Il contratto di lavoro come espressione di autonomia negoziale privata: potenzialità e limiti.
Col termine contratto si intende la fonte volontaria dei doveri e dei diritti connessi al rapporto di lavoro. In passato si parlava di missione civilizzatrice del contratto individuale così da distinguere le cose dalle persone. Da tale distinzione si sviluppò il moderno diritto del lavoro, non solo quello italiano.
Il contratto di lavoro è connesso ad un’economia di mercato e partecipa alle logiche della giustizia commutativa. Esso ha tra i suoi elementi essenziali (soggettivi e oggettivi) il lavoro, che è inscindibile dalla persona fisica e porta con sé anche le prerogative del cittadino.
È un contratto di scambio ma con tratti di peculiarità forti e sfaccettati. Il lavoratore ha dei diritti riconosciuti sia a livello di legge ordinaria che costituzionale.
In Italia tra il 1960 e il 1970, ovvero con l’emanazione dello Statuto dei lavoratori, si individua il fondamento contrattuale del rapporto di lavoro, un contratto sbilanciato che richiede il ripristino della parità dei contraenti. L’intervento della legislazione inderogabile mitiga le preoccupazioni per uno strumentale uso della funzione organizzativa del contratto.
Il contratto non è un vero e proprio meccanismo regolatore diretto ma piuttosto un catalizzatore di regole eteronome; ciò nonostante rimane una categoria giuridica forte per la sua storia e per la sua diffusione generalizzata.
Le parti
Tra gli elementi essenziali ci sono le parti. Il datore di lavoro può essere un imprenditore o un non imprenditore. Il titolo II del libro V del codice civile è rubricato “del lavoro nell’impresa” e l’art. 2086 c.c. fa coincidere il datore di lavoro con il capo dell’impresa da cui dipendono gerarchicamente tutti i suoi collaboratori.
Nelle leggi speciali viene introdotta anche la nozione di organizzazione di tendenza. Si tratta di datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione e di culto. Per tali soggetti ci sono alcune peculiarità in relazione agli atti discriminatori e alla reintegrazione in caso di licenziamenti illegittimi.
Spesso nell’organizzazione datoriale rileva il numero di dipendenti.
Essa condiziona il campo di applicazione delle discipline e delle tutele di riferimento, come ad esempio per i licenziamenti individuali e collettivi o per l’assunzione di disabili.
Fondamentale è anche la natura giuridica pubblica o privata del datore di lavoro.
Per quanto concerne il lavoratore, come parte del contratto di lavoro, la disciplina è più articolata. Si parte dalla capacità giuridica di essere parte; l’art. 2 comma 1 c.c. riconosce solo a chi ha compiuto la maggiore età la normale capacità di agire, mentre al comma 2 si fa riferimento alle leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare lavoro,
(la cosiddetta capacità giuridica speciale) riconoscendo al minore anche la capacità di esercitare i diritti e le azioni dipendenti dal contratto. Oggi l’età minima per accedere a un rapporto di lavoro è sottoposta a un duplice requisito: il compimento dell’età minima prevista dalla legge, ovvero 16 anni, e l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di almeno 10 anni. Tale disciplina implica il divieto di adibire al lavoro i bambini (ex artt. 2126 comma 2 e 37 Cost).
La disciplina della forma e della volontà negoziale
Al contratto di lavoro si applica il principio generale di libertà della forma, quindi la stipulazione del contratto non richiede particolari requisiti formali e può essere anche pattuita verbalmente.
Tale principio ha alcune eccezioni; trattasi della disciplina dei contratti di lavoro flessibili dove il legislatore spesso prevede la forma scritta come requisito ad substantiam o ad probationem.
Non introduce un vincolo formale l’art. 1 del decreto legislativo n. 152 del 1997 che obbliga il datore di lavoro pubblico o privato a dare al lavoratore, entro 30 giorni dall’assunzione, una serie di informazioni riguardanti alcuni aspetti;
tra le altre:
- l’identità delle parti,
- il luogo di lavoro,
- la durata del periodo di prova,
- l’importo iniziale della retribuzione,
- il periodo di pagamento,
- l’orario,
eccetera. Non viene alterato il principio di libertà della forma nel momento in cui viene consegnato al lavoratore una copia della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro nel momento in cui sorge il medesimo rapporto e prima dell’inizio dell’attività di lavoro. Tale obbligo si intende assolto quando il datore consegna al lavoratore una copia del contratto individuale con tutte le informazioni sopra descritte. L’omessa comunicazione dà luogo ad alcune sanzioni amministrative.
I datori di lavoro privati devono tenere il libro unico del lavoro, che dal primo gennaio 2019 è in modalità telematica, presso il Ministero del lavoro. Tale regola non è un vincolo di natura formale. Il libro viene mantenuto per tutti i lavori tranne che per il lavoro domestico. Sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione. La violazione di tale obbligo è sanzionata solo in via amministrativa.
Anche al contratto di lavoro si applicano gli artt. 1321 e 1325 c.c.; perciò senza l’accordo delle parti il contratto non nasce. Libera è anche la scelta di stipulare il contratto e di scegliere l’altro contraente. Solo nel lavoro pubblico la scelta del contraente incontra un limite nell’applicazione dell’art. 97 comma 3 della Costituzione e nell’art. 35 del d. lgs 165 del 2001 che prevedono come il contratto debba essere stipulato a seguito di formali procedure selettive. Dunque nelle amministrazioni pubbliche la scelta del contraente è subordinata alla collocazione in graduatoria successivamente ad un concorso.
L’accordo a fondamento del contratto di lavoro deve essere immune da vizi del consenso. Non devono esserci errori che incidono sul processo di formazione del consenso dando origine così ad una falsa e distorta rappresentazione della realtà.
L’errore deve essere poi essenziale e riconoscibile. L’essenzialità ricorre se l’errore cade su aspetti determinanti la concreta fattispecie negoziale (art. 1429 c.c.). L’errore di diritto è essenziale solo qualora sia stata la ragione unica o principale del contratto. La riconoscibilità dell’errore va valutata con riguardo all’astratta possibilità di essere ravvisato con una media diligenza, ex art. 1431.
Il dolo consiste nei raggiri ai quali ricorra uno dei contraenti per indurre l’altra parte in errore. È sufficiente provare che in assenza del dolo la parte indotta in errore non avrebbe mai concluso il contratto. Il dolo può essere commissivo o omissivo.
Può esserci anche un vizio di accordo simulato e si prenderà a riferimento la disciplina codicistica della simulazione. Nel caso di simulazione assoluta non si produce alcun effetto tra le parti; nel caso di simulazione relativa è valido l’accordo dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di forma e di sostanza. Se il contratto di lavoro subordinato è del tutto simulato non produce effetti salvo l’applicazione dell’articolo 2126 c.c. per le prestazioni comunque svolte dal lavoratore. Di frequente capita che le parti dichiarino di stipulare un contratto di lavoro autonomo mentre intendono stipulare un contratto di lavoro subordinato; in queste ipotesi potrebbe ricorrere una simulazione relativa.
Il patto di prova
Il contratto di lavoro può prevedere un patto di prova ovvero la previsione di un periodo iniziale in cui le parti possono recedere senza obbligo di preavviso (art. 2096 c.c.).
Può essere un elemento accidentale del contratto da considerare come condizione risolutiva, in quanto la sua prosecuzione viene preclusa proprio dall’esito negativo della prova. Il patto deve risultare da atto scritto, requisito formale ad substantiam (la mancanza di tale forma determina la nullità solo parziale del contratto e rende l’assunzione definitiva, non potendo operare come condizione risolutiva). Tale patto, a pena di nullità, deve contenere rinvio un contratto collettivo, l’indicazione delle mansioni da espletare, senza tale aspetto non è possibile un’effettiva valutazione di capacità e professionalità.
La prova tutela le parti del rapporto, l’imprenditore e il prestatore di lavoro. In pratica, però, il patto è più funzionale all’interesse del datore che così può meglio scegliere i propri dipendenti. Il codice civile non fissa la durata della prova; normalmente la prevedono i contratti collettivi ed è stabilita nel termine di sei mesi. Dottrina e giurisprudenza hanno stabilito che pur non essendo necessario fornire al lavoratore una motivazione sulla valutazione delle sue capacità occorre che si consenta un effettivo svolgimento della prova. Il lavoratore infatti può sempre impugnare il licenziamento se determinato da motivi illeciti; esso sussiste non solo se la prova non viene espletata ma anche se in concreto è esigua o oggettivamente superata con esito positivo.
In caso di illegittima interruzione del periodo di prova il lavoratore può chiedere di proseguire l’espletamento fino alla scadenza del periodo pattuito o eventualmente può vedersi risarcito il danno.
L’applicazione pratica del patto di prova è molto usata nella prassi (soprattutto nella somministrazione e nei contratti a termine). La ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è possibile se la stessa è volta a verificare elementi variabili nel tempo come il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione alla prestazione che deve svolgere.
La fattispecie contrattuale sotto il profilo causale: subordinazione, funziona organizzativa, corrispettività. I cosiddetti indici sintomatici della subordinazione.
Nel nostro ordinamento il contratto e i suoi elementi caratterizzanti devono essere rinvenuti nell’art. 2094 c.c. secondo cui “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Ad oggi bisogna sicuramente tener conto di tale norma, insieme anche ad ulteriori fattori.
Il primo consiste nello specificare che il dato normativo suddetto non è l’unico diretto a individuare la fattispecie contrattuale. Il secondo è la consapevolezza che la subordinazione possa essere ricavata anche da altre fonti sovraordinate all’art. 2094 c.c., come la Costituzione e le norme della Unione Europea. Rimane comunque centrale il ruolo dell’articolo che è il baricentro del diritto del lavoro nazionale. Tale norma va riletta proprio alla luce di questi due ulteriori sistemi (Costituzione e ordinamento europeo).
Dunque i tratti caratterizzanti del contratto di lavoro subordinato sono i seguenti. Il contratto di lavoro è un contratto di scambio, una parte si obbliga a collaborare con un altra in cambio di una retribuzione, che non è lasciata solo alla regolamentazione contrattuale ma deve essere fissata in modo proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato così da garantire una esistenza libera e dignitosa (ex art. 36 Cost). Il contratto di lavoro ha una funzione organizzatrice; l’adempimento della prestazione si realizza sotto la direzione dell’imprenditore rispettando tutte le disposizioni impartite per l’esecuzione della prestazione da adempiere con una diligenza qualificata. Il lavoratore è assoggettato ai poteri datoriali (di controllo, conformativi e disciplinari).
Il tratto della subordinazione consiste, pertanto, nella sottoposizione funzionale del lavoratore ai poteri datoriali intesa come continuità giuridica dell’essere a disposizione adottando tutti i comportamenti richiesti dal contratto.
In sintesi il contratto di lavoro subordinato garantisce l’organizzabilità giuridica della prestazione professionale.
Nel lavoro subordinato la prestazione dedotta in contratto è eseguita personalmente dal debitore; quanto all’oggetto è definito dal contratto medesimo solo a grandi linee. Sono le modalità attraverso cui deve essere eseguita la prestazione a caratterizzare il contratto. In tal modo si esercitano le funzioni del datore di lavoro.
Ci sono, inoltre, altre ipotesi contrattuali, come il contratto di lavoro autonomo, in cui non si riscontra un effettivo esercizio di poteri datoriali. Si pensa ai dirigenti ai medici o i giornalisti. A ragione di ciò devono esserci dei riscontri circa l’effettivo esercizio dei poteri datoriali così che possa desumersi la subordinazione tecnico funzionale del lavoratore e la differenza con il contratto di lavoro autonomo.
La giurisprudenza a tal proposito valorizza i cosiddetti “indici sintomatici” che possono consistere: nelle modalità di impartire direttive, nel fissare la durata della prestazione, nel rilevare la continuità materiale della prestazione svolta all’interno di un’organizzazione, nel determinare i compensi. Si tratta di operazioni qualificatorie che giudici devono condurre partendo dalla fattispecie concreta per arrivare alla identificazione della fattispecie astratta. Spesso gli interpreti sono costretti a considerare la volontà delle parti quando il contratto stipulato non corrisponde affatto alle modalità con cui viene eseguita la prestazione.
Per tutte le considerazioni svolte ad oggi si ritiene priva di qualsiasi valenza qualificatoria l’antica bipartizione tra lavoro autonomo, locatio operis, e lavoro subordinato, locatio operarum.
Si pensi alla prestazione del sarto o dell’avvocato.
Dunque per qualificare un rapporto è importante l’espressione “sotto la direzione” codificata dal 2094 c.c.
In ordine alla qualificazione pattizia del rapporto si è introdotto l’istituto della certificazione da parte del decreto legislativo 276 del 2003, che consente di ottenere una qualificazione rafforzata da parte di soggetti pubblici o privati, ai quali le parti possono rivolgersi al momento dell’assunzione oppure durante lo svolgimento del rapporto. Il contratto certificato può essere sottoposto a verifica giudiziale per difformità tra il programma negoziale e la sua successiva attuazione.
La fattispecie contrattuale e le sue inevitabili ricadute socio strutturali: la dipendenza del lavoratore
Il lavoratore, strutturalmente e giuridicamente, dipende dall’attività organizzatrice del suo creditore. L’espressione “alle dipendenze” si ritrova nell’articolo 2094 c.c. ed è stata oggetto di un gran numero di riflessioni dottrinali e giurisprudenziali. La dipendenza, se pur allude alla subordinazione, non contribuisce a caratterizzare le funzioni tipiche del contatto, già rese e garantite dall’espressione “sotto la direzione”. La dipendenza completa la descrizione del tipo normativo.
L’ordinamento giuridico, tenuto a tutelare il lavoro in tutte le sue forme di applicazione, ex art. 35 cost, non può non tener conto della dipendenza come tratto caratterizzante del contratto di lavoro. Le dipendenze non sono tutti uguali, anzi la dipendenza serve a differenziare le varie tutele nel lavoro subordinato a ragione di vari indici come la durata della prestazione, l’esclusività del rapporto, lo svolgimento di funzioni dirigenziali. Ed è proprio la giurisprudenza costituzionale a sostenere la possibilità per il legislatore di differenziare le tutele in ambito lavorativo a seconda delle differenze tra le prestazioni.
Tendenza del terzo millennio: più collaborazione, meno subordinazione, più dipendenza
Collaborazione e subordinazione sono elementi apprezzati all’ordinamento giuridico e consentono all’organizzazione produttiva di esistere e svilupparsi.
La dipendenza, invece, non è un valore né una relazione meritevole di sostegno legislativo e anzi essa richiede interventi correttivi perché contraddice il dogma contrattuale, nonchè contrasta con i valori costituzionali come l’eguaglianza. Nel diritto del lavoro italiano per bilanciare l’eccessiva dipendenza del lavoratore si è intervenuti in maniera incisiva sulla fattispecie contrattuale sottoponendo a limiti più penetranti i poteri organizzativi del datore ridimensionando, ad esempio, la libera recedibilità dal contratto.
Tale situazione di trasformazione ha dato piena attuazione ai principi costituzionali del cosiddetto stato sociale. Il modello italiano si caratterizza per aver sposato un riequilibrio della relazione contrattuale incentrata su un sostegno alla dialettica tra le parti intese come portatrici di interessi contrapposti. Il nostro ordinamento ha fatto in modo che il conflitto potesse svilupparsi ad armi pari. In tal modo si sono potenziati gli strumenti legali per garantire ai lavoratori una rappresentanza collettiva basata su un ampia garanzia del diritto di sciopero e una disciplina di contrattazione collettiva molto importante. Così il lavoratore, pur confinato in un’azienda, si è potuto avvalere di regole dirette a limitare sempre di più i poteri del datore di lavoro. Questa situazione ha realizzato una fuga dalla subordinazione per avvicinarsi ad una effettiva collaborazione continuativa tra impresa e lavoro.
Pertanto, le imprese si sono trovate a scegliere tipi contrattuali diversi da quelli regolati dall’articolo 2094. Questi processi hanno fatto registrare, nel tempo, una domanda crescente di collaborazione senza subordinazione. Ciò non significa che alcuni aspetti problematici non ci siano stati anche nell’ambito della collaborazione che per alcuni versi è rimasta ambigua in quanto perseguita in modo indiretto. Oggi le organizzazioni che operano sui mercati vanno alla ricerca di collaborazioni lavorative raccordabili con minimi condizionamenti spazio-temporali.
In Italia la fuga dal lavoro subordinato ha creato altri rapporti giuridici come i contratti a termine o i co.co.pro.
Sotto altri versi la collaborazione senza subordinazione genera comunque dipendenza intesa come dipendenza dall’organizzazione cui la prestazione è raccordata e con essa la tendenza a riequilibrare anche al di fuori della subordinazione gli effetti deleteri della dipendenza stessa.
Frutto di questa tendenza sono le norme della riforma Fornero (l. 92 del 2012) che pur avendo abbandonato l’obiettivo di realizzare un contratto unico voleva rendere dominante il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e incentivare i contratti flessibili. Quindi si fa un passo indietro.
Il diritto al lavoro appare, nella fase attuale, verso un riassestamento intorno alla fattispecie contrattuale che coniuga subordinazione tecnica e dipendenza personale. Il transito è ancora molto lungo.