Con il termine responsabilità internazionale si indicano le relazioni giuridiche che vengono ad esistere come conseguenza della commissione del fatto illecito. Tali relazioni consistono in un rapporto giuridico tra lo Stato autore dell’illecito e lo Stato leso. Il primo ha l’obbligo di effettuare la riparazione, il secondo il diritto di pretenderla. Lo Stato leso ha anche il diritto di comminare una contromisura, rappresaglia, nei confronti dello Stato autore dell’illecito. Tale diritto sorge per il soggetto leso nel momento in cui è commesso l’illecito. Si discute, se il diritto in questione possa essere esercitato autonomamente oppure sia subordinato alla mancata esecuzione dell’obbligo di riparazione, essendo la contromisura volta alla sua realizzazione.
Le relazioni conseguenti al fatto illecito possono essere non solo strettamente bilaterali; il comportamento può essere dovuto nei confronti di una pluralità di soggetti o addirittura della comunità internazionale nel suo insieme.
In diritto interno si distingue tra responsabilità civile e penale, in diritto internazionale, invece, la responsabilità è unica. In alcuni casi si avvicina di più a quella civile, poiché c’è l’obbligo di riparare il fatto illecito e non l’applicazione di una pena, quantunque la riparazione del fatto illecito possa talvolta consistere nella punizione dell’agente che lo abbia materialmente provocato. Un tentativo di differenziare la responsabilità internazionale in base alla natura dell’obbligo violato è stato fatto dalla CDI, Commissione di diritto internazionale, con la distinzione tra delitti e crimini internazionali dello Stato. Tale tentativo non è andato a buon fine per l’opposizione di alcuni Stati, tra cui gli Stati Uniti.
La responsabilità internazionale degli Stati è disciplinata dal diritto internazionale consuetudinario. Il tema figurava già tra quelli elencati nel 1930 dalla Società delle Nazioni come meritevoli di codificazione, successivamente la responsabilità internazionale fu inserita nella lista dei temi della Commissione internazionale. Furono prodotti sei rapporti, ma in quel periodo la Commissione si occupava di altri temi, come il diritto del mare o quello dei trattati. Il progetto di articoli della CDI fu approvato in prima lettura dalla Commissione nel 1996 e inviato agli Stati per commenti. La Commissione, sulla base delle indicazioni degli Stati, decise di snellire il progetto, eliminando talune norme. Esso, tuttavia, è rimasto in una sorta di limbo ma continua a suscitare interesse. Talune disposizioni sono state considerate dalla Corte internazionale di giustizia come dichiarative del diritto internazionale consuetudinario. Infatti nell’esposizione si farà riferimento al progetto, senza dimenticare che su alcuni punti è fortemente innovativo o lascia comunque spazio per differenti interpretazioni.
Gli elementi costitutivi del fatto illecito
Secondo l’articolo 2 del Progetto, gli elementi costitutivi del fatto illecito sono due e consistono in un elemento oggettivo, la violazione della norma, e in uno soggettivo cioè l’attribuzione della condotta ad uno Stato. Non compaiono né il danno né la colpa.
In merito all’elemento oggettivo esso si riferisce alla condotta, omissiva o commissiva, contraria a una norma di diritto internazionale. Non rileva la natura della norma violata, ad esempio se si tratti di una norma di diritto consuetudinario o pattizio. Quello che importa è che la norma sia in vigore per lo Stato al momento in cui la condotta è stata posta in essere, in base al principio del tempus regit actum. Ad esempio, la condotta contraria ad un trattato multilaterale impegnerà la responsabilità internazionale dello Stato, solo a partire dal momento in cui il trattato è in vigore per lo Stato in questione.
In merito all’elemento soggettivo, occorre accertare se una determinata azione o omissione sia imputabile allo Stato.
Imputabile allo Stato è innanzitutto la condotta di un suo organo. Sono considerati non solo gli organi del potere esecutivo, ma anche quelli del potere legislativo e quelli del potere giudiziario. Per quanto, poi, riguarda la qualità di organo dello Stato, si fa in genere riferimento al diritto interno dello Stato stesso. Tuttavia, la Corte internazionale di giustizia, nella sentenza nel caso del Genocidio ha sostenuto che, ai fini della responsabilità internazionale, è possibile equiparare a organi dello Stato anche persone che non hanno tale qualifica secondo il diritto interno, ma occorre dimostrare che lo Stato ritenuto responsabile eserciti su di esse un significativo controllo, sottoponendole ad una “completa dipendenza”. Inoltre, il diritto internazionale assimila ad organi statali anche persone o enti sprovvisti di tale qualità in base al diritto interno dello Stato, qualora siano abilitati da questo ad esercitare prerogative di governo.
La condotta di semplici individui, di regola, non è imputabile allo Stato. Diverso è il caso in cui la condotta dell’individuo venga fatta propria dagli organi dello Stato, come è accaduto nell’affare degli ostaggi a Teheran, in cui il comportamento tenuto dagli studenti islamici fu avallato e approvato dai massimi organi statali.
Mentre è facile accertare se un individuo o un gruppo di individui agiscono su istruzione dello Stato, ad esempio un commando che rapisca un individuo all’estero su ordine dello Stato, meno certo è determinare, ai fini dell’imputabilità dell’atto, quando essi agiscono sotto direzione o controllo dello Stato. Il problema è il grado di controllo esercitato. La commissione di diritto internazionale ha optato per la teoria secondo cui il controllo deve essere effettivamente esercitato su ogni specifico atto lesivo, ripudiando la tesi del controllo globale (overall control). Tale ultima teoria viene fatta propria dal tribunale penale per l’ex Jugoslavia, secondo cui è sufficiente un controllo generale sul comportamento del gruppo di individui, affinché la condotta sia imputabile allo Stato. Il concetto del controllo effettivo è stato ribadito nel caso del Genocidio.
Azioni commesse da privati individui a danno di individui o organi stranieri non impegnano la responsabilità dello Stato, tranne che lo Stato territoriale sia complice o tolleri il comportamento dei privati o comunque ometta di prendere le misure necessarie per impedire tali comportamenti. In tal caso, però, lo Stato non risponde dell’azione individuale, ma del proprio comportamento omissivo.
Non è attribuibile allo Stato territoriale il comportamento di un organo di una organizzazione internazionale, per il semplice fatto che l’organo abbia agito nello Stato territoriale. Del comportamento dell’organo ne risponderà l’organizzazione.
Che succede se l’organo agisce ultra vires, cioè al di fuori delle istruzioni ricevute o commette un abuso di potere? La prassi in materia è ricca. Il comportamento tenuto da organi di polizia è l’esempio più banale. A riguardo, la Commissione ha sposato la teoria dell’apparenza e ha attribuito allo Stato il comportamento dell’organo che abbia agito eccedendo i propri poteri, purché abbia agito nella sua qualità di organo.
Lo Stato non risponde dei danni provocati dagli insorti.
Il danno, inteso come pregiudizio materiale, ad esempio la distruzione di una nave da guerra, o morale, ad es. la lesione della dignità di uno Stato, conseguente alla violazione della norma, è escluso come elemento costitutivo del fatto illecito. Vi sono dei casi in cui la violazione della norma non arreca un danno materiale o morale allo Stato: è il caso della violazione di norme sui diritti umani da parte dello Stato territoriale nei confronti di propri sudditi oppure la violazione della Convenzione dell’OIL. Allo stesso modo, un danno non si produce, se uno Stato contravviene all’obbligo di adottare una normativa dettata da una convenzione di diritto uniforme. Quello che si considera nel Progetto è il pregiudizio giuridico che è prodotto a causa della violazione della norma. È il caso dell’attraversamento con il semaforo rosso: l’infrazione viene commessa anche se non viene danneggiato alcun veicolo. Esisterebbe pertanto un interesse sociale affinché la situazione sia considerata come illecita.
È difficile dire quanto questa concezione corrisponda al diritto consuetudinario. Alcuni Stati hanno criticato la tesi secondo cui il danno non è elemento costitutivo del fatto illecito, ritenendo che è solo il danno a generare responsabilità e non la semplice violazione della norma. D’altra parte, il danno viene in considerazione quando si tratti di stabilire l’obbligo di riparazione o di individuare lo Stato leso.
Tra gli elementi costitutivi del fatto illecito non figura neanche la colpa, comprensiva sia del dolo sia della colpa in senso stretto, cioè omissione delle misure necessarie per evitare il prodursi dell’evento. Il Progetto è orientato verso un regime di responsabilità oggettiva. L’elemento soggettivo della colpa, implicante una volizione, non può essere riferito allo Stato come entità astratta, ma all’agente, come individuo organo dello Stato. La negligenza della condotta o la sua omissione deliberata non vengono neanche in considerazione in relazione all’ammontare della riparazione. Tuttavia, l’assenza di colpa viene in considerazione nel Progetto quando si elencano le cause di esclusione del fatto illecito, una delle quali, la forza maggiore, si riferisce proprio a situazioni in cui è assente ogni colpa dello Stato.
Diverso il caso in cui sia la stessa norma a richiedere, per la sua violazione, l’esistenza della colpa. Nell’affare degli ostaggi a Teheran, la Corte internazionale di giustizia imputò all’Iran la commissione di un illecito per aver omesso di prendere le misure necessarie per proteggere i diplomatici americani.
La Commissione ha distinto tra illecito istantaneo e illecito continuato, tale distinzione è rilevante in merito all’individuazione del momento in cui cessa l’illecito e all’entità della riparazione. In quello istantaneo la violazione si produce nel momento in cui l’atto è compiuto, ad esempio l’uccisione di un agente diplomatico; in quello continuato la violazione si estende per tutto il periodo durante il quale perdura la condotta contraria al diritto internazionale, ad esempio una occupazione illegale del territorio altrui. Talvolta, la norma internazionale richiede allo Stato di impedire che un dato evento si produca, ad esempio l’obbligo di impedire un inquinamento transfrontaliero. In tal caso la violazione ha luogo nel momento in cui l’evento si verifica e continua per tutto il periodo in cui l’evento contrario all’obbligo perdura.
Per quanto riguarda la violazione del diritto internazionale come conseguenza dell’adozione di provvedimenti legislativi, in genere, si stabilisce che la violazione si compie non nel momento in cui l’atto viene adottato, ma in quello in cui viene eseguito. Tranne, ovviamente, che la non adozione del provvedimento legislativo faccia parte del contenuto dell’obbligo.
Dal Progetto definitivo della Commissione di diritto internazionale è scomparsa la distinzione tra obbligo di condotta e obbligo di risultato. Nell’obbligo di condotta, la violazione si perfeziona nel momento in cui il comportamento dovuto non sia posto in essere. Ad esempio, qualora lo Stato abbia l’obbligo di adottare una legislazione uniforme, la violazione si consuma nel momento in cui lo Stato non vi provvede. Nell’obbligo di risultato, la violazione si perfeziona solo se il risultato voluto dalla norma non venga conseguito.
La distinzione è importante per quanto riguarda il trattamento degli stranieri e l’obbligo del previo esaurimento dei ricorsi interni.
La responsabilità indiretta e la partecipazione nell’illecito altrui
Si intende per responsabilità indiretta la responsabilità dello Stato per un’azione o omissione commessa da un altro Stato in violazione del diritto internazionale. Si è in presenza di tre soggetti: lo Stato leso, lo Stato che ha commesso l’illecito e lo Stato che è ritenuto responsabile, nonostante non abbia commesso l’illecito. In passato, questi problemi sorgevano in relazione al protettorato e al vassallaggio e si riteneva che lo Stato protettore o dominante fosse responsabile per gli atti compiuti dallo Stato protetto. La figura di tale responsabilità non era da tutti accettata, si obiettava che lo Stato indirettamente responsabile partecipava comunque alla commissione dell’illecito.
La Commissione ha fatto giustizia individuando tre fattispecie in cui la responsabilità dello Stato, che non ha commesso materialmente la violazione del diritto internazionale, viene in considerazione: aiuto o assistenza nella commissione dell’illecito, direzione e controllo nella commissione dell’illecito e coercizione a commettere l’illecito.
L’aiuto o assistenza nella commissione dell’illecito si realizza quando lo Stato assiste o aiuta un altro nella commissione dell’illecito. L’illecito è commesso dal secondo Stato, altrimenti si tratterebbe di una commissione congiunta della violazione. Quando lo Stato territoriale facilita il rapimento di persone oppure mette il suo territorio a disposizione per la commissione di atti di aggressione o altre violazioni del diritto internazionale, si realizzano fattispecie di questo genere.
La seconda fattispecie si realizza quando uno Stato dirige e controlla un altro Stato nella commissione dell’illecito. Una figura che poteva venire in considerazione in passato nei rapporti tra Stato protettore e Stato protetto, agendo il secondo sotto la direzione e il controllo del primo. Esempi attuali potrebbero essere reperiti nella situazione di quegli Stati gestiti da governi, la cui effettività dipende dallo Stato o dagli Stati presenti militarmente nel territorio, come l’Afghanistan o l’Iraq prima del ritiro delle truppe straniere. Qualora le forze locali, impegnate in operazioni di controguerriglia, commettano gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, sotto la direzione dello Stato militarmente presente nel territorio, questi sarà ritenuto responsabile.
La terza fattispecie è quella in cui uno Stato esercita la coercizione nei confronti di un altro, affinché questi commetta l’illecito. La coercizione può essere militare, ma anche economica, ad esempio le pressioni economiche, e non è necessariamente illecita. Lo Stato che ricorre alla coercizione risponde dell’illecito anche se l’atto compiuto sotto coercizione costituisce un illecito per lo Stato che lo compie e non per lo Stato che ricorre alla coercizione.