L'individuo e la tutela internazionale dell'uomo
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L’individuo e la tutela internazionale dell’uomo

Premessa

Il movimento internazionale per la protezione dei diritti dell’uomo si è sviluppato a partire dall’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, nel 1945. Tra la metà del XIX secolo e la fine della prima guerra mondiale, oggetto di protezione erano le minoranze religiose, specialmente quelle che professavano la religione cristiana e vivevano all’interno dell’Impero ottomano. Con il Trattato di Parigi si obbligava il suddetto Impero a trattare tutti i sudditi su un piano di uguaglianza sia che professassero la religione cristiana sia che professassero la religione musulmana.

Il Covenant delle Società delle Nazioni non conteneva nessuna disposizione sui diritti dell’uomo né sulle minoranze. Disposizioni sulle minoranze furono inserite nei trattati di pace conclusi dopo la prima guerra mondiale. La protezione delle minoranze era inoltre oggetto di dichiarazioni unilaterali effettuate nei confronti della Società delle Nazioni. Ma la tutela della minoranza era una questione che riguardava gli Stati vinti o quelli di nuova indipendenza. Era previsto anche un sistema di garanzie fondato sulla possibilità per gli individui di indirizzare una petizione al Segretario generale della Società delle Nazioni.

Nel 1926 fu firmata a Ginevra la Convenzione contro la schiavitù. La tutela dei diritti dell’uomo in quest’epoca è ben poca cosa se paragonata a quello che c’è stato subito dopo la Carta delle Nazioni Unite. Nel periodo precedente, la scarsa considerazione dell’individuo come persona era dimostrata dallo scambio o trasferimento di popolazioni nelle sistemazioni postbelliche e da una dottrina che considerava l’individuo come oggetto di un diritto reale da parte dello Stato. La tutela dei diritti umani viene realizzata con accordi internazionali, che disciplinano sia i diritti che gli Stati sono obbligati ad accordare agli individui sia gli strumenti di garanzia.

Numerosi sono anche gli strumenti di soft law. Non mancano norme consuetudinarie e buona parte delle norme relative ai crimini internazionali sono configurabili come tali. Ad oggi lo Stato che lede i diritti individuali commette illecito internazionale. Dalle regole relative ai diritti dell’uomo devono essere tenute distinte quelle relative al diritto internazionale umanitario, che disciplinano i rapporti tra belligeranti e la protezione della popolazione civile in un periodo di conflitto. Durante un conflitto armato dovrebbero trovare applicazione tanto le norme sui diritti dell’uomo quanto quelle di diritto internazionale umanitario. Ma tra le due categorie esiste un rapporto lex generalis (diritti dell’uomo) lex specialis (diritto umanitario), con la conseguenza che in caso di conflitto occorre dare prevalenza al diritto umanitario.

Le Nazioni Unite

La Carta delle Nazioni Unite contiene articoli dedicati ai diritti dell’uomo. Il rispetto dell’uomo e la salvaguardia delle libertà fondamentali sono contenute nel preambolo. Le Nazioni Unite promuovono il rispetto e l’osservanza di questi diritti senza discriminazione, l’articolo 55 che disciplina questo aspetto è una norma di natura programmatica, l’articolo 56, invece, obbliga gli Stati ad agire collettivamente o singolarmente per la protezione dei diritti umani. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 rappresenta uno dei primi strumenti in cui si considerano i diritti dell’individuo, ma non è strumento giuridico vincolante. Tuttavia è la premessa di molti trattati sia a livello regionale sia a livello universale. Sempre nel 1948, è stata conclusa la Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio allo scopo di salvaguardare il diritto alla esistenza fisica di membri del gruppo.

Il genocidio è qualificato come crimine internazionale sia se commesso in tempo di pace, sia in tempo di guerra. Affinché un atto possa essere considerato genocidio, occorre un elemento materiale (ad es. l’uccisione di membri del gruppo) e  un elemento psicologico, cioè l’intenzione di distruggere il gruppo in quanto tale (dolo specifico). Il genocidio è uno dei crimini su cui hanno deciso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia e quello per il Ruanda. È di competenza anche della Corte penale internazionale. La Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiato non attribuisce agli individui il diritto d’asilo e non obbliga gli Stati a concederlo. Il richiedente asilo avrebbe diritto di chiedere che la sua domanda sia presa in considerazione. Il solo obbligo a carico degli Stati è quello di non respingere il soggetto verso le frontiere di un nuovo Stato ove la sua vita o la sua libertà siano minacciate. La Convenzione obbliga, inoltre, a non assoggettare a sanzioni penali i rifugiati che entrino illegalmente nel territorio dello Stato in cui tendono a chiedere asilo. Importanti sono il Patto sui diritti civili e politici e il Patto sui diritti economici, sociali e culturali. Mentre i diritti civili e politici sono contenute in norme generalmente self executing, quelli economici, sociali e culturali sono contenute in norme programmatiche.

Nei Covenants,  tale tecnica non è sempre seguita. Anche le norme relative a questa seconda categoria sono suscettibili di attribuire diritti soggettivi perfetti, come ad esempio il diritto di sciopero. Vi sono poi alcuni diritti che non possono essere derogabili tra cui il divieto di tortura o di trattamenti crudeli. L’articolo 1 dei due Patti garantisce il diritto all’autodeterminazione. È un diritto che appartiene ai popoli e non agli individui. La realizzazione dell’autodeterminazione è la condizione per il godimento dei singoli diritti individuali. Il Patto distingue anche tra popoli e minoranze. I diritti sono attribuiti agli individui appartenenti alla minoranza, che possono esercitarli singolarmente o in comune con gli altri membri del gruppo; le minoranze protette sono le minoranze etniche, religiose e linguistiche. Quanto ai meccanismi di garanzia è previsto l’invio di rapporti periodici da parte degli Stati al Segretario generale delle Nazioni Unite circa la attuazione dei Patti all’interno degli ordinamenti statali.

Il Patto sui diritti civili e politici stabilisce un meccanismo di controllo più avanzato: è prevista la competenza del Comitato dei diritti dell’uomo a esaminare i reclami di uno Stato che lamenta la violazione dei diritti dell’uomo da parte di un altro Stato parte del Patto. Il Comitato si mette a disposizione delle parti per pervenire ad una soluzione della controversia in conformità ai diritti dell’uomo. Se questo risultato non è possibile il Comitato può istituire, con il consenso degli Stati interessati, una commissione di conciliazione. Un Protocollo opzionale al Patto sui diritti civili e politici prevede che gli individui possono fare reclamo al Comitato dei diritti dell’uomo, la procedura si conclude con una constatazione indirizzata dal Comitato allo Stato parte chiamato in causa e all’individuo. La costatazione non ha natura vincolante. Anche il Patto sui diritti economici, sociali e culturali prevede un Protocollo opzionale che prevede i reclami individuali, quelli interstatali e una procedura d’inchiesta.

La Convenzione contro la tortura e altri trattamenti crudeli inumani o degradanti istituisce, invece, un sistema di garanzia aggiuntivo. L’Italia ha ratificato questa convenzione ma non ha inserito nel proprio codice penale il reato di tortura. Il Comitato dei diritti dell’uomo, organo previsto da un trattato e composto da individui, non è la stessa cosa della Commissione dei Diritti dell’Uomo, cui è succeduto, nel 2006, il Consiglio dei diritti umani. Commissione e Consiglio sono organismi di Stati, creati, da una risoluzione del Consiglio economico e sociale e da una risoluzione dell’Assemblea Generale. La Commissione dei diritti dell’uomo era composta da 53 Stati eletti dal Consiglio economico e sociale. Aveva funzioni normative importanti e il compito di controllare il rispetto dei diritti dell’uomo all’interno degli Stati membri. Poteva esaminare reclami di individui con procedura confidenziale, ma i risultati potevano sfociare anche in un rapporto pubblico.

Nel 2006 è intervenuto il Consiglio dei diritti umani per eliminare l’inefficienza cui ultimamente era pervenuta la Commissione. La decisione di istituirlo è stata presa nel quadro dei lavori per la riforma della Carta delle Nazioni Unite e resta uno dei pochi successi, se non l’unico, finora conseguito. L’idea era quella di istituire un organismo a composizione ristretta, che fosse eletto con una maggioranza di 2/3  dei membri dell’Assemblea Generale e dove trovassero posto solo gli Stati in possesso di un alto tasso in materia di osservanza e rispetto dei diritti dell’uomo.

Il nuovo organo doveva interagire con il Consiglio di Sicurezza, in modo da facilitarne un pronto intervento, qualora ci fossero state gravi violazioni. Tuttavia il disegno principale non è stato attuato. I 47 membri del Consiglio sono eletti dall’Assemblea Generale a scrutinio segreto, ma i seggi vengono distribuiti secondo un criterio di equa ripartizione geografica: 13 all’Africa, 13 all’Asia, 6 all’Europa dell’Est, 8 all’ America Latina e Caraibi, 7 ai paesi occidentali, inclusi Canada e Stati Uniti. Il mandato è di 3 anni. La maggioranza quindi è composta da paesi afro-asiatici, i cui parametri in materia di osservanza dei diritti umani non sono sempre esemplari. Per essere eletti occorre uno standard elevato in materia di diritti umani (ma la prassi dimostra il contrario), pena la sospensione dal Consiglio. La Libia è stata sospesa dal Consiglio il 1° marzo 2011 e riammessa il successivo 18 novembre, dopo la definitiva caduta di Gheddafi. L’importanza del nuovo organismo è aumentata, poiché esso è un organo sussidiario dell’Assemblea Generale.

Il Consiglio dei diritti umani può indirizzare raccomandazioni all’Assemblea Generale, ma non al Consiglio di sicurezza, che comunque potrà tenerne conto. Il Consiglio, inoltre, si riunisce più frequentemente della Commissione. Può essere nominata anche una commissione di inchiesta. Nel 1993 è stato istituito l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

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Il Consiglio d’Europa e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale fondata nel 1949, ha la classica struttura tripartita delle organizzazioni internazionali ed è composto da: l’Assemblea Consultiva, di cui fanno parte i parlamentari degli Stati membri. Essi vengono designati dai parlamenti nazionali, tra i propri componenti, si tratta per cui di una rappresentanza di secondo grado, dal Comitato dei Ministri, composto dai ministri degli Affari Esteri dei Paesi membri e dal Segretario Generale.

Il Consiglio d’Europa non ha poteri normativi. I suoi atti sono gli atti tipici delle organizzazioni internazionali, come le raccomandazioni, che non sono giuridicamente vincolanti. L’Assemblea Consultiva può adottare risoluzioni di carattere generale e raccomandazioni indirizzate al Comitato dei Ministri. Risoluzioni e raccomandazioni possono essere rivolte dal Comitato agli Stati membri.

Il Comitato dei Ministri ha funzioni importanti anche per quanto riguarda la CEDU. Il Comitato deve osservare l’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Una mancata esecuzione potrebbe dar luogo alla violazione dello Statuto del Consiglio d’Europa e quindi porre le premesse per l’espulsione dello Stato. Per diventare membro del Consiglio d’Europa occorre essere uno Stato europeo e rispettare i diritti fondamentali.

La perdita dello status di membro avviene per recesso o per espulsione. Lo Stato che violi i principi dei diritti dell’uomo viene prima sospeso dal Comitato dei Ministri e invitato a ritirarsi, se non si ritira dal Consiglio d’Europa, lo Stato viene espulso. E’ il caso della Grecia, dopo il colpo di stato del 1967: essa fu esclusa per poi essere riammessa nel 1974.

Uno dei maggiori risultati conseguiti dal Consiglio d’Europa è stata la conclusione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del 1950. Essa si ispira alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e si compone di due parti. La prima di natura sostanziale, elenca i diritti garantiti e la seconda, di natura procedurale, stabilisce i meccanismi di garanzia. I diritti garantiti dalla Convenzione sono tutelati anche a livello degli ordinamenti statali, una volta che essi abbiano dato esecuzione alla Convenzione. È uno strumento molto rivoluzionario che ha subìto modifiche e integrazioni: sono aumentati i diritti garantiti, a cominciare da quello di proprietà. Infatti sono stati redatti 16 Protocolli addizionali: l’ultimo, relativo alla competenza della Corte di adottare pareri consultivi a richiesta dei giudici nazionali. È stato modificato il meccanismo di garanzia. Originariamente tale meccanismo era incentrato sulla Commissione e sulla Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal 1998 è stata istituita una Corte unica. È stato poi generalizzato il diritto di ricorso individuale che prima era previsto come clausola opzionale. Il ricorso individuale è esperibile nei confronti di qualsiasi Stato parte della Convenzione. Possono divenire parte della CEDU gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Dopo la caduta del muro di Berlino i paesi dell’Est, tranne la Bielorussia, sono stati ammessi al Consiglio d’Europa e hanno successivamente aderito alla CEDU. Sono vietate le riserve di carattere generale e sono ammesse solo quelle di carattere particolare, qualora una legge dello Stato riservante non sia conforme alle disposizioni della Convenzione, al momento di firma e ratifica della Convenzione stessa.

La Convenzione istituisce vincoli solidali o obblighi erga omnes. Con la conseguenza che ciascuno Stato parte può presentare un ricorso contro un altro Stato, che abbia violato la Convenzione, anche se esso non sia materialmente leso dalla violazione. La Convenzione specifica che le parti contraenti riconoscono ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti dal titolo primo della presente Convenzione, per cui essa si applica agli individui, cittadini o stranieri, presenti nel territorio di uno Stato parte e altresì a quelli su navi o aeromobili battenti la bandiera di uno Stato parte. Ma il problema è se la Convenzione trovi applicazione all’estero, in un territorio controllato dallo Stato parte. La giurisprudenza di Commissione e Corte EDU ha dato un’interpretazione estensiva di quanto suddetto affermando che la Convenzione era applicabile in occasione di funzioni statali esercitate all’estero. Il caso esemplare riguardava i contingenti militari della Turchia nella Repubblica Turca di Cipro del Nord, Stato non riconosciuto dalla comunità internazionale. La Corte ritenne che il territorio di Cipro del Nord si trovasse sotto il controllo generale della Turchia.

Questa giurisprudenza ha trovato una parziale correzione nel caso Bankovic, relativo al ricorso presentato dagli aventi causa delle vittime del bombardamento della stazione radio televisiva di Belgrado durante le operazioni aeree della Nato contro la Repubblica Federale di Jugoslavia. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile statuendo che la giurisdizione è territoriale. Nel caso Loizidou, invece, si trattava di applicare la convenzione nel territorio di Stati parti della Convenzione, ovvero Turchia e Cipro. La Corte ha quindi precisato che l’applicazione extraterritoriale della Convenzione ha luogo in circostanze eccezionali, come l’estradizione o espulsione.

La Corte ha specificato e ampliato la nozione di controllo del territorio, stabilendo che questo non si sostanzia solo nella occupazione bellica, ma può essere determinato dall’ influenza esercitata sotto il profilo politico, economico e istituzionale in una determinata regione appartenente ad altro Stato. La prima parte della Convenzione europea contiene un elenco di diritti che gli Stati hanno l’obbligo di garantire e sono altresì garantiti a livello internazionale. La Convenzione segue il modello della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ma non c’è perfetta coincidenza. I diritti garantiti nella CEDU sono suddivisi nelle seguenti categorie: libertà delle persone fisiche, diritto a un processo equo, diritto al rispetto della vita privata, familiare, della corrispondenza e del domicilio, libertà di pensiero, protezione dell’attività sociale e politica, diritto al rispetto dei beni.

La libertà delle persone fisiche comprende: il diritto alla vita, il divieto di trattamenti inumani e degradanti, il divieto della schiavitù, del lavoro forzato o obbligatorio e il diritto alla libertà e alla sicurezza. Tranne il divieto di trattamenti inumani e degradanti gli altri diritti hanno delle eccezioni. Ad esempio non è violazione del diritto alla vita l’esecuzione di una sentenza capitale  pronunciata da un tribunale, qualora il delitto sia punito dalla legge con la pena di morte. Non è privazione della libertà la detenzione regolare in seguito a condanna da parte di un tribunale competente. E’ stata configurata, invece, violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti l’estradizione di uno straniero verso un paese in cui possa essere sottoposto a tortura. Il diritto a un processo equo, disciplinato dall’articolo 6, ha assunto grande importanza nell’ambito della Convenzione. L’articolo non riguarda i diritti sostanziali, ma ha per oggetto il diritto alla tutela giurisdizionale e la regolarità del processo, riguarda sia la materia civile  sia la materia penale. L’art. 6, par.2, stabilisce la presunzione di innocenza, secondo cui ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

L’articolo 7 che stabilisce il principio di irretroattività in materia penale è altrettanto importante. Non costituisce violazione del principio di irretroattività la condanna per un reato che era considerato un crimine secondo il diritto internazionale, anche se l’evento non era qualificato come reato di diritto interno.

Il rispetto alla vita privata, familiare, del domicilio e della corrispondenza è sancito nell’articolo 8. L’ingerenza dell’autorità pubblica deve essere prevista per legge e nei casi tassativi. Ad esempio le intercettazioni telefoniche sono legittime, a condizione che vengano fatte nel rispetto della legge. Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è stabilito nell’articolo 12. La libertà di pensiero comprende la libertà di pensiero, coscienza e religione, di espressione e informazione. L’articolo 10 riguarda anche le radiodiffusioni e le trasmissioni televisive, gli Stati possono prevedere regimi di autorizzazione alle imprese di radiodiffusione o di televisione.

I diritti riconducibili alla protezione dell’attività sociale e politica hanno per oggetto la libertà di riunione e di associazione e il diritto a libere elezioni legislative. La libertà di associazione  comprende sia il diritto di fondare un sindacato sia il diritto di non associarsi. L’articolo 11 non garantisce la libertà di sciopero, che è invece salvaguardata nella Carta sociale europea.

Il diritto al rispetto dei beni e della proprietà è previsto dall’articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. Titolari del diritto sono le persone fisiche e giuridiche. Per beni si intendono non solo quelli materiali, mobili o immobili, ma anche quelli immateriali, come i brevetti. Per avere diritto alla tutela occorre essere titolari del bene. Il problema si è posto in merito ai provvedimenti relativi alla restituzione dei beni confiscati dai regimi comunisti. L’articolo 1 non vieta le espropriazioni, tuttavia esse devono essere predisposte sulla base di alcuni canoni: devono essere effettuate per cause di pubblica utilità, devono avvenire alle condizioni previste dalla legge, devono essere accompagnate da un indennizzo, devono avvenire in conformità ai principi generali del diritto internazionale. L’indennizzo deve essere pronto, adeguato ed effettivo.

Il diritto di proprietà non viene pregiudicato dalle leggi necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.

In casi specifici uno Stato può sospendere l’applicazione  di alcuni diritti. I casi in cui è possibile predisporre la deroga sono la guerra o altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione o comunque una situazione di crisi che ha carattere di eccezionalità e imminenza. Vi è però un nucleo di diritti inderogabili tra cui il diritto alla vita, il divieto della tortura e di pene, il divieto di schiavitù e il principio di legalità. Non è violazione del diritto alla vita l’uccisione in seguito a un atto legittimo di belligeranza. Per poter considerare se si tratta di atto legittimo, occorre fare riferimento al diritto umanitario. Lo Stato che si avvale della deroga deve informare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa sulle misure prese e i motivi che le hanno determinate. Il Segretario Generale dovrà essere informato anche della data in cui le misure cesseranno di essere applicate. Spetta ovviamente alle autorità nazionali l’applicazione della CEDU nell’ordinamento interno. La Corte supplisce alla carenza di tutela predisposta dal giudice nazionale e opera tenendo conto del margine di apprezzamento, che viene riconosciuto alle autorità nazionali nella applicazione di norme a tutela di diritti che non abbiano natura assoluta.

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Fonti normative:

  • Convenzione contro la schiavitù firmata a Ginevra nel 1926;
  • artt. 55, 56 Carta delle Nazioni Unite;
  • Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948;
  • Convenzione sullo status di rifugiato del 1951;
  • Patto sui diritti civili e politici art. 1;
  • Patto sui diritti economici, sociali e culturali art.1;
  • Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali artt. 6, 7, 8, 10, 11, 12;
  • Patto addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali art. 1
  • l. 24 marzo 2001 n. 89 (cd. legge Pinto);
  • art. 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;
  • D.P.C.M. del 2007;
  • l. 22 giugno 2012;
  • art. 630 c.p.p.
  • Carta dei diritti fondamentali dell’Ue del 2000;
  • art. 6 Trattato UE;
  • Documento di Copenaghen del 1990;
  • Documento di Mosca del 1991;
  • Conferenza del Vertice di Helsinki del 1992;
  • Convenzione di Stoccolma del 1992;
  • Risoluzione n.1541 dell’Assemblea Generale;
  • Accordo di Londra del 1945;
  • Conferenza di Kampala del 2010;
  • Convenzioni di Ginevra del 1949;
  • art. 3 Statuto del Tribunale per la ex Jugoslavia