diritto del mare
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Il diritto del mare

La codificazione del diritto del mare

Il regime giuridico degli spazi marini è stato oggetto di vari tentativi di codificazione a livello intergovernativo. Il primo tentativo fu intrapreso nel quadro di un più ampio sforzo di codificazione del diritto internazionale promosso dalla Società delle Nazioni. Fu convocata nel 1930 all’Aja una Conferenza per la codificazione del diritto internazionale, che aveva in agenda, tra i settori da codificare, il regime giuridico del mare territoriale.
Durante i lavori emerse un contrasto in relazione all’estensione del mare territoriale e all’opportunità di un riconoscimento della zona contigua: la Conferenza dell’Aja non poté adottare alcuna convenzione sulle acque territoriali. Fu tuttavia possibile inserire nell’atto finale della Conferenza il testo di alcune disposizioni sulle quali si era raggiunto il consenso fra gli Stati partecipanti in materia di definizione dei diritti dello Stato costiero sul mare territoriale e di passaggio inoffensivo.

Detti articoli rivestono un notevole interesse soprattutto ai fini della ricostruzione del diritto internazionale consuetudinario, quantunque non abbiano dato luogo alla conclusione di un trattato internazionale.
L’opera di codificazione del diritto internazionale marittimo fu ripresa successivamente dalle Nazioni Unite e dalla Commissione del diritto internazionale.
I lavori della Commissione sfociarono in un progetto di articoli sul diritto del mare che nel 1956 fu sottoposto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e successivamente costituì la base dei negoziati in seno alla Prima Conferenza sul diritto del mare, tenutasi a Ginevra nel 1958 con la partecipazione di 86 Stati, che si concluse con l’adozione di quattro testi convenzionali distinti: la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, la Convenzione sull’alto mare, la Convenzione sulla piattaforma continentale e la Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare.

L’adozione di quattro testi convenzionali è motivata dal fatto che si è voluto favorire la più ampia partecipazione degli Stati, consentendo loro di vincolarsi relativamente ad alcune parti soltanto del regime convenzionale stabilito. Infatti i testi adottati hanno avuto esiti differenti: la Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua, la Convenzione sull’alto mare e quella sulla piattaforma continentale hanno avuto seguito soddisfacente; un esito insignificante ha avuto la Convenzione sulla pesca.
Alcuni Stati sono parti di una o più convenzioni ma non ne hanno ratificato altre, ad es. l’Italia è parte contraente della Convenzione sul mare territoriale e di quella sull’alto mare, ma non delle altre.

La prima Conferenza sul diritto del mare non riuscì a conseguire l’accordo tra gli Stati sul problema dell’ampiezza delle acque territoriali. Per questo ne fu convocata una seconda nel 1960, che però fu parimenti un fallimento.
Dopo la conclusione della Conferenza vennero alla luce nuove esigenze: il decisivo impulso per l’avvio di una nuova opera di codificazione del diritto internazionale del mare venne proposta nel 1967 dalla delegazione maltese presso l’Assemblea Generale, diretta a riservare per fini pacifici l’utilizzazione dei fondi marini posti oltre la giurisdizione nazionale degli Stati costieri e garantire lo sfruttamento delle relative risorse nell’interesse dell’intera comunità. L’Assemblea creò nel 1967 un Comitato sugli usi pacifici del suolo e sottosuolo marino.

Fu convocata nel 1970 la terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare che si sviluppò attraverso 11 sessioni; il processo negoziale si concluse a Montego Bay nel 1982 con l’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. La nuova codificazione è strumento unitario che disciplina le differenti aree marine e pone fine al relativismo convenzionale.
Gli Stati Uniti, insoddisfatti della parte della Convenzione relativa ai fondi marini, intrapresero negoziati per una modifica della Convenzione prima ancora della sua entrata in vigore.
La Convenzione sul diritto del mare non abroga le Convenzioni di Ginevra del 1958; stabilisce infatti che tra gli Stati parti delle Convenzioni di Ginevra del 1958 e della Convenzione del 1982 quest’ultima abbia la prevalenza.

La Convenzione sul diritto del mare entra in vigore il 1994 dopo il deposito del 60° strumento di ratifica. Numerose disposizioni hanno natura di diritto consuetudinario: sono divenute obbligatorie per gli Stati prima della sua entrata in vigore.
Nonostante sia stata modificata la parte su cui non erano d’accordo gli Stati Uniti, questi ultimi hanno preferito non ratificarla e preferiscono per il momento essere vincolati solo da norme consuetudinarie.

Il mare territoriale

La sovranità di ogni Stato costiero si estende al di là del territorio e delle acque interne ad una zona di mare adiacente alle sue coste denominata mare territoriale; sono soggetti alla sua sovranità lo spazio aereo sovrastante il mare territoriale e il relativo letto e sottosuolo marino.
Anche le isole, distese di terra di formazione naturale circondate da acqua che resta scoperta ad alta marea, hanno un proprio mare territoriale.
Il mare territoriale ha un proprio limite interno ed uno esterno. Il primo, dal quale si procede alla misurazione del mare territoriale, viene determinato mediante la fissazione delle linee di base.

La linea di base normale da utilizzare quale punto di partenza per la misurazione del mare territoriale, è la linea di costa a bassa marea quale indicata sulle carte marittime a grande scala, riconosciute ufficialmente dallo Stato costiero. Ove la costa sia frastagliata ed indentata, lo Stato costiero può, se lo desidera, congiungere con una serie di linee ideali i punti più sporgenti della costa (sistema delle linee rette).
Il sistema delle linee rette può essere impiegato anche nel caso in cui la costa sia piatta, purché in quest’ultima ipotesi esista un gruppo di isole nell’immediata vicinanza.

Il diritto internazionale non pone un limite preciso alla lunghezza delle rette, ma detta solo criteri volti a limitare la discrezionalità dello Stato costiero: il tracciato delle linee rette non può discostarsi in modo apprezzabile dalla direzione generale della costa; gli spazi marini, situati all’interno delle linee rette, devono essere sufficientemente collegati al dominio terrestre affinché vengano sottoposti al regime delle acque interne.
Il limite esterno del mare territoriale è determinato dallo Stato costiero entro un limite massimo previsto dalla Convenzione del 1982 che prevede come l’ampiezza di tale zona marina non possa eccedere le 12 miglia. Il criterio delle 12 miglia è acquisito dal diritto consuetudinario ed è stato adottato dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, Stati tradizionalmente restrittivi nel fissare l’ampiezza del mare territoriale.

La sovranità dello Stato costiero sul mare territoriale incontra i limiti del passaggio inoffensivo e della giurisdizione civile e penale sulle navi in transito. Per passaggio si intende la navigazione nel mare territoriale per attraversarlo, senza toccare le acque interne ovvero per recarsi nelle acque interne o per prendere il largo dalle stesse (l’accesso alle acque interne è subordinato al consenso dello Stato costiero). Il passaggio deve essere continuo e rapido; non c’è facoltà di sosta o ancoraggio tranne che questi costituiscano eventi ordinari di navigazione come una breve sosta per aggiustare il carico, ovvero siano resi necessari da forza maggiore, pericolo o necessità di prestare soccorso a persone o altre navi. Il passaggio è inoffensivo quando non pregiudichi pace, buon ordine e sicurezza dello Stato costiero. La Convenzione del 1982 elenca una serie di attività che rendono il passaggio pregiudizievole: è il caso delle esercitazioni o manovre con armi.

Si discute se il diritto di passaggio inoffensivo spetti solo alle navi mercantili o anche a quelle da guerra. Un’interpretazione sistematica degli atti del 1958 e di quello del 1982 induce a ritenere che le norme convenzionali accordino il passaggio ad entrambe le categorie di navi. Quanto al diritto consuetudinario è difficile prendere una posizione definitiva. Gli Stati occidentali sono tradizionalmente favorevoli al passaggio di entrambe, stessa cosa l’Unione Sovietica; ma numerose legislazioni del terzo mondo continuano a subordinare il passaggio delle navi da guerra alla previa autorizzazione dello Stato costiero.
Le navi in passaggio inoffensivo devono rispettare leggi e regolamenti dello Stato costiero, in particolare in materia di sicurezza di navigazione e prevenzione dell’inquinamento; i sommergibili devono navigare in emersione e mostrare la bandiera.
Lo Stato costiero può sospendere il diritto di passaggio inoffensivo qualora la sospensione sia essenziale alla protezione della sua sicurezza e che abbia carattere temporaneo e non discriminatorio.

La giurisdizione civile e penale non può essere esercitata sulle navi da guerra poiché esse godono di immunità completa. Per quanto concerne le navi mercantili la consuetudine internazionali accorda l’esenzione della nave straniera in passaggio dalla giurisdizione penale dello Stato costiero per quanto riguarda i fatti interni (avvenimenti che riguardano la vita della nave e non hanno ripercussioni sul mondo esterno). Viceversa la giurisdizione penale dello Stato costiero sussiste quando si tratta di fatti che turbano la tranquillità e il buon ordine di Stato costiero e mare territoriale.

Il rigore della norma è attenuato dalla convenzione del 1982 quando stabilisce che lo Stato costiero non dovrebbe esercitare giurisdizione penale al fine di procedere all’arresto di persona a bordo o atti di istruzione su nave straniera in passaggio nel mare territoriale e in relazione ad un reato commesso a bordo durante il passaggio, tranne in ipotesi ben determinate che presuppongono un collegamento tra il crimine e la terraferma o il consenso dello Stato della bandiera o per attuare misure necessarie per combattere il traffico di stupefacenti.
In merito alla giurisdizione civile lo Stato costiero non dovrebbe arrestare o dirottare una nave mercantile straniera in passaggio per esercitare la giurisdizione civile nei confronti di una persona che si trovi a bordo. La Convenzione del 1982 impone un dovere allo Stato costiero di non adottare misure esecutive o conservative sulla nave in passaggio, tranne che non si tratti di misure prese in riferimento a obbligazioni assunte dalla nave nel corso o in vista del passaggio nel mare territoriale.

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Le baie

Sono insenature che penetrano profondamente nella costa. Gli Stati hanno sempre mostrato volontà di chiuderle con una o più linee rette per questioni di sicurezza. Pertanto il diritto consuetudinario internazionale ha accordato allo Stato costiero il diritto di chiudere la baia purché essa non sia mera incurvatura della costa, ma una baia in senso giuridico, ovvero l’insenatura deve racchiudere una superficie di acque uguale o superiore a quella di un semicerchio avente per diametro la linea tracciata tra i punti di ingresso della baia.

Le baie in senso giuridico possono essere chiuse solo se la distanza tra i punti di ingresso non superi le 24 miglia; qualora la distanza sia superiore, gli Stati sono autorizzati a tirare una linea retta di 24 miglia marine all’interno della baia in modo da racchiudere una superficie di acque la più ampia possibile.
Le baie storiche possono essere chiuse anche qualora non soddisfino il criterio del semicerchio e indipendentemente dalla loro ampiezza. Una baia è storica qualora si dimostri che sia soggetta a un prolungato esercizio di diritti di sovranità da parte dello Stato costiero e l’acquiescenza degli altri Stati. Una rivendicazione di baia storica è stata avanzata dall’Italia a proposito del golfo di Taranto; gli Stati Uniti si sono opposti.

Il mare territoriale italiano

Secondo il Codice della Navigazione del 1942 il mare territoriale italiano aveva un’estensione pari a 6 miglia marine a partire dalla linea di costa a bassa marea.
La legge 359/1974, modificando l’art. 2 del Cod. Nav., ha esteso fino a 12 miglia l’ampiezza del mare territoriale, calcolate sempre a partire dalla linea di costa di bassa marea e ha adottato per le baie il criterio delle 24 miglia. Il decreto 816/1977 apportò ulteriori innovazioni: utilizzò ampiamente il criterio delle linee rette, dichiarò il Golfo di Taranto baia storica e utilizzò il sistema della linea di costa a bassa marea per larghe fasce di litorale (ad esempio per l’Adriatico, dove la costa è piatta).

I Golfi di Venezia, Manfredonia, Salerno e Squillace sono stati chiusi utilizzando il sistema che consente di tracciare una retta lungo una costa marcata da profonde frastagliature e insenature, non essendo tali golfi baie in senso giuridico e avendo comunque la linea di chiusura una lunghezza superiore alle 24 miglia.
In merito alla chiusura dell’arcipelago toscano, essa è stata fatta in riferimento alla circostanza che esiste un gruppo di isole lungo la costa.
Anche Sardegna e Sicilia sono state delimitate con il sistema delle linee rette (Malta ha protestato per le coste meridionali siciliane).

Gli stretti internazionali

Sono quei bracci di mare siti tra due terre emerse, compresi interamente nelle acque territoriali dello Stato o degli Stati rivieraschi, che mettono interamente in comunicazione due parti più ampie di mare. La Corte internazionale di giustizia nel caso del canale di Corfù ha specificato che in questi luoghi vige il diritto di passaggio inoffensivo non sospendibile in favore sia delle navi privati che delle navi da guerra.
La Convenzione di Ginevra del 1958 specificò che il diritto di passaggio inoffensivo attraverso gli stretti non può essere sospeso, a differenza di quanto avviene per il passaggio nelle semplici acque territoriali. La Convenzione estende il regime degli stretti anche a quelli che collegano l’alto mare con il mare territoriale di uno Stato straniero.
Il regime degli stretti ha subito una notevole revisione con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Con l’estensione del mare territoriale a 12 miglia, molti bracci di mare, nei quali precedentemente esisteva un corridoio di alto mare, sono stati assoggettati alla sovranità dello Stato rivierasco.

La Convenzione del 1982 introduce la nozione di passaggio in transito (esercizio della libertà di navigazione e di sorvolo al solo fine del transito rapido e continuo nello stretto) che comporta diritti più ampi del passaggio inoffensivo, e precisamente:

  • transito delle navi sia private che da guerra non sospendibile;
  • il diritto di sorvolo a favore degli aeromobili civili e militari;
  • la possibilità per i sommergibili di navigare in immersione durante l’attraversamento dello stretto.

Le navi e gli aeromobili in transito devono astenersi dalla minaccia e dall’uso della forza contro gli Stati rivieraschi, nonché da ogni attività che non sia in diretto rapporto con il transito. Il passaggio in transito si applica agli stretti utilizzati per la navigazione che mettono in comunicazione due parti di alto mare, due zone economiche esclusive oppure una zona economica esclusiva e una zona di alto mare. Non si applica invece, e si considera passaggio inoffensivo non sospendibile, agli stretti che collegano il mare territoriale di uno Stato a una parte di alto mare oppure alla zona economica esclusiva di un altro Stato e agli stretti che collegano due zone di alto mare, ma compresi fra il continente e un’isola appartenente allo stesso Stato costiero, sempre che esista una via di comunicazione alternativa di compatibile comodità. Questo regime è applicabile allo stretto di Messina.

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Riferimenti:

  • N. Ronzitti, Diritto internazionale, Giappichelli

Fonti normative:

  • Conferenza dell’Aja per la codificazione del diritto internazionale del 1930
  • Conferenza sul diritto del mare di Ginevra del 1958
  • Convenzione sul mare territoriale e la zona contigua
  • Convenzione sull’alto mare
  • Convenzione sulla piattaforma continentale
  • Convenzione sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare.
  • Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare Montego Bay nel 1982
  • Codice della Navigazione del 1942
  • Legge 359/1974
  • Decreto legge 816/1977