Tempo di lettura: 5 minuti

Il principio di legalità e il principio della riserva di legge

Premessa

Il principio di legalità risale alla dottrina riguardante il contratto sociale; è necessario vincolare l’esercizio di ogni potere dello Stato alla legge, per evitare soprusi nei confronti dei cittadini. Secondo l’ideologia degli illuministi nessuno può essere punito se al momento della commissione del fatto questo non era previsto come reato dalla legge.

Inoltre, Feuerbach specifica ancora meglio tale principio sottolineandolo nella formula nulla poena sine lege; si badi, però, che la predeterminazione legale della sanzione non significa una totale esclusione di ogni potere discrezionale del giudice, che ha la possibilità di scegliere tra più sanzioni legalmente predeterminate.

L’autore collega il principio alla funzione di prevenzione generale della pena in base alla quale se la pena deve essere un deterrente per la commissione di reati, occorre che i cittadini conoscano prima cosa è punito e cosa invece no.

Nell’ordinamento italiano il principio di legalità è disciplinato dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione secondo cui “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso” e all’articolo 1 del codice penale “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite“.

Le due formulazioni sono differenti ma il significato di garanzia è il medesimo.

Il principio di legalità si articola in quattro sottoprincipi:

  • riserva di legge;
  • tassatività;
  • irretroattività della legge penale;
  • divieto di analogia.

La riserva di legge: fondamento e portata

Il principio di riserva di legge individua il divieto di punire un fatto senza che vi sia una legge preesistente che lo configuri come reato. Con tale principio viene garantita l’esigenza di allontanare la disciplina penale dal campo di azione del potere esecutivo; poiché solo la legge in senso tecnico consente la partecipazione di tutti i rappresentanti del popolo, comprese le minoranze. Ed è necessario far riferimento a questo aspetto quando si va ad incidere su un bene fondamentale come la libertà dei soggetti.

Si evitano, poi, forme di arbitrio del potere giudiziario.

In epoche poco recenti si interpretava la riserva di legge in maniera relativa, così da ammettere la partecipazione di fonti normative secondarie (come i regolamenti) alla creazione della norma penale, vanificando così la funzione di garanzia della stessa.

Oggi le tesi prevalenti sono più rigorose e qualificano la riserva come assoluta. Ciò non esclude, totalmente, le fonti secondarie dal concorso alla configurazione del reato. Ad esempio, parte della dottrina ritiene che esse vadano considerate come un presupposto di fatto; ma anche tale impostazione oggi è per lo più respinta.

Una formulazione più rigida esclude che il legislatore dia il potere normativo penale ad una fonte di grado inferiore.

Una soluzione di compromesso, invece, presume l’ammissibilità di un contributo tecnico della fonte secondaria; infatti, l’intervento di tale normativa in ambiti complessi e tecnici è indispensabile. Devono rimanere esclusi apprezzamenti di natura politica.

Il concetto di “legge” nell’art.25 Cost. e nell’art.1 c.p.

La Costituzione all’articolo 25 utilizza il termine legge e fa riferimento alla legge in senso formale.

Gli studiosi ritengono, però, che sono da considerare fonti del diritto penale anche le leggi in senso materiale, come i decreti legislativi e i decreti legge. Questo perché è la stessa Carta fondamentale che gli dà forza di legge. Questa impostazione, secondo altri, trascura la ratio del principio di riserva di legge.

Nel decreto legislativo il rapporto che esiste tra legge delega e legge delegata è affine a quello tra le fonti normative secondarie e la legge che si limita, solo, a configurare il precetto sostanziale, rimandando, per la sua concretizzazione, alle fonti subordinate. Il Parlamento, infatti, indica le linee generali al Governo, ma quest’ultimo dà concretezza alla fattispecie; quindi, sono eluse le garanzie implicite nella riserva della competenza penale al Parlamento.

Nel caso del decreto legge, invece, spesso i requisiti di necessità ed urgenza contrastano con l’esigenza di ponderazione insita nella riserva di legge.

La dottrina dominante e la giurisprudenza costituzionale (come nel caso della sentenza n. 487 del 1989) sono concordi, invece, nell’escludere le leggi regionali dal novero delle fonti di diritto penale.

La scelta che riguarda le restrizioni dei beni fondamentali della persona, come la libertà personale, è impegnativa e deve essere di pertinenza dello Stato; la riserva di competenza alla legge statale integra la necessità che vi siano in tutto il territorio nazionale condizioni di uguaglianza nella fruizione della libertà personale, pena la violazione dell’art.3 Cost. Inoltre, ex art.5 Cost. un eventuale pluralismo di fonti regionali violerebbe il principio dell’unità politica dello Stato; all’art.120 la costituzione vieta alle regioni l’adozione di provvedimenti che ostacolino il libero esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini.

La legge regionale, però, ha funzione scriminante, poiché in questi casi non comporta restrizioni della libertà personale.

Rapporto legge-fonte subordinata: i diversi modelli di integrazione

Ad ogni modo vi sono dei modelli di integrazione tra legge e fonte subordinata (come il regolamento e l’ordinanza).

In primo luogo la legge affida alla fonte secondaria la determinazione delle condotte concretamente punibili, dopo aver fissato il precetto in maniera generica (norme penali in bianco). Un esempio molto importante è l’art.650 c.p. (che punisce chi non ottempera ad un provvedimento dell’autorità amministrativa). La fattispecie è molto generica; l’effettiva determinazione del fatto costituente reato resta affidata alla stessa autorità amministrativa. La Corte costituzionale (sentenza n. 168 del 1971) ha ritenuto che l’articolo sia legittimo quando una norma statale (anche diversa da quella incriminatrice) fissi i caratteri, i presupposti, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità amministrativa.

Nei casi di norme penali in bianco, l’apporto della fonte inferiore non specifica solo elementi di un precetto individuato dalla legge, ma si estende fino a porre egli stesso il comportamento da osservare in concreto.

Accade, poi, che la fonte secondaria disciplini uno o più elementi che concorrono alla descrizione del fatto di reato. Quindi, la fonte normativa inferiore interviene per la configurazione del fatto di reato e un esempio è la contravvenzione di cui all’art 659 c.p. che punisce chi esercita un mestiere rumoroso contro le prescrizioni dell’autorità locale, prescrizioni che contribuiscono a delineare le modalità del fatto vietato.

Vi è il dubbio che tale forma di integrazione contrasti con il principio della riserva di legge; ma è necessario un certo margine di tolleranza dato che spesso nell’ordinamento la definizione della tutela penale si congiunge con altre discipline extrapenali di fonte secondaria.

In terzo luogo, la fonte secondaria specifica da un punto di vista tecnico elementi predeterminati nelle linee essenziali dalla legge. La legge consente alla fonte subordinata di individuare i comportamenti punibili tra quelli disciplinati. Questo modello è in contrasto con il principio della riserva di legge e dunque illegittimo.

La Corte costituzionale, in merito alla questione dei precetti penali integrati da atti amministrativi, in passato, ha seguito un orientamento più tollerante, facendo riferimento alla tesi del presupposto di fatto. Negli anni Novanta è spiccato un atteggiamento più rigoroso; in ogni caso l’individuazione degli elementi essenziali della fattispecie deve essere affidata alla legge.

Rapporto legge-consuetudine

La consuetudine è la ripetizione generale, uniforme e costante, di un comportamento unita alla convinzione di ottemperare ad un precetto giuridico.

Essa nel diritto penale non ha un ruolo incriminatore o aggravatore del trattamento sanzionatorio. Non è nemmeno ammessa la consuetudine abrogatrice.

Alcuni studiosi ammettono la consuetudine integratrice; ma anche tale tesi andrebbe criticata, poiché anche se vi sono dei dubbi (in alcuni casi) circa l’integrazione ad opera della fonte secondaria non si vede perché ammettere quella ad opera della fonte consuetudinaria.

Differente è il riferimento a criteri di valutazione dominanti nella comunità sociale, ad esempio cosa debba intendersi per atto osceno.

È ammessa la consuetudine scriminatrice; ciò in quanto le norme che rappresentano le cause di giustificazione non hanno carattere specificatamente penale.

Vuoi diventare davvero bravo in diritto penale?

Con le nostre ripetizioni sarai preparato al meglio e sicuro di te.
Che cosa aspetti?

Scopri le nostre ripetizioni di diritto penale
Perché scegliere RipetiamoDiritto?

Perché RipetiamoDiritto fornisce una completa preparazione agli esami, ai concorsi e all'esame di stato di avvocato, nonché una assistenza per la stesura delle tesi di laurea in ambito giuridico. Gli studenti acquistano una visione critico/logica, ma mai mnemonica, delle varie branche del Diritto.
Siamo un gruppo di avvocati e professionisti con la passione per la formazione.
Già oltre 200 studenti ci hanno scelto conseguendo ottimi risultati!

Riferimenti:

  • Fiandaca, Musco, Diritto penale, VII edizione

Fonti normative:

  • artt. 3, 5, 25, 120 Cost. ;
  •  artt. 1, 650, 659 c.p.