Cos’è il fondo patrimoniale
Il fondo patrimoniale (art. 167, 168, 169, 170, 171 c.c.) si costituisce per destinare alcuni beni al soddisfacimento dei bisogni, al mantenimento e all’assistenza della famiglia. Tramite questo strumento un coniuge o entrambi (gli uniti civilmente o anche un soggetto terzo) decidono di creare, quindi, un patrimonio destinato a uno specifico scopo. L’istituto è stato introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975; viene sostituito il precedente strumento del patrimonio familiare che si caratterizzava per la titolarità e l’amministrazione dei beni, che ne facevano parte, in capo al coniuge costituente.
Il fondo patrimoniale è un atto di liberalità e a titolo gratuito.
Come si costituisce il fondo patrimoniale
Il fondo patrimoniale può essere costituito prima o durante il matrimonio, a mezzo di un atto pubblico o da un terzo, anche tramite testamento. Nel caso in cui il fondo venga costituito per atto tra vivi da un terzo (sempre con la forma di atto pubblico) è necessaria l’accettazione di entrambi i coniugi.
Se altro non è stabilito nell’atto di costituzione, la proprietà dei beni spetta ad entrambi i coniugi. Nonostante ciò il giudice può disporre che una quota dei beni sia data in proprietà o in godimento a un figlio.
L’atto di costituzione deve essere annotato all’atto di matrimonio e trascritto nei registri immobiliari (se il fondo dovesse avere ad oggetto beni immobili). Tale annotazione è fondamentale per rendere opponibile il fondo ai soggetti terzi; trattasi di una forma di pubblicità legale.
Tale fondo comporta una modifica del regime patrimoniale dei coniugi. Si badi, però, che esso non costituisce un sistema alternativo al regime di comunione o di separazione, bensì un istituto che può coesistere con ciascuno di essi.
Il fondo cessa per annullamento, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio. Se ci sono figli minori esso dura fino al raggiungimento della loro maggiore età.
Cosa può far parte del fondo patrimoniale
Possono essere immessi nel fondo: i beni immobili, i mobili registrati o i titoli di credito. Tutti sono destinati a soddisfare i bisogni della famiglia. Oggetto del vincolo non è il bene in quanto tale, ma il diritto sul bene.
A tal riguardo, può essere un diritto di proprietà, la nuda proprietà, l’usufrutto, la superficie e l’enfiteusi.
Il conferimento di beni nel fondo è un atto di liberalità simile alla donazione. Il fondo deve, infatti, realizzare, proprio, gli interessi familiari. Questa costituzione fa in modo che i coniugi diano stabilità alla vita familiare da un punto di vista patrimoniale.
Il patrimonio che si viene a formare obbliga i coniugi ad impiegare i frutti dello stesso solo per i bisogni della famiglia e non per altre ragioni.
I beni conferiti non possono formare oggetto di più fondi rivolti a soddisfare più famiglie; il vincolo riguarda i bisogni di una sola famiglia.
L’amministrazione del fondo patrimoniale
I coniugi gestiscono il fondo in base alle regole di amministrazione previste per la comunione legale.
Mentre l’ordinaria amministrazione è disgiunta, la straordinaria amministrazione spetta ad entrambi i coniugi congiuntamente.
Per alcuni atti di disposizione del fondo è necessario il consenso di entrambi i coniugi e, ancora, se ci sono figli minori bisogna chiedere l’autorizzazione del giudice.
Si può far ricorso al giudice anche nel caso di rifiuto di uno dei coniugi a prestare il proprio consenso al compimento di un atto di straordinaria amministrazione.
L’altro coniuge otterrà l’autorizzazione solo qualora il giudice accerti che l’atto è posto in essere nell’interesse della famiglia.
Una simile autorizzazione viene richiesta quando uno dei due coniugi è lontano o ha un impedimento, la finalità è quella di poter amministrare il fondo.
Quindi, se uno dei coniugi non è in grado di amministrare, l’altro chiede al giudice l’esclusione dall’amministrazione.
Nell’estremo caso in cui entrambi i coniugi non riescano ad amministrare il fondo (ad esempio, perché incapaci) chiunque abbia interesse può ricorrere al giudice per ottenere l’esclusione di entrambi.
I beni facenti parte del fondo possono essere alienati solo col consenso di entrambi.
Limiti alla pignorabilità del fondo patrimoniale
I creditori non possono aggredire il fondo se i debiti riguardano questioni estranee all’interesse familiare. Quindi sia i beni che i frutti del fondo possono essere aggrediti per debiti derivanti da obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia.
Palese, quindi, una deroga alla responsabilità di cui all’art. 2740 c.c. (“Responsabilità patrimoniale”).
Pertanto, il debitore, per contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata (quindi al pignoramento) deve provare:
- la regolare costituzione del fondo patrimoniale,
- l’opponibilità dello stesso nei confronti del creditore pignorante,
- che il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni familiari e che il creditore era a conoscenza di tale estraneità.
Queste precisazioni sono state individuata anche da recenti sentenze della Corte di Cassazione (sentenza n. 15886/2014).
Ad ogni modo, il pignoramento dei beni del fondo patrimoniale è vietato se il fondo patrimoniale è stato istituito prima della nascita del debito; debito relativo ai bisogni della famiglia.
Infine, la prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni.
Revocatoria ordinaria e fallimentare del fondo patrimoniale
Qualora i debiti riguardino questioni attinenti la famiglia il creditore può procede con un’azione revocatoria, ex art. 2901 c.c., così da ottenere una sentenza che dichiari l’atto di costituzione del fondo inefficace nei suoi confronti.
Il termine per esperire tale azione è di cinque anni dall’annotazione nell’atto di matrimonio; il creditore deve, però, dimostrare che il patrimonio residuo del debitore (non facente parte del fondo) non è idoneo a soddisfare le sue ragioni.
Considerata la natura di atto a titolo gratuito, il fondo patrimoniale può essere revocato anche ai sensi dell’art.64 l. fall. Tale atto è inefficace nei confronti nei confronti dei creditori se viene compiuto nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.