
9. Le funzioni normative: a) leggi in senso formale e leggi in senso materiale
Il potere esecutivo non si limita a svolgere funzioni amministrative e attività di direzione politica ma, in deroga al principio della separazione dei poteri (secondo cui la funzione legislativa è affidata alle sole Camere), pone anche in essere norme costitutive dell’ordinamento giuridico dello Stato. Tale funzione viene detta “materialmente legislativa” così da mettere in evidenza gli atti normativi predisposti dagli organi esecutivi (in particolare dal Governo) hanno il contenuto della legge ma non la forma.
Le leggi entrano in vigore dopo il procedimento, dinnanzi le Camere, dagli artt. 70 e ss. Cost.; non sono leggi, però, gli atti bicamerali non legislativi, come quelli che deliberano lo stato di guerra.
La Costituzione adotta il termine “legge” non sempre in modo univoco, non è sempre chiaro quando la stessa faccia riferimento alla legge formale o alla legge materiale.
La distinzione tra legge e atti aventi forza di legge è sul piano formale, diverso è il procedimento di formazione non il contenuto. I due atti hanno, inoltre, la stessa forza.
La forma degli atti del potere esecutivo è quella del decreto. Qualora poi si tratti di atti aventi forza di legge o regolamenti governativi, la loro forma sarà, a norma dell’art. 87 Cost., quella del Decreto del Presidente della Repubblica.
Inoltre, gli atti dell’esecutivo si distinguono a seconda che abbiano o meno la stessa efficacia della legge; se hanno la stessa efficacia formale della legge verranno definiti decreti legge e decreti legislativi; mentre quelli che non hanno la stessa valenza, come i regolamenti, sono considerati inferiori alla legge.
10. segue: b) i decreti legge
A norma dell’art. 77 Cost, il Governo, in casi straordinari e urgenti, può adottare, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, ma il giorno stesso deve presentarli, per la conversione, alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
Tale potere quindi è eccezionale. Infatti, la regola generale è che le fonti di primo grado o sono emanate direttamente dalle Camere oppure dal Governo ma su delegazione delle Camere stesse (il cd decreto legislativo). Il carattere di eccezionalità viene sottolineato anche dall’art. 77 Cost. e dalla locuzione “provvedimenti provvisori”, dalla loro efficacia limitata nel tempo e dalle conseguenze giuridiche della loro mancata conversione in legge da parte delle Camere.
Quindi il presupposto necessario è la necessità e l’urgenza. Il Governo si sostituisce alle Camere proprio quando tali due caratteristiche impediscono alle Camere di intervenire tempestivamente attraverso il lungo procedimento di formazione della legge. È il caso di una grave calamità naturale o di una emergenza sanitaria (come il covid 19), oppure è il caso di un vuoto legislativo creato da una pronuncia di illegittimità costituzionale che deve essere colmato, o ancora il caso dei decreti catenaccio (emanati per apportare variazioni immediate alle tariffe o ai dazi doganali).
Spesso però questo strumento non è stato utilizzato in modo corretto, quando cioè non sempre ci sono stati gli estremi di necessità e di urgenza. Per tale motivo la Corte Costituzionale ha affermato la propria competenza a verificare il rispetto dei requisiti di validità costituzionale di necessità e urgenza.
Ad esempio con la sentenza n. 22 del 2012 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme introdotte con la legge di conversione, in quanto del tutto eterogenee rispetto a quelle originariamente contenute nel decreto legge, che quindi spezzavano il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e il potere parlamentare di conversione.
La Corte Costituzionale ha poi posto fine alla reiterazione di decreti legge non convertiti, dichiarando illegittimo il decreto reiterato; tale prassi altera la natura provvisoria della decretazione d’urgenza. Verrebbe da chiedersi se possa essere utile una maggiore attività di controllo da parte del Presidente della Repubblica in merito all’emanazione del decreto legge e della sua conversione.
La legge n. 400 del 1988 sulla disciplina dell’attività di governo e sull’ordinamento della Presidenza del Consiglio ha posto una serie di limitazioni all’adozione di decreti legge. Secondo tale provvedimento legislativo i decreti legge devono indicare, nel preambolo, le circostanze di necessità e urgenza che ne giustificano l’adozione. Inoltre, il governo non può, con decreto legge: conferire deleghe legislative, provvedere in materie indicate dall’art. 72 Cost, rinnovare i decreti legge cui sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere, regolare rapporti giuridici sorti sulla base di decreti non convertiti, ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale.
A norma dell’art. 77 Cost. il Governo adotta i decreti legge sotto la sua responsabilità. Il che significa che esso risponde davanti alle Camere qualora queste specifichino che il Governo stesso non ha utilizzato il potere in modo corretto. Viene negata, quindi, la conversione in legge.
La Commissione parlamentare a cui è assegnato il disegno di legge di conversione può chiedere al Governo di integrare gli elementi forniti nella relazione, anche con riferimento alle singole disposizioni del decreto legge.
I decreti legge hanno una efficacia limitata a 60 giorni dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Essi, il giorno stesso della loro emanazione, devono essere presentati alle Camere per la conversione in legge.
Le Camere, entro 60 giorni, possono:
- non prendere in esame il disegno di legge di conversione,
- prenderlo in esame e non approvarlo,
- prenderlo in esame e approvarlo convertendo in legge formale il decreto legge.
Nelle prime due ipotesi il decreto legge perde efficacia sin dall’inizio ed è da considerare mai esistito; nell’ultima ipotesi il decreto legge viene sostituito dalla legge approvata dalle Camere che riaffermano la titolarità del potere di emanare le fonti primarie costitutive dell’ordinamento giuridico statale.
11. segue: c) i decreti legislativi
Il Governo può emanare atti legislativi (anche se non ci sono i requisiti di necessità e di urgenza) in base ad una legge delega (o legge di delegazione) emanata dalle Camere.
Il Parlamento non delega la funzione legislativa al Governo ma solo l’esercizio di tale funzione.
Le Camere ricorrono alla legge delega nei casi in cui la materia è molto complessa e richiede cognizione eccessivamente tecnica; il lungo procedimento di formazione delle leggi non potrebbe, quindi, giovare. Basti ricordare i codici. Essi, sia per i loro numerosi articoli che per specialità della materia, sono stati emanati con decreto legislativo.
Lo stesso dicasi per i testi unici. La legge delega al Governo, in questi casi, è necessaria perché ove le disposizioni debbano essere innovate o modificate o si devono omogeneizzare in un corpo di norme emanate nel tempo, il Governo può così procedere ad operare una uniformazione.
A norma dell’art. 76 Cost. la legge con le quali le Camere delegano il Governo deve contenere:
- la determinazione dei principi e dei criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi nel predisporre il decreto legislativo;
- l’indicazione del limite di tempo entro il quale il Governo dovrà emanare i suddetti decreti;
- l’oggetto definito sul quale il Governo potrà legiferare.
Con la legge delega si possono porre al Governo altri limiti; ad esempio quello sentire il parere di commissioni, o di riprodurre nel decreto legislativo alcuni principi della legge delega; ecc.
La delega può essere prevista in una legge o in un articolo di legge che disciplina la materia.
In questi ultimi anni si è fatto ricorso spesso a questo processo.
La Corte Costituzionale, in alcuni casi, ha tentato di contenere l’eccessivo incremento alle deleghe legislative con una serie di pronunce che hanno inquadrato i limiti in maniera più rigorosa.
Il procedimento della legge delega ai sensi dell’art. 72 comma 4 cost., deve essere quello ordinario.
Può comunque accadere che il Governo non provveda ad emanare un decreto legislativo in quanto la delega è troppo lontana dai principi che ispirano l’indirizzo politico.
12. segue: d) i regolamenti
La potestà regolamentare del Governo è definita dalla Legge 400/88 che disciplina l’attività del Governo e l’ordinamento della Presidenza del consiglio.
La Carta Fondamentale non si esprime sui regolamenti; tranne sulla circostanza secondo cui devono essere emanati formalmente dal Presidente della Repubblica (art. 87). Sono atti formalmente amministrativi e sostanzialmente normativi.
Vengono deliberati del Consiglio dei ministri, udito il parere del Consiglio di Stato, ed emanati dal Presidente della Repubblica con decreto. Sono, poi, inseriti nella Raccolta Ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e pubblicati in Gazzetta Ufficiale; entrano in vigore dopo un periodo di vacatio di quindici giorni dalla pubblicazione.
I regolamenti governativi si distinguono:
- Regolamenti di esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, emanati per rendere più concreto il contenuto di una legge astratto, generale o molto tecnico, quindi difficilmente applicabile ai casi concreti;
- Regolamenti di attuazione e di integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio. Essi danno attuazione ad una legge od ad un decreto legislativo o integrano le loro disposizioni. Si distingue dalla prima categoria perché ha una forza molto innovativa;
- Regolamenti autonomi o indipendenti, vengono emanati in materie non disciplinate da legge. Dove la Costituzione non dispone l’intervento del legislatore la materia può essere disciplinata da regolamento. Alcuni ritengono che tal atti non siano costituzionalmente legittimi perché travalicano la competenza del Parlamento;
- Regolamenti di organizzazione, ammissibili entro i limiti dell’art. 95 comma 3 e 97 Cost. che riservano alla legge l’ordinamento della Presidenza del consiglio, la determinazione del numero, dell’organizzazione delle attribuzioni dei ministeri, e l’organizzazione dei pubblici uffici.
- Regolamenti autorizzati. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari, possono essere emanati regolamenti per la disciplina non coperta da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione. In tali materie la legge della Repubblica autorizza l’esercizio regolamentare del Governo e si determinano norme regolatrici della materia; si dispone l’abrogazione della legge con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari.
- Regolamenti delegati: si hanno quando una legge stessa autorizza il regolamento a derogare ad alcune sue norme o a norme di altre leggi o per disciplinare ex novo un materia già disciplinata dalla legge o riservate alla legge. Questa loro definizione potrebbe entrare in contrasto con le disposizioni costituzionali.
- Regolamenti autorizzati: Con il comma 4 bis dell’art. 17 della legge 400/88 aggiunto dalla legge 59/97, si è regolamentata l’organizzazione e gli uffici dei ministeri. Il D.lgs 80/98 all’art. 5 ha fatto salve le disposizioni riguardante la presidenza del consiglio, gli Affari esteri, le amministrazioni in materia di difesa polizia e di giustizia.
- Regolamenti di riordino e di ricognizione delle disposizioni regolamentari vigenti. La legge 400 del 1988 provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione, non hanno più effettivo contenuto normativo o comunque sono obsolete.
Oltre al Governo altri soggetti possono emanare regolamenti: i ministri, le autorità portuali, i comitati interministeriali, ecc.
Se hai bisogno di approfondire questa tematica
13. I limiti alla potestà regolamentare. La riserva di legge.
Essendo i regolamenti subordinati alle legge, essi incontrano un limite già implicito in questo assunto.
Altro limite è dato dalla riserva di legge espressamente prevista dalla Costituzione. Si ha riserva di legge quando una norma costituzionale riserva alla legge la disciplina di una determinata materia, escludendo il potere regolamentare del Governo.
Esempi di riserva di legge sono l’art. 13 Cost. e l’art. 23 che dispone come nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Ancora gli artt. 25 e 16 Cost. All’origine di tale riserva c’è il presupposto secondo cui la legge è in posizione di supremazia in quanto atto idoneo a rappresentare la volontà del popolo.
La riserva di legge non ha solo funzione garantista. Nel nostro Stato ad economia mista si è riservata al Legislatore la scelta politica di fondo, assegnandogli il compito di determinare i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica e pubblica possa essere indirizzata e coordinata.
Non è chiaro poi se la riserva di legge va intesa in senso statale o può riferirsi anche alle regioni. La dottrina prevalente ipotizza che la potestà regionale sussiste solo quando la Costituzione si riferisce alla “legge” in generale.
La dottrina e la giurisprudenza hanno fissato due tipi di riserva di legge:
- Assoluta, quando la disciplina è riservata al Parlamento; ad es. nel campo penale (art. 25 Cost.), in quello dei diritti e delle libertà fondamentali (artt. 13, 14, 15, 16, 21, 25 comma 1). Anche gli atti governativi aventi forza di legge sono stati parificati (sent. Corte cost. 39/71) alla legge formale in quanto vi è, sempre, o una successiva verifica del Parlamento sui decreti legge o una delega del Parlamento stesso nell’ambito dei decreti legislativi. Nella riserva assoluta, è escluso l’esercizio del potere regolamentare.
- Relativa, quando la materia può essere disciplinata oltre che da legge formale anche da altra fonte, solo dopo che la legge ha determinato le linee essenziali. Quindi si faccia il caso dei regolamenti autorizzati e dei regolamenti di attuazione. Una riserva di legge relativa sussiste quando il Parlamento non può intervenire nel disciplinare nel dettaglio l’organizzazione dei pubblici uffici poiché interferirebbe con la discrezionalità amministrativa.
Si ha riserva di legge rafforzata quando la Costituzione non solo rinvia semplicemente alla legge (riserva di legge semplice) ma disciplina essa stessa la materia limitando la discrezionalità del Legislatore. L’art. 16, ad esempio, stabilisce che la legge può stabilire limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno, in via generale per motivi di sanità e di sicurezza; l’art. 97 stabilisce che la legge deve disciplinare l’organizzazione dei pubblici uffici in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione.
La riserva di legge implicita, invece, è data dall’art. 72 comma 4, Cost. escludendo che per i disegni di legge costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare i trattati, di approvare bilanci e consuntivi possa essere adottato un procedimento di formazione diverso da quello ordinario.
La riserva di legge costituzionale sussiste quando la Costituzione riserva in modo espresso che talune materie debbano essere regolate con legge costituzionale; ad esempio l’art. 116 in merito alla adozione di statuti regionali; l’art. 132 per la fusione di regioni.
14. Le cause di cessazione del governo.
Il Governo non è organo a termine; rimane in carica fin quando le Camere non gli revochino la fiducia. Quando il Governo presenti le dimissioni esse sono sempre da ricondurre alla fiducia del Parlamento, o dei gruppi parlamentari. La cessazione del Governo in seguito al venir meno della maggioranza (crisi di governo) si ha:
- Da un voto di sfiducia delle Camere, atto formale della crisi di Governo; per cui quest’ultimo è costretto a dimettersi. Tale obbligo si desume dall’art. 94, comma 1, secondo cui “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”.
- Dal ritiro dell’appoggio al Governo da parte di uno o più gruppi parlamentari e quindi non possa contare sulla maggioranza;
- Dalla decisione del Governo di dimettersi quando riporti il convincimento di non godere più della maggioranza in Parlamento, oppure se il potere esecutivo ritenga di avere una maggioranza diversa da quella voluta.
Il voto contrario di una delle due Camere, a norma dell’art. 94 Cost., su una proposta di Governo non impone l’obbligo di dimissioni. Il Governo è tenuto a dimettersi quando, presentandosi alle Camere, non ottiene la fiducia iniziale; in tal caso l’esecutivo non viene proprio costituito, a differenza del caso della perdita di fiducia nel corso del mandato.
Le crisi possono essere parlamentari ed extra parlamentari. Sono parlamentari quando in seguito a mozione di sfiducia il Governo è costretto a dimettersi. Sono extra parlamentari perché non trovano espressione formale nel Parlamento ma nel mutato assetto politico della coalizione che regge il Governo. Su questa seconda crisi si sono sollevati dubbi di costituzionalità in quanto i motivi restano oscuri e non vengono fatti conoscere al popolo.
Il governo può dimettersi, ancora, per cause diverse rispetto a quelle espressamente indicate:
- per morte del Presidente del consiglio o per la cessazione o sospensione dalla carica per motivi personali;
- per elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, come “espressione di un doveroso ossequio”. Però, una volta subentrato il nuovo Presidente, questo respingerà le dimissioni per correttezza professionale;
- in seguito ad elezioni generali. Una norma di correttezza costituzionale impone, anche se vede il governo vincente, di dimettersi ed il Presidente della Repubblica respingerà tali dimissioni per farlo rientrare in carica.
Dalla crisi di governo deve va distinto il rimpasto che si ha quando il Presidente del consiglio cambia uno o più ministri che non condividono il suo indirizzo politico.
Il governo dimissionario rimane in carica fino alla nomina dei nuovi ministri. Esso opera solo atti di ordinaria amministrazione.
15. La responsabilità dei ministri
L’art. 95 comma 2 Cost. dispone che i ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri. L’art. 89 Cost., poi, specifica che nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dal ministro proponente, che se ne assume la responsabilità.
Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri atti indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del consiglio.
Si noti che la maggior parte degli atti del Presidente della Repubblica sono imputabili ad esso solo formalmente mentre sostanzialmente ai ministri. Il Presidente della Repubblica può esercitare un controllo di legittimità (o di merito) ma deve emanarli, anche qualora il Governo non accolga i rilievi. Ne consegue che la responsabilità, sia dei ministri che del Presidente del consiglio, è quella degli atti propri.
Se l’atto è formalmente e sostanzialmente imputabile al Presidente della Repubblica la controfirma del ministro o del Presidente del consiglio assume valore di controllo sulla validità formale. Se tale atto è contrario alla Costituzione il ministro o il Presidente del consiglio possono rifiutarsi di controfirmare entrando in conflitto con il Presidente della Repubblica.
Da quanto detto si evince una responsabilità giuridica e politica di ministri e del Presidente del Consiglio. La responsabilità giuridica si divide in civile, penale e amministrativa.
- E’ civile in quanto i ministri, come i funzionari di stato, a norma dell’art. 28 cost. rispondono per danni arrecati a terzi nell’esercizio delle loro funzioni;
- E’ penale nel caso dei cd reati ministeriali, vale a dire per i reati comuni (concussione, corruzione, ecc) commessi dai ministri nella loro funzione. A norma dell’art. 96 cost., come modificato dalla Legge costituzionale 1/89, il Presidente del consiglio ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nella loro funzione, alla giurisdizione ordinaria. Il giudizio si svolge in un apposito collegio istituito presso il tribunale del capoluogo del distretto della Corte di appello: il cd tribunale dei ministri. Le Camere possono a maggioranza assoluta negare l’autorizzazione ove reputino che l’inquisito abbia agito per la tutela di interessi dello Stato.
- I ministri ed il Presidente del consiglio sono responsabili dinanzi alla Corte dei conti per i danni provocati alla pubblica amministrazione.
La responsabilità politica dei ministri e del Presidente del consiglio è definita dall’art. 95 Cost. e può essere collegiale o individuale. Essa si basa sul rapporto fiduciario che lega il Governo alle Camere; queste ultime ritengono che il Governo o un ministro abbiano posto in essere atti o comportamenti politicamente non opportuni o contrari all’indirizzo politico e amministrativo concordato, oppure ritardino il compimento di alcuni atti.
A differenza di quella giuridica quella politica è molto sfumata nei suoi contorni.
16. Gli organi ausiliari
La Costituzione alla sezione III del titolo III, riservata al Governo, parla di organi ausiliari.
Tali organi, però, non sono ausiliari solo al Governo (ad esempio la Corte dei conti è di ausilio sia al Governo che al Parlamento). Gli organi ausiliari sono: Il CNEL; il Consiglio di Stato; la Corte dei conti; e l’avvocatura dello stato. Si dicono ausiliari perché coadiuvano con funzioni di iniziativa, di controllo o consultiva gli organi deliberanti (Mortati).
- Il CNEL, previsto dall’art. 99 Cost. è istituito con legge 33/57. Questo organo fu voluto dall’Assemblea Costituente perché immette nell’apparato dello Stato i rappresentanti delle categorie produttive del paese; diventa il raccordo tra questi e lo Stato. Esso non ha prodotto i risultati che si desideravano, anche perché la creazione di comitati (quali il CIPE) ne hanno sminuito le funzioni. La riforma intervenuta con Legge 936/86, ha di fatto rinvigorito il Consiglio e, portando a 111 più il presidente la composizione. Esso interviene su richiesta del Governo o delle Camere in diversi campi dell’economia e del sociale, nei contratti collettivi, ecc. Ha anche potere di iniziativa legislativa.
- Il Consiglio di stato, è organi di consulenza giuridico amministrativo. La Legge 127/97 ha fissato i casi in cui è richiesto il parere tassativo: emanazione di atti normativi del Governo e dei ministri in merito all’art. 17 legge 400/88, e per l’emanazione di testi unici; decisione dei ricorsi straordinari al Presidente della repubblica; schemi dei contratti tipo, accordi e convenzioni predisposte dai ministri. Il parere deve essere reso nei 45 giorni dal ricevimento dell’atto. Decorso il termine l’amministrazione può procedere senza tale parere. Per l’esame degli schemi di atto normativo del Governo è stata istituita, dalla medesima legge, una nuova sezione consultiva che si affianca alle 3 consultive preesistenti.
- La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti previsti dall’art. 3 Legge 20/94, ed il suo visto è requisito di efficacia per l’esecutorietà dell’atto. Tale visto è stato abolito per i decreti legge ed i decreti legislativi. Esercita controllo sulla gestione contabile e sul patrimonio dello Stato e riferisce annualmente al Parlamento sull’esito del controllo effettuato. Esercita controllo sulle pensioni civili e militari. Le è stata riconosciuta la qualità di potere dello Stato perché esercita tale funzione in modo imparziale, cioè in modo estraneo all’amministrazione dello Stato stesso. Con il decentramento regionale le sue funzioni si sono rivolte anche alle regioni, con una interpretazione molto estensiva. Con sentenza della Corte Cost. n. 29/65, si è riconosciuto alla Corte dei conti la garanzia dell’imparzialità dell’equilibrio economico finanziario del settore pubblico, della corretta gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell’efficacia, efficienza e dell’economicità.
- L’avvocatura dello Stato assiste e difende lo stato e le amministrazioni pubbliche nei giudizi cui sono parte. Anche le regioni possono chiedere il patrocinio dell’avvocatura (art. 107 DPR 606/77). Svolge anche funzioni consultive. Un altro compito è quello di assistere e difendere lo Stato nei giudizi innanzi alla Corte costituzionale. L’avvocatura è articolata in una sede centrale a Roma e nelle avvocature distrettuali nelle sedi di Corte d’appello.
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