rapporto obbligatorio
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Il rapporto obbligatorio

Nozione

Con il termine “obbligazione” si intende il rapporto tra due soggetti, il debitore (soggetto passivo) e il creditore (soggetto attivo), in forza del quale il primo è tenuto a una determinata “prestazione” nei confronti del secondo, come ad es. la consegna del bene alla quale è tenuto il venditore nei confronti dell’acquirente.

Questo rapporto crea due posizioni correlate: la posizione passiva di debito e la posizione attiva di credito. In questo contesto, al debitore fa capo una determinata “obbligazione” (nell’esempio, l’obbligo di consegnare il bene), mentre al creditore fa capo il corrispondente “diritto di credito” (nell’esempio, il diritto a ricevere la consegna del bene).

Il creditore necessita della cooperazione del debitore per ottenere l’utilità cui ha diritto, il che rende il diritto del creditore “relativo” o personale, cioè esercitabile solo nei confronti del debitore.

La nozione di “diritto di credito” è tradizionalmente contrapposta a quella di “diritto reale”. Il primo è un diritto nei confronti di un soggetto obbligato ad una determinata prestazione (cd. “relatività” del diritto di credito), il secondo è un diritto sulla cosa, caratterizzato da “immediatezza” e “assolutezza”.

La distinzione tra diritto di credito e diritto reale si fa più sottile quando la prestazione dovuta dal debitore consiste nel consentire al creditore di utilizzare un bene e trarre le utilità che esso può offrire (ad esempio, il diritto di un terzo di pescare in un laghetto privato; il diritto del cliente di fruire di una camera d’hotel, ecc.). In questi casi, si dice che il potere del creditore sul bene è mediato (il godimento del bene è garantito dalla condotta imposta al debitore, non da una potestà diretta sul bene stesso) e relativo (può essere esercitato solo nei confronti del debitore, non erga omnes come nei diritti reali). Proprio per queste ipotesi si parla di “diritti personali di godimento” per distinguerli dai “diritti reali di godimento”.

La giuridicità del vincolo del debitore è sanzionata solo con una “responsabilità patrimoniale” (art. 2740 c.c.), rispondendo dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. In altre parole, se il debitore non soddisfa il suo obbligo, il creditore può invocare misure coercitive (solo) sul patrimonio del debitore.

Quando il creditore ha diritto di ricevere una somma di denaro (situazione più comune per le obbligazioni), può ottenere quanto gli spetta tramite l’esecuzione forzata, a condizione che il patrimonio del debitore sia sufficiente.

La stessa equivalenza tra la prestazione dovuta e il risultato delle procedure esecutive può realizzarsi anche in altri casi in cui è possibile l’ “esecuzione forzata in forma specifica”: obbligo di consegnare una cosa determinata, obbligo di fare fungibile, obbligo di concludere un contratto, obbligo di non fare che si traduca nella realizzazione di un’opera (artt. 2930-2933 c.c.).

Negli altri casi, il creditore insoddisfatto può soltanto chiedere il risarcimento dei danni subiti. Questo risarcimento sostituisce la prestazione originariamente dovuta e rimasta inadempiuta con un credito pecuniario che può essere eseguito coattivamente.

Fonti delle obbligazioni

Le obbligazioni, come indicato nell’art. 1173 c.c., possono originarsi da:

  • contratto;
  • fatto illecito;
  • ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico, come ad esempio promesse unilaterali, titoli di credito, gestione di affari, pagamento dell’indebito, ecc.

Queste diverse fattispecie sono perciò denominate “fonti” delle obbligazioni.

La classificazione accolta nell’attuale codice civile deriva da GAIO, che distingueva tra obbligazioni derivanti da contratto, da delitto e da “variae figurae”. Il legislatore del 1942 ha abbandonato la quadripartizione delle obbligazioni presente nelle Istituzioni di Giustiniano (contratto, delitto, quasi contratto, quasi delitto), ritenendo incongruente la distinzione tra quasi contratto e quasi delitto.

Il legislatore italiano ha quindi riconosciuto che, oltre al contratto e all’atto illecito, anche altri atti o fatti sono idonei a generare obbligazioni, purché tale idoneità sia riconosciuta dall’ordinamento giuridico. Tra queste fonti di obbligazione, oltre a quelle cd. nominate (esplicitamente indicate dal legislatore, come promesse unilaterali, titoli di credito, gestione di affari, pagamento dell’indebito e arricchimento senza causa), vi sono anche quelle cd.  innominate, cioè quegli accadimenti, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, ritenuti idonei a produrre obbligazioni sulla base dei principi e dei criteri desumibili dall’ordinamento.

Esempi di fonti innominate di obbligazioni riconosciute dalla giurisprudenza includono: il testamento, i cd. “atti leciti dannosi” (ad es., l’indennizzo riconosciuto al proprietario di un fondo per immissioni giustificate da esigenze produttive), i rapporti nascenti da taluni contratti nulli, i rapporti contrattuali di fatto o da “contatto sociale qualificato” (situazioni in cui un’attività normalmente contrattuale viene svolta in assenza di un contratto, come l’istruzione e la vigilanza svolta dall’istituto scolastico e dall’insegnante senza contratto tra questi ultimi e l’alunno).

Il codice civile prevede e disciplina la figura generale dell’obbligazione negli articoli 1173-1320, indipendentemente dalla fonte. Successivamente, tratta separatamente delle singole fonti da cui l’obbligazione può derivare, come il contratto, le promesse unilaterali, i titoli di credito, la gestione d’affari, il pagamento dell’indebito, l’arricchimento senza causa e i fatti illeciti.

Questa impostazione offre una visione parziale del fenomeno obbligatorio. Ad esempio, un’obbligazione derivante da un contratto è semplicemente uno strumento per realizzare il programma contrattuale. Riprendendo l’esempio precedente, l’obbligazione del venditore di consegnare il bene venduto serve a concretizzare l’operazione economica delineata dal contratto di compravendita. Pertanto, il mancato adempimento dell’obbligazione comporta non solo le sanzioni per l’inadempimento dell’obbligazione (come il risarcimento del danno), ma anche quelle relative all’inadempimento del contratto stesso (come la risoluzione del contratto).

L’obbligazione naturale

L’obbligazione naturale si contrappone a quella civile. Essa si verifica quando una determinata prestazione è dovuta non in forza di una delle fonti delle obbligazioni civili (di cui si è appena detto), ma in esecuzione di un dovere morale o sociale.

Il debitore di un’obbligazione naturale non è giuridicamente obbligato a eseguire la prestazione, ma, se la esegue, non può chiederne la restituzione (cd. soluti retentio) (art. 2034 c.c.).

Questa irripetibilità della prestazione eseguita richiede, però, il concorso dei seguenti presupposti:

  • la spontaneità dell’esecuzione, cioè che la prestazione sia eseguita senza alcuna coercizione;
  • la capacità del soggetto che esegue la prestazione;
  • la proporzionalità tra la prestazione eseguita, da un lato, ed i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare, da altro lato.

Il diritto di trattenere la prestazione ricevuta in adempimento di un’obbligazione naturale è l’unico effetto riconosciuto a tale obbligazione. Pertanto, le obbligazioni naturali non possono, ad esempio, essere oggetto di novazione oggettiva, cessione, trasmissione ereditaria, compensazione legale o giudiziale, né essere garantite da garanzie reali o personali.

Alcune ipotesi di obbligazione naturale sono specificamente previste dalla legge, come il debito di gioco (art. 1933 c.c.), l’obbligo di eseguire la disposizione fiduciaria (art. 627, commi 1 e 2, c.c.), e, secondo alcuni, il debito prescritto (art. 2940 c.c.). In questi casi, la legge non permette al creditore di chiedere giudizialmente l’adempimento dell’obbligazione, ma consente solo di rifiutare la restituzione di quanto eventualmente ricevuto.

Queste ipotesi, previste dalla legge, non esauriscono il quadro delle obbligazioni naturali. Esistono anche altre situazioni, non specificate dalla legge, in cui l’esecuzione di una prestazione è comunque giustificata dall’adempimento di un dovere morale o sociale, la cui mancata osservanza potrebbe portare a un giudizio di disapprovazione o disistima da parte della comunità, secondo l’etica sociale prevalente in un determinato momento storico.

In forza di siffatto criterio, sono considerate obbligazioni naturali le prestazioni gratuite a favore del convivente more uxorio, il pagamento spontaneo di interessi pattuiti oralmente in misura extralegale, l’adempimento spontaneo di disposizioni testamentarie orali, le prestazioni a favore di parenti senza obbligo alimentare.

Anche se consistono in prestazioni gratuite non dovute e non ripetibili se eseguite spontaneamente, la legge prevede espressamente che le attribuzioni fatte per riconoscenza, in considerazione dei meriti del beneficiario o per speciale remunerazione (cd. donazione remuneratoria: art. 770, comma 1, c.c.), così come le attribuzioni fatte in conformità agli usi, anche per servizi resi (ad es., le mance) (cd. donazione d’uso: art. 770, comma 2, c.c.), non costituiscono adempimento di obbligazione naturale.

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Riferimenti:

  • Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, XXV ed.

Fonti normative:

  • Art. 627, commi 1 e 2, c.c. ;
  • art. 770 c.c. ;
  • artt. 1173-1320 c.c. ;
  • art. 1933 c.c. ;
  • art. 2034 c.c. ;
  • art. 2740 c.c. ;
  • artt. 2930-2933 c.c. ;
  • art. 2940 c.c.