Essendo il giudizio arbitrale di natura privatistica, il legislatore non si preoccupa di disciplinare le modalità del giudizio, se non introducendo una normativa minima che può essere deregolata in melius dalle parti. Tuttavia sono mantenuti degli standard minimi di tutela. Si pensi al principio del del contraddittorio, la tutela dei terzi, l’imparzialità nell’assunzione della decisione.
Non sussistono le regole di cui al procedimento di cognizione in ordine ai requisiti della domanda ex articolo 163 CPC, né tantomeno possono esistere le preclusioni di rito quali l’articolo 183 e l’articolo 184. Pertanto durante il giudizio arbitrale è possibile sia l’emendatio sia la mutatio libelli nonché la possibilità di modificare la causa petendi e il petitum.
Le parti possono liberamente decidere decadenze e preclusioni anche diverse da quelle del codice.
Il primo aspetto che viene modificato dalla riforma del 2006 riguarda la sede dell’arbitrato. L’articolo 816 prevede, infatti, che le parti determinano la sede dell’arbitrato nel territorio della Repubblica altrimenti provvedono gli arbitri; se entrambi non operano in tal senso la sede deve individuarsi nel luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. Se tale luogo non si trova nel territorio nazionale la sede è a Roma.
Gli arbitri possono tenere udienza e compiere atti istruttori anche in sedi diverse dalla sede dell’arbitrato.
In relazione alla domanda il legislatore non indica né i requisiti, né il contenuto, né la forma come invece fa per il processo di cognizione. Tuttavia la domanda produce effetti analoghi alla domanda giudiziale, ad esempio la sospensione della prescrizione. Essa è soggetta anche a trascrizione.
Le parti possono stare in giudizio anche senza un difensore tecnico, in caso contrario esso dovrà avere apposita procura. Per quanto riguarda la trattazione si stabilisce che le parti e gli arbitri possono autorizzare il presidente del collegio arbitrale a deliberare le ordinanze circa lo svolgimento del procedimento. In ogni caso gli arbitri possono decidere di procedere con ordinanza precedente al lodo definitivo.
L’istruzione probatoria
Fatti salvi i principi del contraddittorio, dell’ordine pubblico e del buon costume, le parti possono determinare le regole relative all’istruzione probatoria che può essere solo eventuale. Possono ad esempio attribuire o sottrarre poteri inquisitori o decidere di ammettere mezzi di prova diversi da quelli ammessi nel processo civile. Allo stesso modo possono restringere il numero dei mezzi di prova. Se le parti non hanno disposto niente in merito all’assunzione delle prove, gli arbitri possono determinarne il regime.
Tale discrezionalità riguarda solo le modalità di forma ma non le regole di prova legale e le regole di ammissibilità.
Gli arbitri non possono limitare i mezzi di prova deducibili dalle parti perché sarebbe in contrasto col principio del contraddittorio. L’articolo 816-ter prevede che l’istruttoria, o i singoli atti di istruzione, possano essere delegati dagli arbitri a uno di essi, che gli arbitri possono assumere direttamente presso di sé la testimonianza, che gli arbitri possono deliberare di assumere la deposizione richiedendo al testimone di specificare alcune risposte, che se un testimone si rifiuta di comparire questi possono chiedere con ordinanza al presidente del tribunale che ne ho ordini la comparizione davanti a loro, che gli arbitri possono farsi assistere da uno o più consulenti tecnici.
L’intervento dei terzi
Prima del 2006 l’intervento dei terzi non era disciplinato. Tale mancanza veniva giustificata da una incompatibilità strutturale tra l’accordo compromissorio e la presenza di soggetti terzi che non avevano preso parte alla stipulazione della clausola arbitrale. Quindi se da una parte i terzi non potevano essere influenzati dalle decisioni delle parti, dall’altra non potevano intervenire. In dottrina qualcuno ha messo in evidenza l’inammissibilità di tale visione.
L’intervento del terzo, infatti, deve essere considerato come un mezzo tramite il quale l’arbitrato si arricchisce. L’ammissibilità dell’intervento del terzo si enuncia all’articolo 816-quinquies sia pure entro specifici limiti. L’intervento volontario e la chiamata in arbitrato di un terzo sono ammessi solo con accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri. Pertanto, l’ambito soggettivo e oggettivo del procedimento può essere ampliato ma solo col consenso di tutti.
È stato evidenziato che tale norma non detta specifiche regole riguardo alla composizione del collegio arbitrale. Se ne deduce che il terzo è posto di fronte all’alternativa: o accetta il collegio arbitrale nella sua composizione originaria oppure rimane estraneo all’arbitrato potendone instaurare un altro. Il terzo potrebbe chiedere alle parti di procedere alla ricostruzione del collegio arbitrale.
La normativa non sembra porre distinzione tra terzo che sia stato parte originaria del patto compromissorio e terzo che ne sia rimasto estraneo. In entrambi i casi l’intervento e la chiamata in arbitrato del terzo sarebbero soggetti all’accordo di tutte le parti.
Inoltre si potrebbe porre il problema della composizione del collegio arbitrale. Per questo motivo si distingue tra intervento volontario e chiamata in arbitrato del terzo. Nel primo caso il problema non si pone in quanto il terzo accetta la composizione del collegio arbitrale. Nel secondo caso non è irrilevante la composizione del collegio arbitrale, il terzo non può essere posto in una posizione deteriore rispetto alle parti, così che se la nomina è stata effettuata dalle parti in mancanza di accettazione da parte del terzo la conseguenza sarà l’impossibilità di svolgimento di un arbitrato simultaneo.
Il procedimento arbitrario ammette che un soggetto possa intervenire per sostenere le ragioni di una delle parti quando vi ha un proprio interesse, si tratta dell’intervento adesivo dipendente. Il terzo, quindi, interviene per sostenere le ragioni di una delle parti senza far valere un autonomo diritto. Nei suoi confronti si estenderanno gli effetti del lodo. Se fosse vietata questa forma di intervento si avrebbe una lesione dell’articolo 24 della Costituzione.
In merito al litisconsorte necessario pretermesso si deve considerare l’articolo 816-quater. La norma specifica che per aversi il simultaneo processo è necessario che tutte le parti siano vincolate dalla medesima convenzione d’arbitrato. In difetto di tali condizioni non potrà essere instaurato un simultaneo processo arbitrale, ma ce ne saranno di altri. Nel caso di litisconsorzio necessario il simultaneo processo diventa una condizione di procedibilità che, qualora non venga rispettata, consentirà alle parti di adire il giudice ordinario.
È ammesso l’intervento del litisconsorte necessario senza che sia richiesto l’accordo di tutte le parti e gli arbitri. La norma non pone distinzione tra litisconsorte pretermesso che non sia stato parte dell’accordo compromissorio e litisconsorte che ne sia stato parte: nell’uno e nell’altro caso l’intervento è sempre ammesso. In entrambi i casi la procedibilità dell’arbitrato è ammessa solo allorquando vi sia una paritaria partecipazione delle parti nella formazione del collegio. Secondo parte della dottrina non sarebbe necessario il consenso di tutte le parti all’intervento del litisconsorte necessario pretermesso, secondo altri invece è necessario il consenso di tutte le parti.
Una simile ricostruzione pur corretta nella sua impostazione di fondo non è appagante. Si trascura di considerare l’eventuale conflitto di interessi che può sussistere. Inoltre, la disciplina specifica che è necessario l’accordo di tutte le parti per la nomina degli arbitri mentre un’altra norma prevede che l’intervento del litisconsorte necessario è sempre ammesso (a prescindere dall’accordo).
Per quanto riguarda invece l’articolo 111 c.p.c. c’è stata una equiparazione tra procedimento giurisdizionale e procedimento arbitrale. C’è equiparazione tra tutti i soggetti che partecipano alla vicenda successoria. In questo caso si tratterebbe non di un intervento del soggetto terzo ma di un intervento di una parte del procedimento. Gli effetti della decisione si estendono anche nei suoi confronti per cui il suo intervento è indispensabile; solo così verrebbe rispettato il contraddittorio. Egli è infatti sostituto processuale; può impugnare per nullità il lodo.
La sospensione del processo arbitrale
L’articolo 819-bis del codice di rito richiama l’articolo 816-sexies. Tale articolo specifica che se la parte viene meno per morte o altra causa oppure perde la capacità legale, gli arbitri devono assumere le misure idonee a garantire il contraddittorio per proseguire il giudizio e possono sospendere il procedimento. Se nessuna delle parti ottempera, gli arbitri possono rinunciare all’incarico. Altro caso di sospensione facoltativa sussiste quando è invocata l’autorità di una sentenza e questa sia stata impugnata.
L’articolo 819-bis dispone che gli arbitri devono sospendere il processo arbitrale con ordinanza nei seguenti casi: quando la controversia è pendente davanti al giudice, se sorge una questione pregiudiziale che non può essere oggetto di convenzione d’arbitrato e quando viene rimessa alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale.
La ripresa del processo arbitrale avviene con la presentazione a cura di chi ne ha interesse di una istanza di prosecuzione alla quale seguirà una fissazione di udienza. Il mancato deposito provoca l’estinzione.
Le questioni pregiudiziali
Nel processo arbitrale possono sorgere questioni pregiudiziali di merito, ivi comprese quelle di rango costituzionale o vertenti sull’interpretazione del diritto comunitario. Prima erano definite davanti al giudice competente, mentre oggi gli arbitri devono risolvere senza autorità di giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione della controversia, anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di convenzione di arbitrato, salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge.
Le spese
Gli arbitri possono richiedere alle parti una anticipazione delle spese, il cui mancato versamento è giustificato motivo di rinuncia all’incarico. Si avrà anche estinzione dell’accordo compromissorio. Salvo diverso accordo tra le parti gli arbitri devono determinare la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte. Se una parte non presta l’anticipazione l’altra può anticipare la totalità delle spese.
L’anticipazione delle spese si differenzia dall’adempimento dell’obbligazione di pagamento del compenso poiché, mentre la seconda è solidale, la prima rappresenta per le parti un’obbligazione parziaria: ogni parte è tenuta al pagamento di una quota.
Nel caso di inadempienza di una parte, la parte che intende coltivare il merito in sede di giurisdizione ordinaria non incorrerà nel rischio che la parte inadempiente possa sollevare l’eccezione della convenzione di arbitrato, in quanto gli arbitri devono pronunciare comunque il lodo definitivo con il quale dichiarano estinta stata la convenzione arbitrale, ai sensi dell’art. 816-septies cpc.
Il lodo
Il lodo è la decisione con cui gli arbitri, esaminati gli elementi e gli atti prodotti, accolgono o respingono le richieste formulate dalle parti in base a motivazioni di diritto oppure di equità. Pertanto il lodo arbitrale è l’atto finale del procedimento rituale. Le parti devono rispettare le determinazioni in quanto vincolanti. Lo stesso è vincolante anche per le parti che sono rimaste assenti nel processo a condizione che siano state messe in condizioni di partecipare.
Il lodo ha la stessa efficacia di sentenza pronunciata dal giudice; è espressione di mera autonomia negoziale delle parti e non del potere autoritativo statale di definire la controversia. Pertanto, non si trasforma in sentenza. In passato il lodo, se non veniva omologato, non aveva alcuna efficacia negoziale, ma era solo un primo aspetto di una fattispecie che si completava con il deposito nel termine di cinque giorni. Solo il decreto di esecutività gli avrebbe riconosciuto valore di sentenza.
La riforma del 2006 ha previsto che con la deliberazione, la sottoscrizione e la successiva comunicazione del lodo si conclude il compito degli arbitri. Il lodo ha effetto dalla data dell’ultima sottoscrizione. Pertanto la fase che da al lodo l’esecutività e la possibilità che venga trascritto è solo eventuale.
Anche il lodo, come la sentenza, è suscettibile di acquisire efficacia di cosa giudicata ed è titolo esecutivo nonché presupposto per l’iscrizione di ipoteca. Tramite questo atto si modificano, si estinguono o si costituiscono rapporti giuridici tra le parti. Nell’ambito dei rapporti civili e commerciali internazionali la pronuncia ha forza anche superiore a quella delle sentenze rese dai giudici statali in quanto più convenzioni internazionali consentono al lodo di essere agevolmente riconosciuto ed eseguito anche in stati diversi da quello in cui si è svolto il procedimento arbitrale, a condizione che la controversia possa formare oggetto di compromesso e il lodo non contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico.
Nel caso in cui le parti abbiano optato per un arbitrato irrituale il lodo avrà la stessa forza di contratto tra le parti ex articolo 1372 c.c. e pertanto in mancanza di spontaneo adempimento la parte interessata potrà ottenere quanto previsto solo dopo un vero e proprio giudizio. Il lodo irrituale può essere impugnato con i mezzi per le impugnazioni dei contratti, ovvero per errore, violenza, dolo, o incapacità delle parti o degli arbitri.
Il lodo rituale ex articolo 823 c.p.c. deve contenere il nome degli arbitri, l’indicazione della sede dell’arbitrato, l’indicazione delle parti, l’indicazione della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti, l’esposizione sommaria dei motivi, il dispositivo e la sottoscrizione degli arbitri.
Il lodo deve essere pronunciato entro il termine stabilito dalle parti. In mancanza di tale termine deve essere pronunciato entro 240 giorni dall’ accettazione dell’incarico, termine prorogabile su richiesta fatta al tribunale competente. La proroga potrà essere di 180 giorni quando: devono essere assunti mezzi di prova, deve essere disposta consulenza tecnica d’ufficio, è stato pronunciato lodo non definitivo o parziale o se nelle more del procedimento è cambiato il collegio arbitrale.
Il vizio relativo al decorso del termine non produce automaticamente l’estinzione del procedimento arbitrale in quanto tale vizio è sanabile.
Gli arbitri decidono o secondo diritto o secondo equità. Tuttavia decidere secondo equità significa che il lodo non può mai essere pronunciato in contrasto con norme di ordine pubblico.
In sintesi il procedimento arbitrale si articola in tre sottofasi: deliberazione, sottoscrizione e comunicazione, essendo solo eventuale la fase di deposito.