Cosa sono i diritti fondamentali e da dove vengono
I diritti fondamentali si possono definire tali non tanto per il loro contenuto, quanto il loro rango, ovvero la posizione che occupano nella gerarchia delle tutele e in relazione ai beni tutelati. Quindi nell’ambito dei diritti previsti dalla Costituzione bisogna distinguere quelli fondamentali da quelli non fondamentali; e ancora tali diritti fondamentali, in alcuni casi, vanno cercati anche al di fuori delle Costituzione stessa.
In merito, si può affermare che vi sia un dibattito assai ricco tra gli studiosi giuslavoristi.
Secondo alcuni è importante circoscrivere la categoria di tali diritti; essi ritengono “fondamentali” i diritti di libertà dei lavoratori, articolando attorno ad essi valori come uguaglianza, dignità della persona e libertà sindacale e tenendoli distinti dai diritti scaturenti dal contratto.
Secondo altri, i diritti fondamentali sono quelli rinvenibili nel “nucleo duro” dei diritti inviolabili dei lavoratori.
Quest’ultimo orientamento sembra quello più idoneo a far emergere la funzione “conservativa” che assume la categoria dei diritti fondamentali nel diritto del lavoro. Tuttavia, questo approccio è comunque riduttivo perché individua solo “in negativo” i diritti fondamentali, trascurando, anche, il fatto che il loro riconoscimento nel diritto sopranazionale può comportare un’estensione o una trasformazione delle tutele in alcuni ordinamenti nazionali.
L’orientamento preferibile si basa su due aspetti. Quello formale che pone in rilievo la tipologia della fonti che riconosce i diritti fondamentali; quello sostanziale, invece, rimarca la connessione dei diritti fondamentali con determinati valori irrinunciabili.
Tale approccio è sintetizzato in una sentenza della Corte di Cassazione; i giudici individuano i diritti inviolabili di “valenza costituzionale” non solo nella positizzazione ma anche dai documenti sopranazionali (così come interpretati dai giudici nazionali). Tali diritti sono garantiti e tutelati con efficacia “erga omnes”, proprio perché fondanti della persona umana. La sentenza elenca anche i documenti sopranazionali da cui dedurre tali diritti: norme della Convenzione europea sui diritti dell’uomo; Trattato di Lisbona; Carta di Nizza; la Carta sociale europea.
Anche questo approccio è aperto a molteplici discussioni, in quanto mette in risalto l’attività ermeneutica ma non una elencazione chiara, precisa ed esaustiva dei diritti fondamentali.
I diritti fondamentali dei lavoratori
In riferimento alle tutele fondamentali di rilevanza costituzionale, bisogna menzionare la sintesi della dottrina a proposito di una “visione tripartita” della Costituzione. Essa viene considerata un testo normativo che vive di un contesto fattuale (cioè l’esperienza sociale) e di un contesto normativo (cioè l’ordinamento giuridico che è continuamente ricreato da giudici e legislatore); unitamente a questo c’è anche il pre-testo (ovvero il quadro assiologico cui il testo costituzionale rinvia). Il costituzionalismo moderno appare molto più dinamico, complesso e instabile rispetto a quello classico, e quindi riferirsi solo al testo costituzionale nazionale per proteggere effettivamente i diritti fondamentali appare irrealistico.
Bisogna riconsiderare alcuni approcci metodologici e concettuali sorti durante la “fase della costituzionalizzazione nazionale”, la quale è stata caratterizzata dalla contrapposizione di due scuole di pensiero: la prima che voleva tradurre in tutele rigide legali tutti i diritti riconosciuti ai singoli lavoratori dalla Costituzione; la seconda che voleva puntare al “pluralismo sociale” come base del diritto del lavoro e da intendersi come riconoscimento graduale dei diritti dei lavoratori (affidato tale riconoscimento soprattutto alla contrattazione collettiva).
Questa seconda linea di pensiero sarebbe poi stata quella prevalente anche a livello costituzionale.
Ad esempio, l’art.36 della Costituzione (che riconosce il diritto ad una retribuzione sufficiente), può essere inquadrato alla stregua di entrambe le teorie. Secondo la prima linea di pensiero era necessaria una legislazione diretta a garantire il livello salariale minimo, mentre secondo l’altra linea di pensiero sarebbe stato più coerente affidare interamente alla contrattazione collettiva la determinazione dei salari minimi.
Tutto ciò per affermare l’importanza del fondamento costituzionale del potere collettivo, e in particolare: la tutela delle libertà sindacali, del diritto di sciopero e il riconoscimento di una particolare forza al contratto collettivo. Tutti questi fattori sono necessari per affidare al pluralismo sociale la concreta tutela dei diritti dei lavoratori.
L’ordinamento giuridico sovranazionale, ovvero il processo di “giuridificazione internazionale” dei diritti dei lavoratori, è andato nella stessa direzione della formazione delle costituzioni nazionali. Nelle varie Carte internazionali dei diritti (ex: Carta dei diritti Onu) vengono affermati i diritti dei lavoratori paritariamente con i diritti collettivi della libertà sindacale e dello sciopero.
Diversamente, invece, è andata con la costruzione del diritto dell’Unione europea. Infatti solo nel 2009 si è giunti alla costruzione di una Carta dei diritti, in cui precedentemente il fulcro erano le quattro libertà economiche (libertà di circolazione delle merci, dei capitali, delle imprese e delle persone) e la cultura politica-economica liberista. E ciò ha caratterizzato due fenomeni: la costruzione del mercato unico europeo che ha coinvolto solo limitatamente le istituzioni sociali e la scarsa attenzione per i diritti sociali, con la convinzione che tale tematica fosse appannaggio dei diritti nazionali.
Seppur l’Europa tenga conto dei diritti collettivi, non esistono ad oggi i presupposti per affidare la tutela dei diritti dei lavoratori alle dinamiche regolative della “dimensione europea”.
Dal 2000 in poi ci si è dedicati a stilare una Carta contenente i diritti fondamentali degli europei, tra cui: i diritti sociali individuali e collettivi da bilanciare comunque con le quattro libertà fondamentali.
Ovviamente, in ambito internazionale, bisogna sempre considerare le problematiche di un’economia
sempre più globalizzata, che affida un ruolo fondamentale alle multinazionali, limitando il ruolo delle istituzioni. Da questo punto di vista, l’OIL rilancia il proprio ruolo attraverso la Dichiarazione relativa ai principi e ai diritti fondamentali del lavoro(1998) con i quali sono stati definiti i “core labour standards” ricavati da otto convenzioni inerenti i diritti sociali dei lavoratori. A livello internazionale vi è una intensa produzione di regole volte a liberalizzare gli scambi commerciali mondiali, seppur nel rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori.
Dal 2016, tuttavia, in vari continenti si stanno affermando movimenti politici che sottolineano l’importanza dei propri Stati nazionali (“sovranismo”). In Europa una prima reazione a tali chiusure nazionalistiche è avvenuta nel 2017, con la proclamazione del c.d. “Pilastro europeo dei diritti sociali” che auspica ad un rilancio dell’Europa sociale.
Fonti e “catalogo” dei diritti fondamentali (a partire dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). I diritti connessi alla dignità
Quindi i diritti fondamentali dei lavoratori vanno oltre i diritti espressamente menzionati nelle costituzioni nazionali. Le fonti da cui ricavare il “catalogo” dei diritti fondamentali sono varie. Si potrebbe partire dalla Costituzione e raccordarla ad altri testi normativi. Ciò non vuol dire che si prescinde totalmente dal contratto individuale che garantisce una tutela più specifica del lavoratore. Bisogna poi tener conto del ruolo importante che assume la Corte costituzionale; essa svolge la funzione di salvaguardare i principi e diritti fondamentali, anche per delineare i tratti basilari dell’ordinamento costituzionale nazionale (“teoria dei controlimiti”).
Pur considerata la centralità della Costituzione è opportuno considerare anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nella quale sono ricompresi i diritti sociali fondamentali. Tale carta, come affermato nel suo preambolo, è fondata sui principi universali di: dignità, libertà, eguaglianza, e solidarietà. Inoltre istituisce la “cittadinanza dell’Unione” e riafferma i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali, dagli obblighi internazionali, dalla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, ecc.
Tale “catalogo” dei diritti fondamentali parte dalla qualificazione di “inviolabile” della dignità umana. Collegata a questo valore, sempre nella materia del diritto del lavoro, abbiamo la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (art.5)
I diritti connessi alla libertà. In particolare il diritto alla formazione
Dalla Carta dell’Unione deriva il diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale (art.6). Alla tutela della libertà appartengono anche il riconoscimento del diritto alla libertà di riunione e di associazione (art.12), il diritto all’accesso alla formazione professionale e continua (art.14), il diritto di esercitare una professione liberamente scelta o accettata, di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o prestare servizi in qualunque Stato dell’Unione e il diritto dei cittadini di paesi terzi autorizzati a lavorare, a condizioni di lavoro equivalenti a quelle dei cittadini dell’Ue.
Di fondamentale importanza il diritto ad una formazione adeguata e continua (art 14 comma 1, carta dell’Unione e 35 cost.).
Poi, la libertà di impresa (art.16) in cui la tutela deve conformarsi al diritto dell’Ue, alle legislazioni e alle prassi nazionali. Tale rinvio alle legislazioni nazionali pone un problema di compatibilità. Infatti se nel diritto dell’UE è una libertà per eccellenza, nella nostra Costituzione (art.41 Cost) vi è una previsione differente; si riconosce la libertà dell’iniziativa economica privata, ma tale libertà non può contrastare l’utilità sociale, e non deve danneggiare la sicurezza, la libertà e la dignità umana.
I diritti connessi all’eguaglianza
L’eguaglianza formale così come definita dall’art.3 della Costituzione italiana è ben diversa da quella europea. Va precisato che tale diritto riconosciuto dall’Ue ha un’ampiezza maggiore rispetto a come è configurata dalla Carta italiana, infatti è riferito a tutte le persone ed ha un elenco molto più vasto di fattori di discriminazione vietati.
Sempre in merito all’eguaglianza va sottolineata l’importanza del diritto dei disabili all’inserimento sociale e professionale (art.26).
Una profonda differenza tra la Carta Ue e la Costituzione italiana si rinviene analizzando l’art.3 co. 2 della Costituzione.
Infatti il concetto di uguaglianza sostanziale, così come previsto da questo comma, non è menzionata nella Carta Ue, che riguarda tanti Stati con tradizioni e ispirazioni assai diverse.
I diritti connessi alla solidarietà:
I diritti sociali collettivi
La parte più interessante e innovativa della Carta Ue sicuramente si rinviene nel Titolo IV della dedicato alla solidarietà. In esso compaiono i veri e propri diritti sociali fondamentali, nei quali si riflettono i diritti della Costituzione già riconosciuti.
Grande novità riguarda i diritti sociali collettivi che fondano relazioni industriali, tra i quali ricordiamo i diritti all’informazione e consultazione nell’ambito di impresa (art.27); i diritti di negoziazione e di azioni collettive (art.28).
Nella Carta Ue va precisato che non vi è menzione della libertà di organizzazione sindacale, seppur questa risulta garantita da alcune Convenzioni OIL che tutelano il diritto di organizzazione collettiva. Inoltre, nelle interpretazioni dell’art.39 della Costituzione vi è un’estensione della libertà sindacale anche a forme organizzative che non assumano la veste giuridica di vere e proprie associazioni.
La Carta Ue, quindi, va oltre la tutela della libertà e del pluralismo sociale, garantendo ai lavoratori o alle loro rappresentanze il diritto di informazione e di consultazione in tempo utile, il quale però appare riconosciuto in modo generico ai soggetti attivi e ai soggetti passivi.
Inoltre bisogna tener conto del collegamento che si instaura tra l’art.27 della Carta Ue e l’art.46 della Costituzione (che sancisce il diritto dei lavoratori di collaborare alla gestione delle aziende). In quest’ottica, la norma nazionale appare più ampia ma anche più generica rispetto alla norma europea, che invece riconosce dei diritti a carattere partecipativo, più blandi ma anche ben individuabili e soprattutto già disciplinati dettagliatamente in altre fonti del diritto Ue.
L’art. 28 della Carta Ue riconosce il diritto della contrattazione collettiva, sciopero e serrata, ma ne attenua il riconoscimento di rango costituzionale europeo, specificando che lo stesso deve conformarsi al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. Ovviamente, al di là della disciplina prevista dalla Carta Ue, abbiamo anche l’art.6 della Carta sociale europea che riconosce il diritto alle negoziazioni collettive, tra cui è compreso anche il diritto di sciopero. In Italia ci sono poi gli artt.39 e 40 della Costituzione che tutelano la libertà sindacale, da cui deriva un’ampia tutela costituzionale del diritto alla contrattazione collettiva e il diritto di sciopero.
Il divieto di lavoro minorile e i diritti sociali individuali. In particolare retribuzione e licenziamento
L’art.29 della Carta Ue riconosce il diritto di accedere ad un servizio di collocamento gratuito, e in tale ambito si riconosce il merito della Carta Ue di aver precisato il carattere gratuito di tale servizio, rimanendo però imprecisato se il servizio venga affidato a soggetti pubblici o privati.
Per quanto riguarda le tutele del minore, l’art.32 della Carta Ue sancisce il divieto di lavoro minorile, facendo coincidere l’età minima per lavorare con l’età in cui termina la scuola dell’obbligo. Ciò risponde ad una delle più rilevanti esigenze della società industriale.
La lotta al lavoro minore è uno dei più importanti obiettivi dell’OIL, mediante alcune sue Convenzioni. Ma è con la “Dichiarazione dei core labour standards” del 1998 che l’effettiva eliminazione del lavoro minorile diventa uno dei terreni privilegiati dell’azione politica delle istituzioni internazionali del lavoro.
Tuttavia, da un punto di vista fattuale, il lavoro minorile resta una grave piaga.
La Carta Ue e la Costituzione prevedono una serie di tutele riconducibili ai diritti fondamentali, sia per i minori che per i giovani nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda la prima: l’art.21 sancisce il divieto di discriminare in ragione dell’età; l’art.32 garantisce ai giovani condizioni di lavoro appropriate all’età e protezione contro lo sfruttamento economico; in senso più generico l’art.31 riconosce ad ogni lavoratore il diritto a condizione di lavoro sane, sicure e dignitose e attribuendogli il diritto ad una limitazione della durata massima del lavoro con periodi di riposo e ferie annuali retribuite.
Per la Costituzione l’art. 37 co.3 Cost. garantisce ai minori, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Ciò che segna una differenza tra la Carta Ue e la Costituzione è che quest’ultima prevede all’art. 36 co.1 “il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità di lavoro…sufficiente ad assicurare…un’esistenza libera e dignitosa”, mentre nella prima manca un riferimento a tale diritto, seppur venga prevista, da alcune Convenzioni OIL, la garanzia di un minimo salariale.
Tuttavia c’è una grave debolezza delle regole giuridiche internazionali per quanto riguarda le minime garanzie salariali, che in un’economia globalizzata, si ripercuote sulle politiche sociali degli Stati.
L’art.33 della Carta Ue riconosce ad ogni persona il diritto ad un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o adozione di un figlio.
In materia di licenziamento, la tutela contro il licenziamento ingiustificato rappresenta per la Carta Ue un diritto fondamentale del lavoratore: l’art.30 prevede il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, mentre l’art.33 co.2 prevede la tutela contro il licenziamento in caso di maternità. Inoltre, l’art.24 prevede una forma di tutela contro il licenziamento ingiustificato, attribuendo al lavoratore licenziato il diritto ad un congruo indennizzo, oltre alla possibilità di impugnare il licenziamento dinanzi ad un organo imparziale.
L’art.4 della Carta sociale europea riconosce il diritto dei lavoratori ad un ragionevole periodo di preavviso nel caso di cessazione del rapporto di lavoro.
I diritti sociali connessi al Welfare State
I diritti sociali sono da collegare al Welfare State, il quale soprattutto in Italia, è costruito essenzialmente intorno ai diritti dei lavoratori. Lo “Stato sociale” è una peculiarità del modello europeo nato dopo la seconda guerra mondiale, il quale, storicamente, ha convissuto e si è relazionato con un progetto di integrazione europea economico-mercantile. Ciò ha comportato lo sviluppo di Stati sociali ben diversi tra loro, con tradizioni e fondamenti normativi non omogenei.
Col passare del tempo si è avvertita la necessità di superare tali diversità e di delineare i tratti comuni dello “Stato sociale” dei diritti riconosciuti da tutti gli Stati europei. Tali diritti sono definiti dall’art.34 Carta Ue, che assicura a tutti i cittadini comunitari il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in presenza di generatori di bisogno quali: maternità, malattia, infortuni sul lavoro, perdita del posto di lavoro, ecc.
L’art. 35 riconosce invece il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche.
Tali norme hanno una corrispondenza con gli artt. 32 e 38 della Costituzione, che fondano il sistema sanitario e l’assistenza sociale, cioè quei servizi e benefici di welfare di cui sono destinatari tutti i cittadini, non solo i lavoratori.
Bisogna però porre l’accento anche suoi limiti posti alle tutele previdenziali e assistenziali, legati al fatto che non possono essere garantiti in modo incondizionato.
Il livello di protezione e il “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali nel costituzionalismo multilivello
Una volta elencati ed individuati tali diritti fondamentali, occorre approfondire il loro contenuto specifico e la loro “realizzabilità giuridica”. Per ogni diritto bisogna verificare in concreto l’articolazione della legislazione di dettaglio, l’adeguatezza degli apparati amministrativi che intervengono, i meccanismi sanzionatori e da questo punto di vista si creano spazi di ampia differenziazione tra i vari diritti nazionali.
Il problema di fondo è che sussiste un intreccio di fonti che intervengono sui medesimi diritti fondamentali. Per risolvere questo problema sono necessari due principi che possano orientare e risolvere le varie complicazioni; il primo principio riguarda la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art.53) riconosciuto dal diritto Ue, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dalle Costituzioni nazionali.
Inoltre tale principio è rafforzato da due regole interpretative. Esso specifica che i diritti fondamentali della Carta Ue corrispondono a quelli garantiti dalla CEDU che hanno significato e portata uguali a quelli conferiti nella CEDU stessa e i diritti fondamentali della Carta Ue che sono interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali degli Stati membri.
Il secondo principio è denominato “garanzia del contenuto essenziale del diritto” (art.52). In base a questo bisogna aver chiaro che i diritti riconosciuti dalla Carta Ue e quelli riconosciuti dalla Costituzione italiana possono subire delle limitazioni al loro esercizio. Però tali limitazioni devono essere innanzitutto “previste dalla legge” e poi devono essere “necessarie” (in base al principio di proporzionalità) e rispondere a finalità di interesse generale oppure all’esigenza di proteggere i diritti e libertà altrui. Tale “contenuto essenziale” viene delineato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione, in accordo con il ruolo delle Corti nazionali a tutela dei diritti fondamentali riconosciuti in ciascun ordinamento giuridico.
Per quanto riguarda, infine, l’ambito di applicazione della Carta Ue, l’art.51 specifica che le disposizioni della Carta “si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione … come pure agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione.” Quindi, i diritti fondamentali riconosciuti da tale Carta non possono essere imposti ai singoli Stati se sullo specifico istituto non vi siano già altre norme del diritto dell’Unione già vincolanti (come i trattati, i regolamenti e le direttive).
Il ruolo dei diritti fondamentali nel diritto del lavoro in trasformazione
Il diritto del lavoro odierno è in profonda trasformazione, poiché il lavoro è oggetto di una relazione contrattuale che si ritrova in un contesto di mercato, esso rischia da qualche anno di essere dominato da teorie o ideologie di tipo iperliberista, le quali si richiamano alla c.d. analisi economica del diritto, che rende il contratto uno strumento più funzionale al mercato che alla garanzia di determinati diritti, anche fondamentali, in capo al lavoratore.
Una reazione a queste teorie di manifesta nel tentativo di considerare il lavoro come un “bene comune”, cioè una cosa (res) posseduta da tutti e da garantire indipendentemente dalla relazione contrattuale. Inoltre, i diritti fondamentali svolgono funzioni importanti sotto il profilo “pratico”.
Al riguardo, c’è chi li considera idonei per costituire una piattaforma irrinunciabile, sottratta al dominio della politica e dell’economia, creando un programma generale di politica del diritto valido soprattutto per il legislatore.