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Il Diritto dei Trattati

L’emendamento e la revisione dei Trattati

Emendamento e revisione sono formalmente termini equivalenti che stanno ad indicare una modifica del trattato. Sotto il profilo materiale l’emendamento indica una modifica minore di singole clausole del trattato, mentre la revisione comporta una modifica più incisiva del trattato nel suo complesso.
La regola fondamentale è quella secondo cui un trattato può essere emendato per accordo tra le parti. Quindi un accordo posteriore può modificare un accordo precedente, ma la modifica, per essere efficace, implica che tutti gli Stati parti dell’accordo precedente siano parti dell’accordo posteriore.
La Convenzione di Vienna detta poi talune regole per la modifica dei trattati multilaterali. Tali regole sono derogabili.
Si possono avere i seguenti rapporti contrattuali:

  • L’ipotesi più semplice è quella secondo cui tutte le parti del trattato anteriore siano parti del trattato posteriore. In tal caso, le parti sono vincolate dal trattato posteriore;
  • Può darsi, invece, che soltanto alcune parti del trattato anteriore divengano parti del trattato posteriore.

In questo caso, il trattato emendato si applica tra gli stati che lo hanno ratificato. Nei rapporti tra stati parti non ratificanti e stati parti ratificanti prevale il trattato anteriore non emendato.
La Convenzione di Vienna ammette che due o più parti del trattato multilaterale possano concludere tra loro un accordo derogatorio. Tale possibilità incontra un limite nei diritti delle parti del trattato multilaterale, che non devono essere pregiudicati, e nell’oggetto e scopo del trattato. In altri termini, l’accordo derogatorio non può comportare una violazione del trattato multilaterale, pena la sua illiceità.

Le regole ora enunciate sono derogabili per volontà delle parti.
In primo luogo, il trattato può prevedere una procedura ad hoc per quanto riguarda il suo emendamento o la sua revisione (ad es., l’art. 109 della Carta delle Nazioni Unite).
La conferenza di revisione di un trattato multilaterale non deve essere confusa con la conferenza di riesame, tipica dei trattati di disarmo. La conferenza di riesame può aver luogo ad intervalli regolari, secondo quanto stabilito dal trattato, oppure essere convocata per iniziativa di una o più parti del trattato. Durante la conferenza di riesame la parti fanno un bilancio dei risultati acquisiti con l’esecuzione del trattato.

Questa conferenza non è di emendamento ed ha un chiaro carattere politico. Talvolta, però, si può avere la combinazione tra conferenza di riesame e conferenza di revisione dove si prendono decisioni che incidono sulla struttura del trattato (ad es., la conferenza di New York del 1995).
Il principio secondo cui un trattato può essere modificato con il consenso di tutte le parti è troppo rigido, e mal si adatta ai cambiamenti che si verificano nelle relazioni internazionali. Per questo taluni trattati prevedono una procedura di emendamento erga omnes: la decisione di emendare un trattato è presa solo da un gruppo di Stati parti; però tutte le parti sono automaticamente vincolate dalla decisone presa e, pertanto, troverà applicazione il trattato emendato.
Regole particolari sono in genere stabilite per i trattati di disarmo. Quello in materia nucleare dà una preminenza agli stati nucleari.
Da notare che un trattato può essere emendato dalla prassi successiva, qualora questa porti alla conclusione di un accordo tacito modificativo del trattato.

La soluzione delle controversie in materia di invalidità ed estinzione dei Trattati

La Convenzione di Vienna del 1969 ha dettato una procedura in materia di invalidità e di estinzione dei trattati che tenta di porre fine all’unilateralismo esistente al riguardo. La procedura si applica solo ai trattati conclusi dopo l’entrata in vigore della Convenzione stessa (ratifica o adesione). Per l’Italia il riferimento è ai trattati conclusi dopo il 27 gennaio 1980.
La procedura è disciplinata dagli artt. 65 e 66 della Convenzione.
Una parte non può unilateralmente sciogliersi dal vincolo contrattuale, ma deve notificare la propria intenzione all’altra parte, precisando la misura che intende prendere e i motivi che ne sono alla base.
L’altra parte ha tre mesi di tempo per obiettare, salvo motivi di particolare urgenza.

Se resta inattiva, c’è acquiescenza e la parte che ha iniziato il procedimento può adottare la declaratoria di invalidità o di estinzione. In caso contrario nasce una controversia, che dovrà essere risolta secondo i metodi indicati dall’art. 33 della Carta delle Nazioni Unite (negoziato, conciliazione, mediazione, ecc…). Può darsi che le parti non siano d’accordo sul metodo da scegliere: ciò comporta un prolungarsi della controversia.

Tuttavia, se entro dodici mesi dal momento in cui l’obiezione alla pretesa di invalidità o di estinzione è stata sollevata la controversia non è ancora risolta, l’art. 66 della Convenzione di Vienna prevede due procedure. Se l’oggetto della controversia, ovvero la pretesa di invalidità o di estinzione del trattato, è basata sulla contrarietà di questo alle norme imperative (ius cogens) è previsto che ciascuna parte possa adire la Corte Internazionale di Giustizia mediante ricorso, tranne che le parti non preferiscano, di comune accordo, ricorrere all’arbitrato. In tutti gli altri casi di invalidità ed estinzione è previsto il ricorso alla conciliazione obbligatoria, il cui risultato non è vincolante, ma ha soltanto il valore di raccomandazione alle parti in causa.

Pertanto, la Convenzione di Vienna non elimina totalmente l’unilateralismo: infatti, la parte che ha invocato la causa di invalidità o di estinzione, pur soccombendo nel giudizio di conciliazione, può adottare la declaratoria di invalidità e di estinzione, avendo seguito in buona fede la procedura prescritta dalla Convenzione. Quindi, la controversia non si estingue ma perdura nel tempo.
Gli atti contenenti la declaratoria di invalidità e di estinzione devono essere redatti in forma scritta e firmati dagli organi che rappresentano lo Stato nelle relazioni internazionali: Capo di Stato, Capo di Governo e Ministero degli affari esteri, altrimenti, la firma può essere apposta solo da chi ha i pieni poteri.

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La Costituzione italiana e i Trattati internazionali

L’art. 11 Cost. non ha per oggetto espressamente la stipulazione dei trattati internazionali, ma pone dei limiti al loro contenuto e nello stesso tempo, secondo giurisprudenza costituzionale, riguarda la legge di autorizzazione alla ratifica di alcuni trattati internazionali.
In primo luogo, la norma impone un divieto avente per oggetto il contenuto del trattato: è proibito stipulare trattati in contrasto con la disposizione costituzionale. La prima proposizione dell’art. 11, infatti, impone “il ripudio” della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Un trattato in contrasto con l’art. 11 sarebbe non solo costituzionalmente illegittimo, ma anche con ogni probabilità nullo, in quanto contrario ad una norma imperativa del diritto internazionale.

L’art. 11 è stato, inoltre, interpretato come una norma “permissiva”: esso consentirebbe di autorizzare con legge ordinaria la ratifica di un trattato che comporta limitazioni di sovranità nazionali (quindi dell’Italia) necessarie per assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, purché in condizioni di parità con gli altri Stati; consentirebbe inoltre di ratificare con legge ordinaria i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali.
Nel nostro ordinamento la competenza a ratificare i trattati internazionali spetta al Presidente della Repubblica (fermo restando che la decisione politica di procedere o meno alla ratifica spetta la Governo). Questo vale anche in caso di adesione.
L’art. 87, ottavo comma, Cost., recita infatti che il Presidente della Repubblica “ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, autorizzazione delle Camere”. Secondo l’art. 80 Cost. la legge di autorizzazione è richiesta per le seguenti cinque categorie di trattati:

  • Trattati di natura politica;
  • Trattati che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari;
  • Trattati che importano variazioni nel territorio dello Stato;
  • Trattati che importano oneri alle finanze;
  • Trattati che importano modificazioni di leggi.

La dizione trattati di “natura politica” è estremamente ampia. Nella circolare n. 5 del Ministro degli Affari Esteri (1995) si legge: “[…] poiché ogni accordo internazionale ha un qualche rilievo politico anche minimo, l’espressione in questione non può riferirsi che ai trattati che hanno un grande rilievo politico, comportanti scelte fondamentali di politica estera”.
Per quanto riguarda trattati che prevedono arbitrati e regolamenti giudiziari si tratta di espressione tecnico giuridica che non si presta a dubbi. Lo stesso dicasi per gli accordi che importano una variazione del territorio dello Stato, anche se alcuni di questi non incidono sul territorio dello Stato in senso stretto, ma su aree su cui lo Stato gode di diritti sovrani (ad es. ZEE o piattaforma continentale). La ratifica è preceduta dalla autorizzazione parlamentare.

Nella citata circolare, a proposito dei trattati che importano oneri alle finanze dello Stato, si afferma che

“il riferimento è agli oneri aggiuntivi rispetto a quelli che trovano copertura negli stanziamenti del bilancio dello Stato”.

I trattati che comportano una modificazione di legge sono quelli che incidono sul nostro ordinamento giuridico.
Occorre ricordare che l’art. 72, quarto comma, Cost. esclude che si possa ricorrere alla forma abbreviata: la norma impone la procedura normale di esame e approvazione diretta da parte delle Camere.
Non si può neppure provvedere in tal senso mediante decreto legge.
È opportuno ricordare che nel nostro ordinamento si possono avere le seguenti forme di stipulazione dei trattati internazionali:

  • Trattati ricompresi alla categoria di cui all’art. 80 Cost, per cui è necessaria la legge di autorizzazione alla ratifica, effettuata da parte del Presidente della Repubblica;
  • Trattati per cui è richiesta solo la ratifica da parte del Presidente della Repubblica (sono trattati stipulati in forma solenne);
  • Accordi in forma semplificata che entrano in vigore con la sola sottoscrizione da parte degli organi dell’esecutivo oppure con lo scambio di documenti costituenti trattato (ad es. scambio di note).

Non possono essere stipulati in forma semplificata trattati nelle materie ricadenti nell’art. 80 Cost.
La loro stipulazione, in forma semplificata è costituzionalmente illegittima. Possono, invece, essere stipulati trattati in forma semplificata nelle materie non ricomprese nell’art. 80 Cost.. Non esiste alcuna disposizione costituzionale che legittimi la stipulazione di accordi in forma semplificata, ma la loro legittimità non viene posta in dubbio: “si tratta di una categoria di portata molto limitata, non espressamente contemplata dalla Costituzione, che, sulla base di una prassi ormai consolidata, comprende gli accordi esecutivi di precedenti accordi precettivi regolarmente entrati in vigore e quelli di natura puramente amministrativa o tecnica” (circolare del 1955 già richiamata).

La prassi internazionale attesta come i rapporti internazionali non siano gestiti esclusivamente dai ministri degli affari esteri. Altre amministrazioni statali sono interessate e concludono sovente intese di natura tecnica con istituzioni omologhe, che però non costituiscono accordi in forma semplificata. Comunque si precisa che le intese in questione non sono concluse a nome dello Stato italiano e si precisa che esse non devono contenere clausole tipiche degli accordi internazionali (entrata in vigore, denuncia, modifica). Resta, peraltro, aperto il problema del valore giuridico di tali intese e la loro efficacia nell’ordinamento interno.

Nell’ordinamento italiano mancava un documento ufficiale dove vengono elencati i trattati che vincolano lo Stato. Alla lacuna si è ovviato imponendo di trasmettere trimestralmente, per la pubblicazione in apposito supplemento della Gazzetta Ufficiale, i trattati internazionali vincolanti l’Italia. Inoltre, devono essere pubblicati annualmente in un volume ad hoc della Gazzetta Ufficiale gli accordi internazionali vigenti per l’Italia, con l’indicazione degli stati parti e delle eventuale riserve.
È da chiedersi se possano essere stipulati trattati segreti. Tesi autorevole sostiene che, qualora ne esistano i presupposti, il Governo potrebbe segretare l’atto. Naturalmente il trattato segreto sarebbe costituzionalmente ammissibile solo per gli accordi in forma semplificata, che non abbiano per oggetto materie disciplinate dall’art. 80 Cost. Tuttavia anche in relazione a tali ultimi trattati, vi è chi ammette la possibilità di stipulare clausole segrete, per evitarne la divulgazione che potrebbe altrimenti danneggiare i supremi interessi dello Stato.

Un trattato può essere provvisoriamente applicato prima della sua entrata in vigore quando questo sia stato stabilito dai negoziatori. Naturalmente il problema si pone per il nostro ordinamento in relazione a quanto disposto dall’art. 80 Cost o a quelli per cui è richiesta direttamente la ratifica da parte del Presidente della Repubblica. Non esiste a nostro parere un preciso ostacolo costituzionale poiché l’art. 80 Cost. ha per oggetto unicamente la ratifica dell’accordo, ma non la sua provvisoria applicazione. Ciò premesso, l’adattamento del nostro ordinamento alla Convenzione di Vienna ha comportato l’introduzione della norma, prevista all’art.25 della Convenzione stessa, che abilita gli organi dell’esecutivo a disporre la provvisoria esecuzione dell’accordo. Il Parlamento si è dichiarato contrario all’applicazione provvisoria degli accordi internazionali, tranne espressa autorizzazione caso per caso.
Competente ad apporre riserve è l’organo legittimato, secondo il nostro ordinamento, a manifestare la volontà internazionale dello Stato. Spetterà quindi al Governo formulare una riserva, che sarà poi formalmente apposta dal Presidente della Repubblica al momento del deposito della ratifica. Si possono avere due situazioni:

  • Il Parlamento autorizza la ratifica del trattato, purché il Governo apponga una riserva, ma Questo non tiene conto delle volontà del Parlamento. Secondo taluni, il Governo è libero di tenere o meno conto della riserva voluta dal Parlamento, poiché non è obbligato a ratificare il trattato anche dopo l’autorizzazione parlamentare. A nostro parere, la questione rientra nei rapporti fiduciari Governo-Parlamento, e non è accettabile la tesi secondo cui lo Stato non è obbligato per la parte di trattato oggetto della riserva voluta dal Parlamento e non formulata dal Governo.
  • Il Parlamento non formula alcuna riserva, ma questa è apposta dal Governo. La riserva è valida sul piano internazionale e, in analogia con quanto detto precedentemente, si può osservare che il Governo è libero di formulare riserve.

Tra l’autorizzazione e il deposito della ratifica trascorre spesso un notevole lasso di tempo. Le mutate circostanze interne o internazionali potrebbero consigliare la formulazione di una riserva oppure di non tener conto della riserva deliberata dal Parlamento.
La denuncia dei trattati, anche di quelli di cui all’art. 80 Cost., è di competenza dell’esecutivo. Tuttavia, è opportuno che il Parlamento sia informato delle intenzioni del Governo, specialmente quando il trattato rivesta un’importanza politica rilevante.
Le stesse considerazioni valgono per la decisione di invocare l’invalidità di un trattato.

L’art. 75, 2° comma, Cost. esclude espressamente che la legge di autorizzazione alla ratifica di un trattato possa essere sottoposta a referendum abrogativo, in quanto finirebbe per abrogare l’ordine di esecuzione del trattato, con la conseguenza che, la mancata esecuzione del trattato nell’ordinamento interno, renderebbe lo Stato responsabile sul piano internazionale. La Corte Costituzionale ha più volte affermato tale inammissibilità. Taluni ordinamenti stranieri, invece, ammettono il referendum, ma si tratta di un referendum preventivo, e cioè prima che intervenga la ratifica del trattato internazionale.
L’art. 117, ultimo comma, Cost. attribuisce alle Regioni il potere di concludere accordi con Stati stranieri. Tale potere, che può avere per oggetto solo le materie di competenza regionale, deve essere esercitato nei modi e nei casi stabiliti dalle leggi dello Stato. Gli accordi che possono essere stipulati hanno contenuto limitato, dovendo consistere in accordi esecutivi e applicativi di accordi internazionali stipulati dallo Stato italiano ed entrati in vigore, accordi di natura tecnico – amministrativa o accordi di natura programmatica finalizzati a favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale delle Regioni e delle Province di Trento e di Bolzano (questo è quanto dispone la L. 131/2003).

Le Regioni e le Province autonome devono inoltre rispettare i vincoli derivanti dalla Costituzione, dall’ordinamento comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di politica estera italiana, nonché dai principi fondamentali dettati dalle leggi dello Stato. L’accordo non può essere invasivo dell’art. 80 Cost., dovendo rispettare i vincoli derivanti dalla Costituzione. Peraltro, il contrasto ipotizzato è più apparente che reale, poiché la competenza regionale difficilmente potrebbe avere ad oggetto materie disciplinate dall’art. 80. Gli accordi sono sottoscritti dalla Regione o dalla Provincia autonoma, previo conferimento di pieni poteri da parte del Ministero degli Affari Esteri, che valuta opportunità e legittimità dell’accordo. Il perfezionamento dell’accordo avviene mediante la firma da parte del Presidente della Regione o della Provincia autonoma, poiché la ratifica è prerogativa del Capo dello Stato. L’accordo è nullo qualora esso sia stato stipulato senza che siano stati conferiti i pieni poteri.
Il Governo può intervenire durante l’iter della trattativa; l’ultima parola spetta al Consiglio dei Ministri.

Regioni e Province autonome possono stipulare intese con enti territoriali interni ad uno Stato estero. Ma tali intese non hanno natura di accordo internazionale; sono comunque sottoposte a controllo.
La disposizione costituzionale qui in esame non contiene alcun cenno circa la possibilità di stipulare un accordo tra una Regione italiana ed un ente omologo estero, dotato degli stessi poteri (ad es. uno Stato membro di uno Stato federale). Neppure è detto esplicitamente se una Regione italiana possa concludere intese con uno Stato estero. La Corte Costituzionale non si è espressa sul punto; ma si è espressa implicitamente sul secondo punto, accogliendo la tesi del Governo secondo cui le Regioni possono stipulare intese solo con enti interni di uno Stato estero e non con Stati esteri.

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Fonti normative:

  • articolo 18 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 7 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 75 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 35 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 36 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 46/50 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 51/53 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 54/64 Convenzione di Vienna del 1969
  • le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949
  • articolo 109 Carta delle Nazioni Unite
  • articoli 65 e 66 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 33 Carta delle Nazioni Unite
  • articolo 11 Costituzione
  • articolo 87 VII°c. Costituzione
  • articolo 80 Costituzione
  • Circolare n.5 Ministro affari esteri del 1995
  • articolo 72 IV°c. Costituzione
  • articolo 25 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 75 II°c. Costituzione
  • articolo 117 ultimo comma Costituzione
  • legge 131/2003