
TRATTATI E TERZI STATI
Il trattato, come il contratto di diritto interno, non produce effetti nei confronti di terzi. Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso; tale regola è stata più volte ribadita nella giurisprudenza internazionale ed è una manifestazione di sovranità ed indipendenza degli Stati.
Le eccezioni alla regola, più apparenti che reali, sono tre:
- le regole di un trattato possono trasformarsi in diritto consuetudinario; il terzo sarà vincolato non dalla regola convenzionale, ma dalla regola consuetudinaria, che ha contenuto uguale alla regola convenzionale;
- l’art. 75 della Convenzione di Vienna lascia impregiudicati gli obblighi che, in relazione ad un trattato, possono scaturire per uno Stato aggressore, purché si tratti di misure adottate in conformità alla Carta delle Nazioni Unite. L’imposizione dell’obbligo al terzo non è conseguenza del trattato, ma della norma sul divieto di aggressione;
- vi possono essere trattati che creano un regime obiettivo o erga omnes, ossia che istituiscono situazioni che si impongono a tutti i membri della comunità internazionale.
Tali sono i trattati sulle vie d’acqua internazionali o il Trattato sull’Antartide. In tal caso, l’effetto sul terzo non deriva dal trattato, ma dalla realità della situazione creata dal trattato.
La Convenzione di Vienna distingue tra trattati con cui si vuole imporre un obbligo a carico del terzo e trattati che intendono attribuire diritti al terzo.
L’art. 35 dispone che un obbligo nasce per il terzo solo se le parti hanno inteso creare un tale obbligo e se il terzo lo accetti espressamente ; è richiesta la forma scritta per l’accettazione.
L’art. 36 dispone che un diritto nasca a favore del terzo se questo vi consente. Il consenso è presunto, tranne che si abbia una indicazione contraria o che il trattato disponga altrimenti, ad es. è richiesta l’accettazione espressa. La presunzione di accettazione viene in considerazione quando il diritto è disposto a favore di tutti gli Stati membri della comunità internazionale.
Tanto nel caso di trattato a carico del terzo, quanto di quello a favore, il terzo non diventa parte del trattato.
L’INVALIDITÀ DEI TRATTATI
Le cause di invalidità disciplinate dalla Convenzione di Vienna sono: violazione delle norme interne sulla competenza a stipulare di importanza fondamentale, errore, dolo, corruzione, violenza nei confronti dell’individuo organo stipulante, violenza nei confronti dello Stato nel suo insieme, violazione di una norma imperativa del diritto internazionale.
La distinzione, presente in diritto interno, tra annullabilità e nullità è difficilmente applicabile nell’ordinamento internazionale. Questi due concetti sono collegati ad un meccanismo procedurale non riscontrabile nel diritto internazionale:
- le parti sono provvisoriamente vincolate da un atto annullabile e non da un atto nullo, quantunque la pronuncia di annullamento, come conseguenza dell’annullabilità, abbia effetti ex tunc;
- l’azione di nullità è imprescrittibile, quella di annullamento è prescrittibile;
- esiste un meccanismo giurisdizionale volto ad accertare le cause di nullità e annullabilità.
Il sistema tipico di diritto interno non è comparabile col diritto internazionale dove non esistono termini certi di prescrizione ed una giurisdizione obbligatoria.
L’invalidità del trattato deve essere invocata dallo Stato parte che vi abbia interesse, non opera automaticamente.
Piuttosto che far riferimento a nullità ed annullabilità conviene distinguere tra invalidità relativa ed invalidità assoluta, secondo tre criteri: divisibilità, sanabilità, diritto di invocare la causa di invalidità. La prima può operare nei confronti di singole clausole affette dal vizio, senza travolgere l’intero trattato.
È ammessa per le causa di invalidità di violazione di norme interne sulla competenza a stipulare di importanza fondamentale, sull’errore, sul dolo e sulla corruzione (artt. 46-50); non è invece ammessa per violenza nei confronti dell’individuo organo, nei confronti dello Stato e contrarietà ad una norma imperativa di diritto internazionale (artt. 51-53). In questi casi l’invalidità travolge l’intero trattato.
La sanabilità, derivante dall’esecuzione del trattato nonostante la conoscenza del vizio, è ammissibile per le cause di cui agli artt. 46-50, mentre è esclusa, nel senso che è sempre possibile invocare l’invalidità del trattato, per quanto riguarda le cause agli artt. 51-53.
Il diritto ad invocare l’invalidità del trattato spetta solo alla parte vittima del vizio negli artt. 46-50; a ciascuna parte del trattato in relazioni agli artt. 51-53. Il primo gruppo di articoli determina le cause di invalidità relative, mentre il secondo quelle assolute. Le singole cause di invalidità possono essere così elencate:
a) Violazione delle norme interne sulla competenza a stipulare di importanza fondamentale
La conclusione di un trattato in violazione delle regole di diritto interno sulla competenza a stipulare non può essere invocata come causa di invalidità del trattato, tranne che si tratti di una violazione manifesta e riguardante una regola di importanza fondamentale. Per violazione manifesta si intende quella violazione che sia oggettivamente riconoscibile dall’altro contraente. Occorre tener conto non solo delle regole scritte, ma anche dell’organizzazione effettiva dello Stato. Una regola di importanza fondamentale è, nel nostro ordinamento, quella contenuta nell’art. 80 Cost., che richiede l’autorizzazione del Parlamento per la ratifica delle cinque categorie di trattati ivi previste. Talvolta i trattati contengono una clausola che obbliga lo Stato ad esprimere il consenso nel rispetto delle proprie disposizioni costituzionali. Se lo Stato non vi si attiene, non potrà più invocare la violazione delle norme interne come causa di invalidità del trattato.
L’art. 7 della Convenzione di Vienna stabilisce determinate presunzioni circa la competenza a stipulare. Pertanto, se il potere di un rappresentante dello Stato è oggetto di particolari limitazioni, queste rilevano solo qualora siano state portate a conoscenza degli altri contraenti.
b) L’errore
Consiste nella falsa rappresentazione di un fatto o di una situazione che uno Stato supponeva esistente al momento della stipulazione del trattato. Un tempo l’errore poteva riguardare una carta geografica, ma oggi è difficilmente ammissibile. Quello che viene in considerazione è l’errore di fatto e non l’errore di diritto: sarebbe assurdo che una cattiva conoscenza del diritto internazionale possa essere invocata per invalidare il trattato. Per potere essere causa di invalidità, l’errore deve avere le seguenti caratteristiche:
- Essenziale: lo Stato non avrebbe concluso il trattato se non fosse incorso in errore;
- Scusabile: l’errore non può essere invocato, quando le circostanze erano tali che lo Stato avrebbe dovuto rendersi conto della possibilità di un errore;
- Incolpevole: l’errore non è invocabile quando lo Stato ha contribuito all’errore con il suo comportamento.
L’errore materiale non è causa di invalidità.
c) Dolo
Uno Stato può invocare l’invalidità del trattato, qualora sia stato indotto a concludere l’atto dal comportamento fraudolento dell’altra parte. Il dolo ha luogo con un inganno che induce l’altra parte in errore. Quindi è necessario che sussistano tutte le caratteristiche dell’errore (essenziale, scusabile, incolpevole). Il raggiro deve essere opera di uno Stato che ha partecipato alla negoziazione.
d) Corruzione
È una sottospecie del dolo. La corruzione deve essere opera dell’altro Stato partecipante alla negoziazione, deve essere sostanziale (piccoli favori non costituiscono corruzione) e può essere diretta o indiretta (di solito la corruzione non è palese). Il soggetto passivo della corruzione è il rappresentante dello Stato.
e) Violenza nei confronti del rappresentante dello Stato
L’art. 51 della Convenzione di Vienna stabilisce la nullità di un trattato, quando il consenso dello Stato a vincolarsi sia stato ottenuto con violenza “esercitata sul suo rappresentante per mezzo di atti e minacce diretti contro di lui”. Si può trattare di atti diretti contro il rappresentante dello Stato, ma anche contro la sua famiglia allo scopo di costringerlo a concludere il trattato. Viene in considerazione la violenza nei confronti del soggetto in quanto individuo e non individuo organo. La violenza non deve necessariamente provenire dallo Stato che ha partecipato alla negoziazione, ma può essere anche opera di terzo. L’art. 51 sanziona con la nullità dell’accordo la violenza morale; quella fisica comporta l’inesistenza dell’accordo.
f) Violenza nei confronti dello Stato nel suo insieme
Ai sensi dell’art. 51, è nullo il trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con minaccia o uso della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite. Pertanto, un trattato concluso in seguito ad un’azione in legittima difesa non può essere considerato invalido. L’art. 52 fa riferimento non solo all’impiego della forza, ma anche alla sua minaccia (ad es. ultimatum). Non è specificato il termine forza, ma questa deve essere intesa come coercizione militare e non si estende alla coercizione politica o economica. Fu adottata una risoluzione in cui si condanna l’uso della violenza militare, politica o economica nella conclusione dei trattati. Questa risoluzione non è parte integrante della Convenzione di Vienna; essa però condanna il ricorso alle diverse forme di coercizione, ma non afferma che il trattato concluso a seguito di tali forme è invalido.
La Corte internazionale di giustizia, prima dell’entrata in vigore della Convenzione di Vienna, ha qualificato come appartenente al diritto consuetudinario la norma in virtù della quale un trattato concluso sotto coercizione è invalido. Se un trattato di pace è stato concluso a seguito di un uso illegittimo della forza (ad es. aggressione), probabilmente il trattato è invalido. Al contrario, sarebbe valido un trattato di pace imposto all’aggressore da una coalizione vittoriosa.
Un problema particolare si pone per i trattati conclusi sotto pressioni terroristiche. La minaccia della forza proviene da un soggetto che non ha partecipato alla negoziazione, ma questa circostanza non è un ostacolo per affermare l’invalidità dell’accordo.
g) La contrarietà del trattato a una norma imperativa del diritto internazionale (ius cogens)
L’art. 53 dispone la nullità qualora un trattato sia contrario ad una norma imperativa del diritto internazionale: è il caso dell’alleanza aggressiva.
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L’ESTINZIONE DEI TRATTATI
Gli artt. 54-64 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati disciplinano le cause di estinzione. Talune di queste sono considerate anche causa di sospensione. Le cause di estinzione, oltre a quelle interne al trattato (esecuzione, termine, condizione risolutiva), sono le seguenti: denuncia o recesso, abrogazione espressa o implicita, violazione sostanziale ad opera di una delle parti, impossibilità sopravvenuta, mutamento fondamentale delle circostanze, sopravvenienza di una norma imperativa del diritto internazionale. La Convenzione lascia da parte la questione degli effetti della guerra sui trattati, che resta affidata al diritto consuetudinario.
a) Denuncia o recesso
Può avere luogo sia in relazione ad un trattato multilaterale sia in relazione ad un trattato bilaterale. Il recesso di uno o più Stati da un trattato multilaterale non estingue il trattato tra le altre parti contraenti. Se il trattato contiene una clausola di denuncia o recesso, lo Stato dovrà seguire la procedura stabilita dalla clausola. Normalmente, i trattati di disarmo contengono una clausola di recesso.
Un problema si pone per i trattati stipulati a tempo indeterminato, che non contengono alcuna clausola di denuncia o recesso. Secondo l’art. 56 della Convenzione, denuncia o recesso sono ammissibili quando possono essere dedotti dalla natura del trattato oppure quando risulti dall’intenzione delle parti ammettere la possibilità di denuncia o recesso. La Carta delle Nazioni Unite non contiene alcuna disposizione sulla facoltà di recesso; ma dai lavori preparatori si desume che circostanze eccezionali possono indurre uno Stato membro a recedere dall’organizzazione. In alcuni casi il recesso è anche causa di sospensione.
b) Violazione sostanziale ad opera di una delle parti
L’art. 60 della Convenzione di Vienna configura una causa di estinzione o sospensione del trattato come conseguenza della sua violazione. Per potere invocare tale causa, lo Stato deve trovarsi di fronte ad una violazione sostanziale del trattato ad opera di un altro Stato parte. La violazione sostanziale viene definita come ripudio del trattato non autorizzato dalla Convenzione di Vienna oppure come la violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell’oggetto e dello scopo del trattato. Il semplice inadempimento non legittima l’altra parte a chiedere l’estinzione del trattato. La Convenzione di Vienna distingue tra trattati bilaterali e trattati multilaterali, in questo ultimo caso tale causa di estinzione è più difficile da applicare. Il principio del semplice inadempimento non si applica ai trattati di natura umanitaria (trattati relativi ai diritti dell’uomo e quelli in materia di diritto comunitario che si applicano in occasione di un conflitto armato) e quando il trattato ne escluda espressamente l’applicazione.
c) L’impossibilità sopravvenuta
L’impossibilità di esecuzione può essere invocata solo se l’impossibilità sia il risultato della scomparsa o della definitiva distruzione di un oggetto indispensabile all’esecuzione del trattato. Ad es., uno Stato, che abbai perduto tutto il suo territorio costiero e sia divenuto privo di litorale, non potrà più onorare un trattato di navigazione con cui consentiva l’accesso ai suoi porti. Peraltro, l’impossibilità di esecuzione non può essere invocata quando questa sia la conseguenza di una violazione, perpetrata dallaparte che la invoca, del trattato o di altro obbligo internazionale a danno di una qualsiasi altra parte del trattato.
d) Il mutamento fondamentale delle circostanze
Il mutamento fondamentale delle circostanze esistenti al momento della conclusione del trattato può essere invocato come causa di estinzione, di recesso o di sospensione del trattato, purchè:
- si tratti di un cambiamento fondamentale rispetto alle circostanze esistenti al momento della conclusione del trattato e
- il cambiamento non fosse stato previsto.
Inoltre la Convenzione detta altre due condizioni:
- le circostanze debbono aver costituito una base essenziale per la stipulazione del trattato;
- il cambiamento trasforma radicalmente la portata degli obblighi che devono essere ancora eseguiti.
Tuttavia, il mutamento delle circostanze non può essere invocato come causa di estinzione recesso o sospensione: quando il cambiamento è dovuto ad una violazione del diritto internazionale imputabile alla parte che invoca il recesso, la sospensione o l’estinzione; oppure quando viene in considerazione un trattato che fissa un confine.
La giurisprudenza internazionale è restia ad ammetterne l’operatività nel caso concreto per non pregiudicare il principio della stabilità dei trattati internazionali.
Occorre aggiungere che la rottura delle relazioni diplomatiche e consolari non comporta l’automatica estinzione del trattato, tranne che l’esistenza di queste relazioni sia indispensabile per l’applicazione del trattato.
e) La sopravvenienza di una norma imperativa del diritto internazionale
Un trattato si estingue qualora sopraggiunga una norma imperativa del diritto internazionale. La fattispecie è quella di un trattato valido nel momento in cui è stato concluso, poiché non contrario a nessuna norma imperativa del diritto internazionale. Successivamente, a causa della nascita di una nuova norma imperativa, il trattato viene a trovarsi in contrasto con lo ius cogens.
f) La guerra
La guerra può essere causa di estinzione dei trattati oppure condizione per la loro piena operatività. Come già detto, la questione non è disciplinata dalla Convenzione di Vienna del 1969, ma viene lasciata volutamente impregiudicata: occorre fare riferimento, pertanto, al diritto consuetudinario e alla prassi, che sembra distinguere tre categorie di trattati.
Alcuni trovano nella guerra la ragione della loro esistenza e operatività (ad es. le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949).
Altre volte la guerra determina una situazione di radicale incompatibilità con la situazione preesistente, per cui il trattato si estingue: ad es., si pensi ad un trattato di alleanza stipulato tra due stati, che in seguito entrano in guerra l’uno contro l’altro.
In ordine ad una terza categoria di trattati (ad es. trattati di commercio), infine, la guerra produce un effetto sospensivo, che, qualora il trattato sia multilaterale, si produce solo inter partes, cioè nei rapporti tra gli stati belligeranti.
Dopo la fine delle ostilità è invalsa la prassi di “rimettere in vigore” i trattati sospesi. La procedura per la rimessione in vigore è in genere contenuta nel trattato di pace.
La Cassazione si è pronunciata a favore dell’estinzione solo per i trattati il cui contenuto sia divenuto radicalmente incompatibile con lo stato di guerra, mentre negli altri casi la guerra produrrebbe un mero effetto sospensivo ed il trattato riprenderebbe a produrre automaticamente i suoi effetti, dopo la cessazione delle ostilità.
Un problema particolare sorge per i trattati multilaterali di disarmo, la cui osservanza, in tempo di guerra, potrebbe mettere in pericolo la sicurezza dei belligeranti, specialmente nel caso in cui solo uno di essi fosse vincolato. Tali trattati contengono una clausola di recesso piuttosto ampia, che abilita lo Stato contraente a denunciare il trattato, quando si verifichino “eventi straordinari” che mettano in pericolo i suoi “supremi interessi”. Il belligerante può pertanto usare la clausola di recesso senza ricorrere alla teoria dell’automatica sospensione del trattato, che lo esporrebbe all’accusa di violazione, essendo egli vincolato anche nei confronti dei non belligeranti. Al contrario, per i trattati bilaterali è più facile ipotizzare l’automatica estinzione, che consentirebbe al belligerante di evitare di attendere il decorso del tempo necessario (in media tre mesi) affinché il recesso diventi operante.
La guerra non dovrebbe provocare un effetto sospensivo o estintivo in relazione ai trattati internazionali in materia di diritti dell’uomo. Di regola, tali trattati contengono una clausola che abilita lo Stato ad invocare la guerra per sospendere l’applicazione delle disposizioni a tutela dei diritti umani: vi sono tuttavia diposizioni che non possono essere derogate, quali ad esempio il divieto di trattamenti inumani e degradanti. Un consolidato orientamento della Corte Internazionale di Giustizia ha, più volte, ribadito che in occasione di un conflitto armato devono essere rispettati sia il diritto internazionale umanitario sia i diritti umani.
La guerra non dovrebbe pregiudicare l’esistenza dei trattati istitutivi di una organizzazione internazionale.
Fonti normative:
• articolo 75 Convenzione di Vienna del 1969
• articolo 35 Convenzione di Vienna del 1969
• articolo 36 Convenzione di Vienna del 1969
• articoli 46/50 Convenzione di Vienna del 1969
• articoli 51/53 Convenzione di Vienna del 1969
• articolo 7 Convenzione di Vienna del 1969
• articoli 54/64 Convenzione di Vienna del 1969
• le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949
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