modi di estinzione diversi dall'adempimento
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I modi di estinzione diversi dall’adempimento

La compensazione

La compensazione si verifica quando due persone hanno rapporti obbligatori reciproci, ossia il soggetto creditore in un rapporto è, al tempo stesso, debitore in un altro rapporto, sempre nei confronti della medesima controparte, e tali rapporti, ricorrendo determinate condizioni, possono estinguersi, in tutto o in parte, senza dover procedere ai rispettivi adempimenti.

La compensazione in senso proprio richiede che i reciproci rapporti di debito/credito siano autonomi. Non si configura, invece, quando i crediti e debiti traggono origine da un unico rapporto, come accade, ad esempio, nel caso del credito del lavoratore al TFR e del credito del datore di lavoro all’indennità di mancato preavviso, poiché questi derivano da un unico rapporto. In tale situazione, denominata compensazione impropria o atecnica, la valutazione delle reciproche pretese importa soltanto un accertamento contabile di dare e avere, che il giudice deve compiere anche senza eccezione di parte.

Di regola, la compensazione è applicabile indipendentemente dal titolo dell’uno o dell’altro debito, ma esistono eccezioni. L’art. 1246 c.c. elenca specifici crediti che non possono essere oggetto di compensazione per ragioni legate alla loro causa (tali crediti esigono che la prestazione sia in ogni caso eseguita). Tra questi spicca il credito agli alimenti (art. 447, comma 2, c.c.), la cui estinzione per compensazione potrebbe compromettere le primarie esigenze di vita dell’alimentando (Cass. 14 maggio 2018, n. 11689). Inoltre, la compensazione non è ammessa tra un’obbligazione civile e un’obbligazione naturale: unico effetto di quest’ultima è la soluti retentio.

La legge distingue tre tipologie di compensazione: legale, giudiziale e volontaria.

La compensazione legale si verifica quando i crediti reciproci possiedono cumulativamente (art. 1243, comma 1, c.c.) i requisiti di omogeneità, liquidità ed esigibilità. L’omogeneità implica che i due crediti abbiano per oggetto, entrambi, o una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere. La liquidità richiede che i due crediti siano già determinati nell’ammontare e non contestati nell’esistenza e nell’ammontare, mentre l’esigibilità comporta che i  due crediti siano suscettibili di richiesta, da parte del creditore, di immediato adempimento.

La compensazione legale per essere operante, deve essere eccepita dalla parte interessata; il giudice non può rilevarla d’ufficio (art. 1242, comma 1, c.c.). Tuttavia, l’estinzione dei debiti reciproci non avviene dal giorno della sentenza e per effetto di questa, ma dal momento della loro coesistenza (ex tunc), automaticamente, per effetto della legge.

La compensazione giudiziale si realizza quando, durante un giudizio, una delle parti invoca un credito liquido ed esigibile, e l’altra oppone in compensazione un controcredito omogeneo, non contestato ed anch’esso esigibile, ma non ancora liquido. In tali casi, il giudice può dichiarare l’estinzione dei debiti reciproci fino alla quantità corrispondente, a condizione però che il credito opposto in compensazione sia “di facile e pronta liquidazione,” come previsto dall’art. 1243, comma 2, c.c., e confermato dalla giurisprudenza.

La compensazione volontaria, infine, si basa su un accordo specifico tra le parti, che consente di rinunciare reciprocamente, in tutto o in parte, ai rispettivi crediti anche in mancanza dei requisiti necessari per la compensazione legale o giudiziale (art. 1252 c.c.). Tale compensazione può  anche essere preventiva, cioè anteriore alla scadenza dei crediti.

Dalla compensazione volontaria si distingue quella facoltativa, che si verifica quando una parte rinuncia a far valere ostacoli che impedirebbero la compensazione legale, come nel caso di un credito non ancora scaduto.

La confusione

La confusione (art. 1253 c.c.) è un modo di estinzione delle obbligazioni che si verifica quando le qualità di creditore e debitore si riuniscono nella stessa persona. Questa situazione può avvenire, ad esempio, se il creditore diventa erede del debitore, o viceversa, oppure se il creditore diventa cessionario dell’azienda del debitore e il credito stesso è riferibile all’azienda ceduta.

In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione se l’erede accetta con il beneficio d’inventario.

Naturalmente, l’estinzione del rapporto per confusione determina anche la liberazione degli eventuali terzi che abbiano prestato garanzia per il debitore.

La novazione

La novazione è un contratto attraverso il quale le parti di un rapporto obbligatorio decidono di sostituire l’obbligazione originaria con una nuova. Questo comporta sia l’estinzione del precedente rapporto obbligatorio, sia la creazione di un nuova obbligazione.

Si distingue tra novazione soggettiva e novazione oggettiva.

La novazione soggettiva si ha quando la sostituzione riguarda la persona del debitore, che viene liberato. Ad essa  si applicano le norme relative alla delegazione, all’espromissione e all’accollo (art. 1235 c.c.).

La novazione oggettiva, invece, si verifica quando la sostituzione riguarda l’oggetto dell’obbligazione (ad esempio, un debito originariamente in denaro viene sostituito, con l’accordo del creditore, dalla prestazione di una quantità di grano: detta novazione “reale”) oppure il titolo dell’obbligazione (ad esempio, un debito originariamente dovuto come prezzo di una vendita viene trasformato in un debito con la stessa somma, ma a titolo di canoni di locazione: detta novazione “causale”).

Tre sono i presupposti perché si abbia novazione oggettiva:

  • uno oggettivo, che consiste nella modifica sostanziale dell’oggetto della prestazione ovvero del titolo del rapporto: c.d. “aliquid novi“. Non basterebbero (art. 1231 c.c.) modificazioni accessorie dell’obbligazione;
  • uno soggettivo, che consiste nella volontà comune e inequivoca delle parti di estinguere l’obbligazione originaria e sostituirla con una nuova (c.d. “animus novandi“), che può essere espressa anche tacitamente, purché in modo non equivoco (art. 1230, comma 2, c.c.);
  • uno strutturale, costituito dall’interesse comune delle parti all’effetto novativo (c.d. “causa novandi“).

Le garanzie associate all’obbligazione originaria si estinguono salvo diverso accordo delle parti (art. 1232 c.c.).

La novazione è inefficace se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, mancando la causa (art. 1234, comma 1, c.c.). In caso di obbligazione derivante da un titolo annullabile, la novazione è valida se il debitore conosceva il vizio del titolo originario (art. 1234, comma 2, c.c.); altrimenti la novazione, annullato il titolo originario, dovrà ritenersi inefficace.

La distinzione tra novazione soggettiva e altre modifiche soggettive del rapporto obbligatorio è dunque chiara: nella novazione, l’obbligazione originaria si estingue e viene sostituita con una nuova, seppure con la finalità di variare la persona del creditore o del debitore; nelle altre modifiche, invece, l’obbligazione originaria conserva la propria identità, seppure con modifica della persona del creditore o del debitore.

La remissione

La remissione è un negozio unilaterale, recettizio e gratuito, attraverso il quale il creditore rinuncia, in tutto o in parte, al proprio credito. Questo istituto produce l’effetto estintivo dell’obbligazione nel momento in cui la dichiarazione del creditore giunge al debitore. Tuttavia, il debitore ha facoltà di dichiarare, entro un termine congruo, di non volerne usufruire (art. 1236 c.c.).

L’art. 1237, comma 1, c.c., sancisce una presunzione assoluta di remissione in caso di restituzione volontaria del titolo originale del credito da parte del creditore al debitore. Tale atto vale come liberazione dall’obbligazione.

La remissione del debito può essere desunta anche da una manifestazione tacita di volontà o da un comportamento concludente, purché tali da manifestare in modo univoco la volontà abdicativa del creditore.

È importante distinguere la remissione dal c.d. “pactum de non petendo“. Mentre la remissione estingue il debito in modo oggettivo, facendo cadere le garanzie associate al credito e, se si tratta di obbligazioni solidali, liberando tutti gli altri debitori (salvo che il creditore si sia riservato il diritto nei confronti degli altri condebitori, dai quali, però, non può pretendere la quota che faceva carico al debitore al quale ha rimesso il debito: art. 1301 c.c.), il pactum de non petendo rappresenta un accordo in cui il creditore si obbliga a non richiedere l’adempimento, ad esempio prima di una determinata scadenza (art. 1823 c.c.). In questa seconda ipotesi, il creditore conserva le garanzie e può agire verso gli altri debitori solidali per l’intero, salvo l’obbligo di non rivolgersi a chi è beneficiario del patto.

L’impossibilità sopravvenuta

L’impossibilità originaria della prestazione impedisce la nascita del rapporto obbligatorio; l’impossibilità sopravvenuta al suo nascere, invece, ne determina l’estinzione, purché sia dovuta a cause non imputabili al debitore (art. 1256, comma 1, c.c.).

Per impossibilità sopravvenuta si intende quella situazione impeditiva dell’adempimento non prevedibile al momento del sorgere del rapporto obbligatorio (v. Cass. 2 ottobre 2008, n. 24534) e non superabile con lo sforzo che può essere legittimamente richiesto al debitore. Non basta una maggiore difficoltà o onerosità della prestazione per configurare l’impossibilità sopravvenuta; ad esempio, un’obbligazione pecuniaria non si estingue se uno sciopero delle banche rende più complesso, per il debitore, il procurarsi la necessaria provvista, né un obbligazione di trasporto si estingue se un’interruzione stradale impone costi maggiori per percorsi alternativi.

Non è necessaria una impossibilità c.d. “assoluta”, intesa come una situazione impeditiva della prestazione insormontabile, per quanti sforzi il debitore ponga in essere. Essa può derivare da cause naturali, come la morte di un animale destinato alla consegna, definita “impossibilità materiale” o “naturalistica”, o dall’introduzione di norme o provvedimenti amministrativi, come un provvedimento dell’autorità sanitaria emesso per evitare la diffusione di una malattia, classificata come “impossibilità giuridica”.

Allo stesso modo, non è necessaria una impossibilitàoggettiva”, intesa come una situazione impeditiva dell’adempimento che riguarda la prestazione in sé, non legata alla persona del debitore né alla sua sfera economica. Un esempio è l’obbligazione di un tenore scritturato per la prima alla Scala, che si estingue per impossibilità sopravvenuta qualora l’artista subisca un improvviso calo di voce che gli impedisca di esibirsi.

In realtà, per integrare gli estremi dell’impossibilità sopravvenuta estintiva dell’obbligazione, è sufficiente che la situazione impeditiva non possa essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto. Ad esempio, l’obbligazione di un cantante si estingue perché non è esigibile che egli si esibisca nonostante un grave problema di salute.

Del pari, benché l’art. 1256, comma 1, c.c. parli di impossibilità sopravvenuta “per una causa non imputabile al debitore”, non è neppure necessario che tale situazione impeditiva sia non imputabile al debitore a titolo di colpa o dolo affinché l’obbligazione si estingua. Per esempio, l’obbligazione del lavoratore dipendente si estingue con la sua morte, anche se causata da sua grave imprudenza (ad esempio, un incidente stradale) o da un gesto volontario (come un suicidio).

In realtà, ad integrare gli estremi della « non imputabilità » della sopravvenienza della situazione impeditiva dell’adempimento, è solo necessario che tale situazione si sia verificata per una causa che il debitore non era tenuto, nei confronti del creditore, ad evitare. Così, per esempio, l’obbligazione del lavoratore dipendente si estingue con la sua morte, perché il datore di lavoro non può esigere che il dipendente guidi in modo prudente o che eviti atti estremi.

Un aspetto cruciale, dunque, è determinare se la condotta necessaria per prevenire o superare l’impedimento possa ritenersi o meno esigibile dal debitore. Ad esempio, se sia esigibile che il debitore accolga le rivendicazioni dei dipendenti in sciopero, per riavviare la produzione dei manufatti che lo stesso si è impegnato a consegnare. Infatti, se la condotta fosse ritenuta esigibile, il debitore che non la mette in atto incorrerebbe in inadempimento; al contrario, qualora si ritenga che la condotta non sia esigibile, si configurerebbe un caso di impossibilità sopravvenuta non imputabile.

A tal fine, è necessario distinguere tra impossibilità definitiva e temporanea.

L’impossibilità definitiva è quella determinata da un impedimento irreversibile o quella di cui si ignora se potrà cessare; essa estingue automaticamente l’obbligazione (art. 1256, comma 1, c.c.). L’impossibilità temporanea è quella determinata da un impedimento di natura presumibilmente transitoria e estingue l’obbligazione solo se perdura fino al momento in cui, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione, o il creditore perde interesse a riceverla. Diversamente, il debitore è esonerato dalla responsabilità per ritardo e deve adempiere non appena l’impedimento viene meno (art. 1256, comma 2, c.c.).

Si distingue inoltre tra impossibilità totale e parziale.

L’impossibilità totale preclude integralmente il soddisfacimento dell’interesse del creditore e, se definitiva, estingue l’obbligazione (art. 1256, comma 1, c.c.). L’impossibilità parziale, invece, preclude solo in parte il soddisfacimento dell’interesse creditorio: se definitiva, estingue l’obbligazione limitatamente alla parte impossibile, obbligando comunque il debitore ad eseguire ciò che è ancora fattibile, senza che il creditore possa rifiutare l’adempimento parziale (art. 1258, comma 1, c.c.).

Il legislatore equipara (art. 1257 c.c.) all’impossibilità sopravvenuta lo smarrimento di una cosa determinata, oggetto della prestazione dovuta, anche quando non possa esserne provato il perimento e sempre che lo smarrimento non sia imputabile al debitore.

Se la prestazione ha per oggetto una cosa determinata e diviene impossibile per causa imputabile ad un terzo, il debitore non incorre in responsabilità, ma è tenuto a dare al creditore quanto abbia conseguito dal terzo a titolo di risarcimento. Al creditore è altresì concesso di far valere direttamente contro il terzo i diritti che, nei  confronti di quest’ultimo, spettano al debitore (art. 1259 c.c.).

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Riferimenti:

  • Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, XXV ed.

Fonti normative:

  • Art. 447, comma 2, c.c. ;
  • artt. 1230-1237 c.c. ;
  • artt. 1242, comma 1, e 1243 c.c. ;
  • art. 1246 c.c. ;
  • artt. 1252-1253 c.c. ;
  • artt. 1256-1259 c.c. ;
  • art. 1301 c.c. ;
  • art. 1823 c.c.