
Gli altri utilizzatori privati possono far ricorso al contratto di prestazione occasionale anche se gli è preclusa la possibilità di adoperare il Libretto Famiglia.
Per attivarlo l’utilizzatore deve versare, attraverso la piattaforma informatica INPS, le somme utilizzabili per compensare le prestazioni; è imposto un compenso orario minimo pari a €9. Almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione l’utilizzatore attraverso la piattaforma informatica INPS deve comunicare i dati anagrafici e identificativi del prestatore, il luogo di svolgimento della prestazione, l’oggetto della prestazione, la data e l’ora di inizio e di termine della prestazione, la durata della prestazione con riferimento a un arco temporale non superiore a 10 giorni, il compenso pattuito per la prestazione in misura non inferiore a €36 per prestazioni di durata non superiore a 4 ore continuative nell’arco della giornata. Il prestatore riceve notifica della dichiarazione attraverso comunicazione sms o di posta elettronica.
Il pagamento della prestazione viene effettuato dall’INPS.
I privati non posso ricorrervi: se gli utilizzatori hanno alle proprie dipendenze più di 5 lavoratori subordinati a tempo indeterminato elevati ad 8 dal decreto dignità del 2018 (per le imprese alberghiere del settore turistico se utilizzano pensionati, giovani o disoccupati destinati di misure di sostegno al reddito); se si tratta di imprese del settore agricolo; se si tratta di imprese operanti nel settore dell’edilizia e dei settori affini e nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere e servizi.
Per le amministrazioni pubbliche il lavoro occasionale è consentito solo qualora sussistano esigenze temporanee o eccezionali e l’attività rientri alcuni ambiti: progetti speciali rivolti a precise categorie di soggetti in stato di povertà; lavori di emergenza correlati a calamità o eventi naturali improvvisi; attività di solidarietà in collaborazione con altri enti pubblici o associazioni di volontariato.
Il lavoratore occasionale ha comunque diritto a un nucleo unitario di tutele, ovvero l’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il diritto al riposo giornaliero, ecc.
In relazione alle sanzioni si specifica che, con eccezioni delle pubbliche amministrazioni, la trasformazione del lavoro occasionale in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato sussiste quando venga superato il limite di €2500 per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore o il limite di durata della prestazione pari a 280 ore nell’arco dello stesso anno civile.
E poi prevista una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione del divieto assoluto di utilizzare lavoro occasionale.
10. Il lavoro autonomo
Nel 2012 venne approvata una complessa disciplina per regolamentare il lavoro autonomo in situazioni limitrofe a quelle in cui è possibile utilizzare il lavoro subordinato. Tale disciplina è stata abrogata con il decreto legislativo 81 del 2015 ripristinando una situazione di deserto di tutele.
Sono salve, invece, le regole codicistiche di cui agli artt. 2222 e ss in cui si prevedono tutele per il contratto d’opera intellettuale che però non sono paragonabili a quelle del lavoro subordinato. Ciò determina spesso una serie di ingiustizie; per cui spesso ci si trova di fronte ai casi di falso lavoro autonomo.
Il Jobs act del lavoro autonomo, legge numero 81 del 2017, ha previsto una serie di tutele per i lavoratori autonomi così come descritti dal codice civile.
Ad esempio, per le transazioni commerciali con le imprese si applica il decreto 231 del 2002; viene considerato abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto per iscritto; sono considerate abusive, e quindi inefficaci, le clausole contrattuali che attribuiscono la facoltà di modificare unilateralmente il contratto, di recedere senza congruo avviso, di prevedere termini di pagamento superiori a 60 giorni dal ricevimento della fattura. Viene applicata la normativa riguardante l’abuso di dipendenza economica che sanziona con la nullità l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie. Nel 2017 è stato introdotto l’equo compenso che riguarda solo avvocati e liberi professionisti titolari di contratti di lavoro autonomo soggetti a convenzioni con grandi imprese. Tali convenzioni sono colpite da nullità se non prevedono un compenso proporzionato alla quantità e al lavoro prestato.
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11. Il lavoro agile o Smart work
La legge 81 del 2017 introduce un istituto volta a favorire la flessibilità dei tempi e dei luoghi di svolgimento del lavoro subordinato. Si tratta del lavoro agile definito all’articolo 18 come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato privato e pubblico caratterizzato da: assenza di precisi vincoli riguardanti il luogo di lavoro (che può essere prestato in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa); assenza di precisi vincoli di orario di lavoro (contenuti nei soli limiti della durata massima giornaliera e settimanale); possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività e organizzazione del lavoro in fasi, cicli e obiettivi. L’istituto ha elementi di contatto con il lavoro a distanza; il telelavoro è stato introdotto per incentivare la competitività delle imprese e agevolare la conciliazione tra tempi di lavoro e non lavoro nel contesto della rivoluzione digitale.
Il lavoro agile introduce una ampia dose di autonomia del lavoratore generando meno subordinazione e più collaborazione. Tali modalità sono stabilite dall’accordo tra le parti stipulato in forma scritta all’atto di costituzione del rapporto di lavoro oppure nel corso del suo svolgimento. L’accordo può essere a tempo determinato o indeterminato; in quest’ultimo caso il recesso è condizionato ad un preavviso di almeno 30 giorni ad eccezione delle ipotesi di giustificato motivo che consenta a entrambe le parti il recesso senza preavviso.
In relazione alla prestazione svolta all’esterno della sede aziendale bisogna rispettare le garanzie del lavoratore e l’esercizio dei poteri del datore. Quindi la legge rimette alla volontà delle parti la determinazione delle forme di esercizio e non anche i contenuti del potere direttivo e del potere di controllo sulla prestazione. Rispetto invece alle tutele del lavoratore bisogna prevedere nel contratto una differenza tra i tempi di lavoro e non lavoro con obbligo di prevedere i tempi di riposo e le misure utili alla disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro
12. Il lavoro e le organizzazioni in forma associativa
Si tratta del contratto di associazione in partecipazione e della società cooperativa. Nel primo caso può capitare che il contratto di associazione dissimuli un rapporto di lavoro subordinato nel quale l’associante invece di corrispondere la retribuzione compensa l’associato con una quota degli utili derivanti dalla gestione della sua impresa o di un suo affare garantendogli comunque un guadagno minimo. Questo regolamento è sovrapponibile a un contratto di lavoro subordinato.
Per tale motivo la giurisprudenza ha specificato che qualora si tratti di un contratto di associazione bisogna individuare nel contratto gli elementi essenziali altrimenti si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale favor accordato dall’articolo 35 che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Per i lavori in cooperativa si pone un problema analogo laddove ci si trovi in presenza di un socio lavoratore cioè di un socio che conferisca la sua quota associativa in termini di una prestazione lavorativa.
La giurisprudenza, a differenza del contratto ex art. 2549, ha ritenuto prevalente il rapporto associativo richiedendo requisiti piuttosto restrittivi per riconoscere la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato. Bisogna pertanto considerare quale sia il regolamento dei rapporti di lavoro che ciascuna cooperativa adotta e la conformità a tale regolamento sarà il primo elemento da considerare per qualificare in concreto ciascun rapporto di lavoro
13. I rapporti speciali di lavoro
Ad oggi si ritiene che il diritto del lavoro tenda a garantire da un lato diritti e tutele omogenee per tutti i lavoratori, dall’altro a differenziare la regolamentazione in base alle variabili dai regimi giuridici diversi stabiliti dal legislatore. I rapporti di lavoro speciale potrebbero essere quelli del terzo settore e il volontariato, delle imprese familiari e del lavoro domestico. In tali casi ci sono normative differenti che specificano le divertenti caratteristiche
14. Contratto di lavoro e pubblica amministrazione
In un primo momento, negli anni 90, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni avevano una disciplina che non faceva riferimento alle pattuizioni individuali e a quelle collettive. Ciò secondo alcuni è in riferimento all’articolo 97 cost che definiva una riserva di legge riferita ai profili organizzativi dei pubblici uffici da estendere anche alla disciplina dei rapporti del pubblico impiego. Questi ultimi erano il rapporto organico e di servizio. Il primo era il rapporto connesso alle funzioni svolte dall’ufficio pubblico, il secondo era la relazione lavorativa vera e propria. Tutto ciò determinava una pubblicizzazione diffusa di tutti gli atti di costituzione, gestione e estinzione del rapporto di lavoro con un’applicazione marginale del codice civile. Tale assetto era basato su interessi generali di tipo pubblicistico.
In un secondo momento si assistì ad un cambiamento importante. I ministeri persero il loro ruolo preminente; le scuole, gli enti e la sanità diventarono sempre più importanti sviluppando modelli organizzativi più vicini a quelli del mondo delle imprese. Con la Costituzione del 1948 il diritto di sciopero veniva riconosciuto anche i pubblici impiegati e di certo non si poteva impedire che essi si organizzassero in sindacati liberi. Dopo vari tentativi di modernizzare all’assetto pubblicistico del lavoro si aggiunge la cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego. Questo significa che una buona parte dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni viene assoggettata alla disciplina dei rapporti di lavoro subordinato nell’impresa con alcune eccezioni relative a situazioni particolari disciplinate dal decreto legislativo 165 del 2001. Si stabilisce che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle PA vengano regolati contrattualmente chiudendo l’era della specialità pubblicistica e ponendo a fondamento del sistema il contratto individuale.
Tutti gli atti di organizzazione degli uffici e di gestione dei rapporti di lavoro sono assunti con le capacità e i poteri del privato datore di lavoro. I rapporti di lavoro possono, e in alcuni casi devono, essere regolati da contratti collettivi e le controversie di lavoro pubblico sono devolute al giudice ordinario con eccezione delle controversie in materia di procedure concorsuali. La privatizzazione riguarda tutte le pubbliche amministrazioni centrali e periferiche e tutti i dipendenti pubblici ivi compresi i dirigenti.
Nel 1998 ci fu una seconda privatizzazione ancora più ampia e incisiva. Restano escluse alcune figure di dipendenti pubblici per la delicatezza della loro funzione come i magistrati ordinari, i procuratori dello stato, il personale militare, le forze di Polizia di stato, i professori e ricercatori universitari.
Quindi la regolamentazione del rapporto di lavoro pubblico può essere ben incentrata sul contratto individuale di lavoro subordinato di stampo privatistico oltre che sul contratto collettivo che è funzionale a garantire il buon andamento delle pubbliche amministrazioni. Dal momento che il ruolo del legislatore nel contesto del lavoro pubblico può essere molto invasivo si è specificato, nel decreto legislativo 165 del 2001, che la macro organizzazione, quindi le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza, vengano definite attraverso atti organizzativi di carattere unilaterale adottati da ciascuna amministrazione secondo il proprio ordinamento.
FONTI NORMATIVE
– Codice civile: artt. 2, 1321, 1325, 1429, 1431, 2086, 2094, 2096, 2126, 2222,
– Costituzione: artt. 35,37, 97,
-Decreto legislativo n. 152 del 1997
– Decreto legislativo 276 del 2003
– Legge 92 del 2012
– Codice di procedura civile: art. 409
– Decreto legislativo 81/2015
-Legge 533/1973
– Decreto legislativo 276 del 2003
– Decreto legge 50 del 2017
– Legge numero 81 del 2017
– Decreto Legislativo 231 del 2002