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Il Diritto dei Trattati

Premessa

Il diritto dei trattati è stato in larga parte codificato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati conclusa nel 1969 dopo una conferenza durata due anni, che ha potuto avvalersi del progetto preparato dalla Commissione del diritto internazionale. La Convenzione è entrata in vigore nel 1980; consta di 85 articoli e un allegato. Essa regola tutte le fasi di vita del trattato: conclusione ed entrata in vigore, rispetto, applicazione e interpretazione, emendamento e modifica, invalidità, estinzione e sospensione, notifiche, correzione del testo.

La Convenzione non regola le questioni successorie che sono disciplinate da una Convenzione ad hoc, né le questioni relative alla responsabilità degli Stati, oggetto di altri progetti di articoli redatti dalla Commissione del diritto internazionale. La Convenzione di Vienna è un trattato sui trattati e contiene disposizioni dichiarative del diritto consuetudinario in vigore e altre che ne costituiscono lo sviluppo progressivo; queste ultime sono poi divenute col tempo diritto internazionale consuetudinario.
La Convenzione, pur avendo avuto molte adesioni (l’Italia lo ha fatto nel 1974), non ha conseguito l’universalità degli Stati della comunità internazionale: mancano all’appello i tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Francia, Regno Unito e Stati Uniti). Cina e Federazione Russa l’hanno ratificata.

Modalità di stipulazione ed entrata in vigore dei Trattati

La procedura di stipulazione inizia con la negoziazione. I negoziati sono condotti da plenipotenziari degli Stati, i quali si mettono d’accordo su un testo. La negoziazione di trattati multilaterali ha luogo nell’ambito di una conferenza internazionale, oppure in seno all’organo di una organizzazione internazionale.
L’adozione del testo avviene col consenso di tutti gli Stati partecipanti, salvo che il testo sia adottato da una Conferenza internazionale, nel qual caso l’adozione avviene con il consenso dei 2/3 degli Stati presenti e votanti. La regola, tuttavia, è derogabile. Il testo può essere siglato dai plenipotenziari con le sole iniziali (parafatura).

A questa fase segue quella della firma vera e propria, che viene apposta anche quando la parafatura sia omessa. Generalmente la firma non obbliga le parti ad osservare il trattato, ma ha lo scopo di autenticare e rendere incontestabile il testo negoziato. L’art. 18 della Convenzione di Vienna stabilisce che comunque la firma obbliga lo Stato ad astenersi da atti incompatibili con l’oggetto e lo scopo del trattato, fintanto che non abbia manifestato la sua intenzione di non divenirne parte.
La fase successiva è la ratifica, l’atto con cui lo Stato si impegna ad osservare il trattato. A questa segue lo scambio delle ratifiche, qualora venga in considerazione un trattato bilaterale. Nei trattati multilaterali ha luogo, invece, il deposito delle ratifiche presso il depositario, cioè uno Stato o un’organizzazione internazionale (ad es. il Segretariato Generale delle Nazioni Unite).

I trattati bilaterali entrano in vigore dopo lo scambio delle ratifiche; quelli multilaterali dopo il raggiungimento di un certo numero di ratifiche. Si diviene parte di un trattato multilaterale anche con l’adesione: atto con cui divengono parti del trattato gli Stati che non hanno partecipato alla negoziazione; a tal proposito occorre consultare la clausola di adesione per individuare gli Stati in possesso dei requisiti per aderire al trattato e il termine entro cui effettuare l’adesione. Ad oggi, l’adesione è utilizzata da quegli Stati che non abbiano firmato il trattato entro i termini stabiliti, pur avendo partecipato alla negoziazione.
Dopo la conferenza che ha adottato il testo del trattato, viene normalmente redatto un atto finale: una specie di atto notarile che registra tutte le fasi della conferenza, gli Stati partecipanti e le regole di procedura. Ovviamente quest’ultimo non viene sottoposto a ratifica.

Le modalità di stipulazione esposte riguardano gli accordi conclusi in forma solenne, dove la firma ha solo lo scopo di autenticare il testo, e la ratifica (o l’adesione) ha lo scopo di obbligare lo Stato a osservare il trattato internazionale. Negli accordi conclusi in forma semplificata, la procedura è più semplice e predispone la negoziazione, cui segue la firma da parte dei plenipotenziari. In tal caso la firma ha lo scopo sia di autenticare che di obbligare le parti ad osservare il trattato.

La capacità di concludere Trattati internazionali

Gli Stati, in quanto soggetti di diritto internazionale, hanno la capacità di concludere trattati. Non rilevano gli Stati membri di Stati federali cui la costituzione interna può conferire il potere di stipulare accordi. Chi stipula, però, sotto il profilo di diritto internazionale, è lo Stato federale non lo Stato membro.
In realtà, ci sono altri soggetti titolari dello ius contrahendi, tra cui le organizzazioni internazionali che possono stipulare accordi sia con enti omologhi sia con Stati (Nazioni Unite e NATO). Numerosi sono gli accordi stipulati dalla UE con altri Stati o con altre organizzazioni internazionali.

Anche gli insorti e i movimenti di liberazione nazionale possono concludere tali accordi; le due entità hanno, però, limitata capacità internazionale, in quanto gli accordi conclusi hanno per oggetto la conduzione e la cessazione delle ostilità oppure gli accordi di sede con gli Stati che li ospitano. La capacità di questi due soggetti di diritto internazionale si desume dal diritto internazionale umanitario.
Governo costituito e partito insurrezionale possono concludere accordi.

I pieni poteri degli organi legittimati a concludere gli accordi internazionali

L’adozione del testo di un trattato, la sua autenticazione o il consenso ad essere obbligato, devono provenire da persone i cui atti siano imputabili allo Stato, e che siano abilitate dal diritto internazionale a concluderli. Queste persone o organi sono individuate dal diritto interno di ogni Stato membro della comunità internazionale; esistono però alcune norme internazionali che legittimano certi organi statali a compiere atti relativi alla stipulazione di un trattato.

L’art. 7 della Convenzione del 1969 distingue due categorie di persone: persone che, per esprimere la volontà dello Stato in materia di stipulazione di un trattato, devono esibire i “pieni poteri” e persone i cui pieni poteri sono presunti a causa delle funzioni esercitate.
Un atto compiuto da una persona che non aveva il potere è privo di effetti giuridici, tranne che esso sia successivamente convalidato dallo Stato.
I pieni poteri sono di regola un documento firmato dal Capo dello Stato e controfirmato dal Ministro degli Affari esteri.
Quanto alle persone, i cui poteri sono presunti, la Convenzione di Vienna elenca tre categorie:

  1. Capi di Stato, Capi di governo, Ministro degli affari esteri: oltre a porre in essere tutti gli atti relativi alla stipulazione del trattato possono manifestare il consenso dello Stato ad obbligarsi;
  2. Capi di missione diplomatica, in merito ai trattati conclusi tra Stato accreditante e Stato accreditatario. Possono compiere solo gli atti in materia di adozione del testo, ma non esprimere il consenso;
  3. Rappresentanti degli Stati accreditati ad una conferenza internazionale o presso una organizzazione internazionale o uno dei suoi organi. Anche in questo caso possono compiere solo atti in materia di adozione del testo.

La Convenzione di Vienna non menziona le convenzioni tra belligeranti: accordi, scritti o orali, che disciplinano le questioni di ordine militare. Il progetto di stipula si distingue da quello tradizionale per le particolari esigenze e per la necessità di speditezza; possono essere stipulate dai comandanti militari o dai responsabili delle operazioni, ed entrano subito in vigore, senza bisogno di essere sottoposti alla ratifica. Ai sensi della legge italiana, il comandante ha facoltà di concludere con il nemico tregue, sospensioni di armi, armistizi e altre convenzioni di carattere militare. Dette categorie non possono contenere clausole politiche o territoriali, pena la loro invalidità. Il diritto internazionale accorda ai comandanti il potere di stipulare, con il nemico, eventuali convenzioni, senza l’esibizione dei pieni poteri.

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Le riserve

La mole di trattati e le difficoltà di conciliare i vari interessi delle parti inducono gli Stati a formulare delle riserve al momento della conclusione del trattato, ovvero dichiarazioni unilaterali fatte da uno Stato quando sottoscrive, ratifica, accetta o approva un trattato o vi aderisce, attraverso le quali esso mira ad escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione. La riserva può essere eccettuativa: lo Stato esclude l’applicazione di una determinata clausola; oppure modificativa o interpretativa di alcune clausole del trattato.

Non sono riserve le dichiarazioni di natura politica, lo sono invece le dichiarazioni che hanno lo scopo di escludere o modificare una clausola del trattato. Non è rilevante la forma della riserva quanto il suo contenuto e lo scopo; può essere apposta solo in un trattato multilaterale, in quanto in quello bilaterale equivarrebbe ad un’offerta a concludere un nuovo trattato.
È stato abbandonato da tempo il principio di integrità del trattato, secondo cui lo Stato che formulava una riserva poteva divenire parte solo se il trattato prevedeva la possibilità di apporre riserve o se le stesse venivano accettate da tutti i contraenti. Quando il trattato vieta o ammette le riserve, le disposizioni vanno rispettate; tuttavia, quando nulla dice, non è più necessario che la riserva sia accettate da tutte le altre parti: è sufficiente che uno Stato contraente la accetti affinché il suo autore possa divenire parte del trattato.

La Corte internazionale di giustizia ha affermato il principio secondo cui sono inammissibili le riserve incompatibili con l’ oggetto e lo scopo del trattato.
Di fronte ad una riserva altrui, l’altro Stato può accettarla o formulare un’eccezione. I rapporti che si instaurano tra Stati riservanti e altri Stati si riassumono così:

  • nei rapporti tra Stato riservante e Stato accettante, il trattato si applica ad eccezione della clausola oggetto della riserva (riserva eccettuativa) o, con le modifiche o nelle interpretazioni volute dallo Stato riservante (riserva modificativa o interpretativa);
  • nei rapporti tra Stato riservante ed obiettante il trattato non si applica;
  • nei rapporti tra Stati non riservanti il trattato si applica integralmente.

Nel formulare un’obiezione, lo Stato deve specificare che non intende avere alcun rapporto contrattuale con lo Stato riservante, qualora non voglia divenire parte del trattato nei confronti dello Stato riservante. Altrimenti, di fronte ad una semplice obiezione, lo Stato obiettante diventa parte nei confronti dello Stato riservante ed il trattato si applica ad eccezione della clausola oggetto della riserva. La semplice obiezione produce gli stessi effetti dell’accettazione, qualora si tratti di una riserva eccettuativa; qualora si tratti di riserva modificativa o interpretativa, gli effetti dell’obiezione non qualificata sono diversi da quelli dell’accettazione. Mentre in caso di accettazione della riserva la clausola che ne è oggetto si applica come modificativa o interpretativa dello Stato riservante, in caso di obiezione non qualificata la clausola oggetto della riserva non si applica.

Problemi particolari sorgono per i trattati che stabiliscono vincoli solidali (obblighi erga omnes partes) nei confronti di tutte le parti contraenti, ad es. quelli in materia di diritti dell’uomo. In tal caso, l’obiezione è priva di significato pratico; se uno Stato non applica il trattato nei confronti dello Stato riservante, vìola il trattato nei confronti di tutti gli altri Stati (Trattato sul divieto delle armi batteriologiche oppure il Trattato di non proliferazione nucleare). La Commissione ha specificato che una riserva non consentita è nulla.
I trattati multilaterali spesso stabiliscono quali riserve sono ammissibili e quali no. La giurisprudenza della Corte EDU considera come non apposta una riserva inammissibile, indipendentemente dal fatto che essa abbia sollevato obiezioni e ritiene lo Stato riservante parte del trattato. È dubbio che questa soluzione corrisponda al diritto internazionale consuetudinario. Le riserve possono essere formulate al momento della firma della ratifica o dell’adesione.

Possono essere ritirate in qualsiasi momento, senza che sia necessario il consenso dello Stato accettante. Si è inteso privilegiare il principio dell’integrità del trattato: dopo la ratifica o l’adesione non si possono formulare più riserve; non mancano casi però di riserve tardive, le quali però devono essere accettate da tutti gli Stati contraenti o incontrare la loro acquiescenza. La riserva tardiva è da valutare come un’offerta a concludere un nuovo accordo, piuttosto che una vera e propria riserva Altrimenti, di fronte ad una semplice obiezione, lo Stato obiettante diventa parte nei confronti dello Stato riservante ed il trattato si applica ad eccezione della clausola oggetto della riserva.

La semplice obiezione produce gli stessi effetti dell’accettazione, qualora si tratti di una riserva eccettuativa; qualora si tratti di riserva modificativa o interpretativa, gli effetti dell’obiezione non qualificata sono diversi da quelli dell’accettazione. Mentre in caso di accettazione della riserva la clausola che ne è oggetto si applica come modificativa o interpretativa dello Stato riservante, in caso di obiezione non qualificata la clausola oggetto della riserva non si applica.
Problemi particolari sorgono per i trattati che stabiliscono vincoli solidali (obblighi erga omnes partes) nei confronti di tutte le parti contraenti, ad es. quelli in materia di diritti dell’uomo. In tal caso, l’obiezione è priva di significato pratico; se uno Stato non applica il trattato nei confronti dello Stato riservante, vìola il trattato nei confronti di tutti gli altri Stati (Trattato sul divieto delle armi batteriologiche oppure il Trattato di non proliferazione nucleare). La Commissione ha specificato che una riserva non consentita è nulla.

I trattati multilaterali spesso stabiliscono quali riserve sono ammissibili e quali no. La giurisprudenza della Corte EDU considera come non apposta una riserva inammissibile, indipendentemente dal fatto che essa abbia sollevato obiezioni e ritiene lo Stato riservante parte del trattato. È dubbio che questa soluzione corrisponda al diritto internazionale consuetudinario. Le riserve possono essere formulate al momento della firma della ratifica o dell’adesione. Possono essere ritirate in qualsiasi momento, senza che sia necessario il consenso dello Stato accettante. Si è inteso privilegiare il principio dell’integrità del trattato: dopo la ratifica o l’adesione non si possono formulare più riserve; non mancano casi però di riserve tardive, le quali però devono essere accettate da tutti gli Stati contraenti o incontrare la loro acquiescenza. La riserva tardiva è da valutare come un’offerta a concludere un nuovo accordo, piuttosto che una vera e propria riserva.
Le obiezioni possono essere fatte da uno Stato parte o semplicemente da uno Stato firmatario.

L’interpretazione dei Trattati

Il criterio da seguire per interpretare un trattato è quello obiettivo. Occorre procedere all’interpretazione testuale, attribuendo ai termini impiegati il loro senso ordinario, tenuto conto del loro contesto (interpretazione sistematica), alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato. Pertanto, la Convenzione di Vienna integra il metodo oggettivo con quello teleologico: le finalità che il trattato si propone sono spesso ricavabili dal preambolo.

Il trattato deve essere interpretato secondo buona fede; i termini impiegati devono essere interpretati nel loro significato normale e, qualora siano chiari, è inammissibile sollevare problemi interpretativi. Anche gli allegati fanno parte del contesto.
La Convenzione detta altri due strumenti che concorrono a formare il suindicato contesto:

  • ogni accordo in rapporto col trattato, purché sia stato adottato contemporaneamente alla conclusione del trattato;
  • ogni strumento posto in essere da una o più parti in occasione della conclusione del contratto e accettato dalle altre parti come strumento in connessione con il trattato. Si può far riferimento ad una dichiarazione interpretativa, accettata dalle parti. La Convenzione di Vienna parla di strumento e quindi si riferisce ad un atto diverso dal trattato.

Ai fini dell’interpretazione del trattato, occorre tener conto:

  • di ogni accordo posteriore tra le parti in relazione all’interpretazione o applicazione del trattato. Le parti possono concludere un accordo sul significato da dare a taluni termini o clausole del contratto;
  • della prassi successiva seguita nell’applicazione del trattato, che equivalga ad un accordo delle parti in materia di applicazione del trattato;
  • di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti tra parti: diritto consuetudinario e principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili, da cui si ricavano norme che integrano gli accordi.

Entrambi non sono necessariamente quelli esistenti al momento della stipula del trattato in base al principio del tempus regit actum, poiché possono venire in considerazione anche norme nate successivamente.
La Convenzione sminuisce l’importanza dei lavori preparatori, che invece sono valorizzati dal metodo di interpretazione soggettivistico; sono collocati tra i mezzi complementari di interpretazione e vengono considerati sia per confermare l’interpretazione sia per determinare il significato del trattato quando: il ricorso al metodo obiettivistico e ai criteri illustrati precedentemente lascia il senso del trattato oscuro e quando il risultato è “manifestamente assurdo o irragionevole”.
Accade spesso che i lavori preparatori non vengano nemmeno pubblicati o che si pubblichi soltanto un resoconto sommario della seduta.

Tra i mezzi complementari di interpretazione ci sono anche le circostanze in cui il trattato è stato concluso; si terrà conto del quadro storico e degli avvenimenti che hanno portato alla sua conclusione.
I trattati multilaterali sono redatti in più lingue; tutte queste fanno egualmente fede, cioè costituiscono le lingue autentiche del trattato. La regola generale è che i termini del trattato abbiano lo stesso significato nei diversi testi autentici: in caso di divergenza si adotterà il significato che permette di meglio conciliare le varie versioni linguistiche. Sempre più frequente è l’utilizzo dell’inglese come lingua di lavoro.

Nel caso vi sia un errore nella traduzione di un termine o di una clausola, da una lingua ad un’altra, si procederà alla correzione del testo mediante una procedura ad hoc.
Per i trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, è stata prospettata la teoria dei poteri impliciti per cui gli organi dell’organizzazione avrebbero i poteri necessari per raggiungere i fini dell’organizzazione. Tale teoria è stata applicata dalla Corte internazionale di giustizia nel 1949.

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Fonti normative:

  • articolo 18 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 7 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 75 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 35 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 36 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 46/50 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 51/53 Convenzione di Vienna del 1969
  • articoli 54/64 Convenzione di Vienna del 1969
  • le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949
  • articolo 109 Carta delle Nazioni Unite
  • articoli 65 e 66 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 33 Carta delle Nazioni Unite
  • articolo 11 Costituzione
  • articolo 87 VII°c. Costituzione
  • articolo 80 Costituzione
  • Circolare n.5 Ministro affari esteri del 1995
  • articolo 72 IV°c. Costituzione
  • articolo 25 Convenzione di Vienna del 1969
  • articolo 75 II°c. Costituzione
  • articolo 117 ultimo comma Costituzione
  • legge 131/2003