Premessa
Per evitare che il patrimonio del debitore possa subire diminuzioni, a causa di negligenza o dolo del debitore stesso, la legge riconosce al creditore taluni rimedi che ne consentono la conservazione. Essi sono:
- l’azione surrogatoria (art. 2900 c.c.);
- l’azione revocatoria (artt. 2901-2904 c.c.);
- il sequestro conservativo (artt. 2905-2906 c.c.).
L’azione surrogatoria
I creditori, in linea di principio, non hanno il diritto di interferire con il modo in cui il debitore gestisce il proprio patrimonio e tanto meno possono sostituirsi a lui nell’esercizio dei diritti e dei poteri che gli competono.
Tuttavia, se il debitore omette di compiere atti necessari per tutelare i propri diritti e ciò causa un pregiudizio ai suoi creditori, la legge consente a questi ultimi la possibilità di intervenire. Attraverso l’azione surrogatoria, i creditori possono sostituirsi al debitore inattivo ed esercitare i suoi diritti.
Questa legittimazione all’esercizio dei diritti altrui è di natura eccezionale e, di conseguenza, sussiste solo nei casi e alle condizioni stabilite dalla legge.
Affinché tale legittimazione si concretizzi, devono sussistere determinati presupposti.
Innanzitutto, è necessario che esista un credito, anche illiquido, o non ancora esigibile, o condizionato, o contestato, del surrogante nei confronti del surrogato. Inoltre, il debitore surrogato deve manifestare un’inerzia nel tutelare i propri diritti nei confronti di terzi. Non è sufficiente che egli eserciti tali diritti con modalità discutibili, o inidonee, o inefficienti, o inefficaci (Cass. 12 aprile 2012, n. 5805; Cass. 5 dicembre 2011, n. 26019).
Un ulteriore requisito è il pregiudizio che dall’inattività del debitore può derivare alle ragioni del creditore surrogante. Questo pregiudizio può consistere alternativamente: nel rischio che il patrimonio del debitore diventi insufficiente a far fronte ai suoi impegni verso i creditori, o che tale insufficienza si aggravi; nel rischio che le prospettive di successo di un’azione esecutiva sul patrimonio del debitore si compromettano; nel rischio che la prestazione specificamente dovuta al creditore surrogante non venga effettuata.
Occorre altresì la patrimonialità del diritto che il debitore trascura di esercitare, poiché il creditore non ha interesse ad esercitare diritti o poteri di natura diversa (come la richiesta di separazione coniugale o il disconoscimento della paternità).
Inoltre, il diritto patrimoniale che il debitore trascura di esercitare non deve avere carattere strettamente personale. Non possono, quindi, essere tutelati in via surrogatoria quei diritti e poteri che hanno natura patrimoniale, ma che, per loro natura o per disposizione normativa, possono essere esercitati unicamente dal loro titolare.
Se ricorrono i presupposti menzionati, il creditore è legittimato ad esercitare i diritti e i poteri che appartengono al debitore nei confronti di terzi, ma non può disporne o farne oggetto di scelte riservate all’autonomia del titolare.
In surrogatoria, il creditore può esercitare i diritti e i poteri del debitore sia in via giudiziale, ad es. chiedendo un sequestro conservativo a tutela dei diritti del debitore, sia in via stragiudiziale, ad es. procedendo alla trascrizione di un atto di acquisto effettuato dal debitore.
Peraltro, quando il creditore esercita un’azione giudiziaria contro un terzo surrogandosi al debitore, quest’ultimo deve partecipare al procedimento, configurandosi il c.d. litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.). Di conseguenza, il creditore dovrà evocare in giudizio anche il debitore al quale intende surrogarsi (art. 2900, comma 2, c.c.).
In ogni caso, il debitore mantiene, pur dopo l’intervento surrogatorio del creditore, la legittimazione ad esercitare autonomamente i propri diritti e poteri e a disporne.
La legittimazione eccezionale concessa al creditore per l’esercizio dei diritti del debitore non può tradursi in un vantaggio del singolo che agisce in surrogatoria. Gli effetti dell’atto compiuto in luogo del debitore ricadono sul patrimonio di quest’ultimo, beneficiando l’insieme dei suoi creditori e non soltanto colui che ha promosso l’intervento il quale ne trarrà vantaggio solo indirettamente, conservando e migliorando le garanzie sul proprio credito.
L’azione revocatoria
Il debitore può arrecare danno ai suoi creditori anche, e soprattutto, attraverso atti che rendano più difficile il soddisfacimento dei loro diritti.
Naturalmente il debitore può porre in essere atti che modificano la consistenza del suo patrimonio, specie se tali atti rientrano nella sua normale attività.
Tuttavia, se egli dovesse compiere tali atti (che modificano la consistenza del suo patrimonio dal punto di vista quantitativo o anche solo dal punto di vista qualitativo) fino a rendere incerta, o quanto meno difficoltosa, la realizzazione coattiva dei diritti del creditore, a quest’ultimo è concesso il rimedio dell’azione revocatoria (o pauliana).
Circa la legittimazione attiva, l’azione revocatoria può essere proposta dal creditore, anche se il suo credito non è certo, liquido e esigibile. È ammessa anche in caso di credito litigioso, purché sia valutabile come probabile.
Perché l’azione revocatoria possa essere efficace, devono sussistere, oltre al requisito dell’esistenza di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche i seguenti ulteriori presupposti (art. 2901 c.c.):
- un atto di disposizione, cioè un atto negoziale con cui il debitore modifica la propria situazione patrimoniale, o trasferendo ad altri un suo diritto, o assumendo un obbligo nuovo verso terzi, o costituendo su propri beni diritti a favore di terzi;
- l’eventus damni, ossia un pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che, come conseguenza dell’atto di disposizione compiuto, il patrimonio del debitore rischia di divenire insufficiente a soddisfare tutti i creditori o viene ad essere composto in modo tale da rendere più difficile o incerto l’eventuale soddisfacimento coattivo del credito. Perché sussista l’eventus damni non è necessario che l’atto di disposizione compiuto dal debitore comporti una riduzione del suo patrimonio, né che lo renda incapiente. È sufficiente che determini o aumenti il pericolo di danno consistente in una maggiore difficoltà o incertezza dell’esecuzione coattiva del credito (Cass. 19 luglio 2018, n. 19207). Non produce un simile pregiudizio il semplice adempimento di un debito scaduto (art. 2901, comma 3, c.c.) poiché il debito già gravava sul patrimonio del debitore;
- la scientia fraudis del debitore, cioè la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore. Non occorre la specifica intenzione di nuocere ai creditori, è sufficiente che il debitore abbia la consapevolezza che, a seguito dell’atto dispositivo, il suo patrimonio diviene incapiente o tale da rendere più difficile o incerta l’esecuzione. Se l’atto è a titolo gratuito, basta che questa conoscenza sussista nel debitore; se è a titolo oneroso, è necessaria, per la proponibilità dell’azione, anche la participatio fraudis del terzo, ossia la sua consapevolezza del pregiudizio che l’atto arreca al creditore.
L’azione revocatoria può riguardare anche atti dispositivi compiuti dal debitore anteriormente al sorgere del credito (art. 2901, comma 1 nn. 1 e 2, c.c.). In tal caso, oltre alla scientia damni, è richiesto il consilium fraudis, ossia la dolosa preordinazione in frode delle ragioni del futuro creditore da parte del futuro debitore e, se l’atto è a titolo oneroso, anche da parte del terzo.
Chi agisce in revocatoria ha l’onere di provare la scientia fraudis e, quando occorre, il consilium fraudis del debitore e, in caso di atto a titolo oneroso, anche del terzo. Tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.
Inoltre, il creditore deve chiamare in giudizio non solo il proprio debitore, ma anche il terzo con cui quest’ultimo ha posto in essere l’atto di cui si chiede la revoca.
Effetti dell’azione revocatoria
La sentenza, di natura costitutiva, che accoglie l’azione revocatoria non elimina l’atto impugnato, ma semplicemente consente al creditore che l’abbia esperita con successo di intraprendere, nei confronti dei terzi aventi causa, le stesse azioni conservative o esecutive sui beni oggetto dell’atto impugnato che avrebbe potuto esperire se l’atto revocato non fosse stato posto in essere (art. 2902 c.c.).
Dunque, l’azione revocatoria non ha effetto restitutorio: il bene non rientra nel patrimonio del debitore.
Essa determina l’inefficacia dell’atto impugnato, ma esclusivamente nei confronti del creditore che ha agito. Questo gli consente di promuovere sul bene oggetto di revocatoria azioni esecutive o conservative, come se il bene stesso non fosse mai uscito dal patrimonio del debitore.
Tale effetto non si estende né al debitore, che non può liberarsi da un atto ritenuto svantaggioso, né agli altri creditori, che non possono rivalersi sul bene oggetto di revocatoria, né al terzo, che non può sottrarsi agli effetti dell’atto revocato se non più di suo interesse.
In caso di un ulteriore trasferimento del bene oggetto del negozio impugnato con l’azione revocatoria a terzi subacquirenti, la legge distingue tra acquisto a titolo gratuito e a titolo oneroso.
Nel primo caso l’acquisto non gode di protezione, poiché la legge ritiene più giusto evitare il pregiudizio al creditore.
Se, invece, l’acquisto avviene a titolo oneroso, creditore e terzo subacquirente si trovano alla pari: entrambi vogliono evitare un pregiudizio. In tale situazione, la legge, nell’interesse della circolazione dei beni, ritiene opportuno tutelare l’affidamento dei terzi che abbiano agito in buona fede, ossia ignorando la frode e confidando nell’efficacia del precedente contratto.
Pertanto, se A trasferisce fraudolentemente il bene a B e B lo aliena a C, la dichiarazione di inefficacia dell’atto stipulato tra A e B si estende a C nel caso in cui quest’ultimo abbia acquistato a titolo gratuito oppure a titolo oneroso ma in mala fede, ovvero conoscendo la possibilità di revoca dell’atto.
Se, invece, C ha acquistato a titolo oneroso e in buona fede, il suo diritto sul bene resta valido, salvo il diritto del creditore di ottenere da B la restituzione del corrispettivo ricevuto da C (art. 2901, ult. comma, c.c.).
L’esigenza di garantire la sicurezza delle relazioni giuridiche e la certezza dei diritti ha spinto il legislatore a limitare nel tempo la possibilità di revocare un atto. Per questo, la prescrizione dell’azione revocatoria è più breve rispetto a quella ordinaria decennale: il termine è di cinque anni dalla data dell’atto (art. 2903 c.c.) oppure, se soggetto a pubblicità, dalla data in cui la relativa formalità è stata eseguita.
La c.d. “azione revocatoria sommaria” di atti a titolo gratuito
L’inefficienza dell’azione revocatoria, che impone al creditore di attendere il passaggio in giudicato della sentenza che la accoglie prima di iniziare la procedura esecutiva sul bene che il debitore ha alienato in frode alle sue ragioni, ha portato all’introduzione nel codice dell’articolo 2929-bis c.c. Questo consente al creditore, in presenza di determinati presupposti, di avviare l’azione esecutiva su un bene già facente parte del patrimonio del debitore, e di cui quest’ultimo abbia disposto a favore di terzi successivamente al sorgere del suo debito, senza dover prima passare necessariamente attraverso l’azione revocatoria.
La norma in esame permette, infatti, al creditore che sia “pregiudicato” da un atto di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione riguardante un bene immobile o un bene mobile registrato, compiuto dal debitore a titolo gratuito dopo la nascita del suo debito, di procedere direttamente con l’esecuzione forzata su tale bene. Ciò è possibile senza necessità di una previa sentenza dichiarativa di inefficacia dell’atto stesso ai sensi dell’art. 2901 c.c. (art. 2929-bis, comma 1, c.c.).
Tuttavia, il creditore deve avviare la procedura esecutiva, mediante pignoramento, entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto pregiudizievole (art. 2929-bis, comma 1, c.c.).
Il debitore e il terzo avente causa assoggettato ad espropriazione possono comunque contestare, in sede di opposizione all’esecuzione, l’esistenza, nel caso di specie, dell’eventus damni e/o della scientia fraudis del debitore (art. 2929-bis, comma 3, c.c.).
Nel caso in cui il terzo acquirente abbia a sua volta disposto del bene a favore di un altro soggetto, il creditore può esercitare l’azione esecutiva anche nei confronti di quest’ultimo, purché l’acquisto sia avvenuto a titolo gratuito (art. 2929-bis, comma 4, c.c.).
Il sequestro conservativo
Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice quando ha fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito (artt. 2905 ss. c.c.; artt. 671 ss. c.p.c.). Il giudice può autorizzare il sequestro conservativo di beni del debitore se sussistono due presupposti:
- il c.d. fumus boni iuris, ossia elementi che consentano di ritenere, con ragionevole probabilità, esistente e fondato il diritto di credito vantato dal ricorrente; e
- il c.d. periculum in mora, cioè il rischio che, nel tempo necessario al creditore per far valere le proprie ragioni, il debitore depauperi il suo patrimonio, compromettendo così le possibilità di esecuzione su di esso.
L’esecuzione del sequestro, autorizzato dal giudice, può riguardare beni immobili, mobili o crediti del debitore (artt. 678 ss. c.p.c.) e produce effetti per qualche verso simili all’accoglimento dell’azione revocatoria: ossia, gli atti dispositivi eventualmente compiuti dal debitore sui beni sequestrati non producono effetti nei confronti del creditore sequestrante (art. 2906, comma 1, c.c.).
La disciplina del sequestro conservativo appartiene al diritto processuale
Il diritto di ritenzione
Il diritto di ritenzione consente al creditore di rifiutare la consegna di una cosa appartenente al debitore, fino a quando quest’ultimo non abbia adempiuto a un’obbligazione connessa con la cosa stessa. Ad esempio, il possessore di buona fede ha diritto di ritenere la cosa fino al pagamento delle indennità per riparazioni, miglioramenti e addizioni (art. 1152 c.c.).
Il diritto di ritenzione non costituisce un mezzo di conservazione della garanzia generica che il creditore vanta sul patrimonio del debitore, ma una forma di autotutela.
Poiché, per regola generale, l’ordinamento giuridico vieta ai singoli di farsi giustizia autonomamente, tanto che la tutela arbitraria delle proprie ragioni costituisce reato, il diritto di ritenzione è ammesso solo nei casi espressamente previsti dalla legge, nei quali il legislatore, in presenza di ragioni particolari che giustificano una tutela rafforzata del creditore, ha derogato a tale principio. Di conseguenza, le norme che regolano il diritto di ritenzione non possono essere applicate per analogia.