Il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e il sistema di sicurezza collettiva: premessa
La Carta delle Nazioni Unite ha definitivamente abolito la libertà di muovere guerra di cui godevano gli Stati tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo. Nella Carta l’accento è posto non tanto sul fenomeno guerra quanto su quello della minaccia e dell’uso della forza. Si sono volute cioè evitare scappatoie, vietando il ricorso alle azioni militari che non possono essere tecnicamente definite come guerra.
Il sistema di sicurezza collettiva prevede un’azione del Consiglio di sicurezza per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale. Tra le misure che il Consiglio può intraprendere è previsto anche il ricorso alla forza direttamente da parte del Consiglio stesso.
Hanno per oggetto l’uso della forza anche alcune disposizioni del Capitolo VIII, relative alle azioni coercitive intraprese dalle organizzazioni regionali. Tali azioni, dovendo essere autorizzate dal Consiglio di sicurezza o svolte sotto la sua direzione, possono essere inquadrate nel sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite.
Il Consiglio di sicurezza ha competenza esclusiva in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Le sue delibere possono consistere in raccomandazioni, che non hanno natura giuridicamente vincolante e in decisioni, che sono invece obbligatorie. Non avendo natura procedurale, le delibere di entrambi i tipi sono adottate con il voto favorevole di 9 membri su 15 che compongono il Consiglio. Tra i voti favorevoli devono, però, essere ricompresi i voti dei membri permanenti: Cina, Russia Francia, Regno Unito e Stati Uniti. Pertanto, i membri permanenti possono, con il voto negativo, cd. diritto di veto, bloccare una delibera del Consiglio. Di regola, l’assenza di un membro permanente nella seduta del Consiglio equivale a veto, ma non la sua astensione.
Misure coercitive per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale possono essere prese dal Consiglio di sicurezza dopo che sia stata accertata l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione. Talvolta la situazione di minaccia alla pace non viene espressamente determinata, ma presupposta. Non mancano esempi di misure sanzionatorie intraprese senza una previa determinazione ex articolo 39, per evitare di qualificare la situazione come una minaccia alla pace a causa del disaccordo tra i membri permanenti. Una minaccia alla pace può derivare dal pericolo di ostilità tra due Stati, ma anche da una situazione all’interno di uno Stato, dove è ad es. in corso una guerra civile. Una violazione della pace è generalmente costituita dallo scoppio di ostilità tra due Stati. Il Consiglio vi fa spesso ricorso per evitare di prendere posizione tra i contendenti. Quanto all’aggressione, la sua definizione è contenuta in una risoluzione dell’Assemblea Generale, che costituisce una guida per il Consiglio di Sicurezza. Il Consiglio non opera necessariamente un accertamento formale della situazione.
Il Consiglio di sicurezza può raccomandare o decidere per l’adozione di misure coercitive non comportanti l’uso della forza armata. L’art. 41 detta a riguardo un elenco non tassativo. Tali misure dovranno essere obbligatoriamente eseguite dagli Stati membri solo se siano oggetto di una decisione. Normalmente tali misure non hanno un termine finale e possono essere revocate o sospese con una decisione del Consiglio. Nei casi in cui questo adotti una raccomandazione, gli Stati non avranno ovviamente l’obbligo di eseguire le misure raccomandate.
Le decisioni del Consiglio di sicurezza ex articolo 41 sono diventate frequenti e incidono non solo sull’economia degli Stati oggetto di sanzioni. Quando consistono in un embargo totale, esse comportano problemi anche sotto il profilo umanitario e lasciano spazio per l’invio di medicinali e derrate alimentari. Per ovviare alle conseguenze negative di decisioni pregiudizievoli per l’economia e il benessere della popolazione, il Consiglio di sicurezza ha votato risoluzioni mirate, cd. sanzioni intelligenti, che stabiliscono non solo l’embargo delle armi, ma anche misure nei confronti di una particolare categoria di beni, di individui o di determinate entità non statali.
A partire dall’ attacco terroristico contro gli Stati Uniti del 11 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza ha iniziato ad adottare risoluzioni obbligatorie che impongono agli Stati misure da applicare nel loro ordinamento interno in materia di lotta al terrorismo internazionale. Tali risoluzioni hanno destato perplessità poiché il Consiglio di sicurezza si è praticamente attribuito poteri legislativi, una competenza che formalmente non ha secondo la Carta.
Altra tipica azione del Consiglio in materia di mantenimento della pace e della sicurezza è l’adozione di misure provvisorie. Esse possono essere oggetto di una raccomandazione e, secondo alcuni autori, anche di una decisione con effetti giuridici vincolanti, nonostante il tenore letterale della norma di riferimento. Questa seconda tesi troverebbe conferma nella stessa prassi del Consiglio di sicurezza che, nell’adottare una misura provvisoria, ha fatto espresso riferimento agli effetti giuridici vincolanti da questa prodotti.
In materia di mantenimento della pace e della sicurezza i poteri del Consiglio, quando sia necessario intraprendere azioni coercitive, sono esclusivi; non possono essere esercitati da altri organi delle Nazioni Unite. Si può ammettere solo che all’Assemblea Generale è consentito adottare misure provvisorie non vincolanti.
Le delibere con cui si constata un atto di aggressione, minaccia o violazione della pace e si adottano le misure di cui agli artt. 40 e 41 della Carta o si decide di intraprendere azioni coercitive comportanti l’uso della forza armata possono essere oggetto di veto da parte di uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Ciò spiega perché durante la guerra fredda conflitti della più grande importanza, ad esempio il conflitto del Vietnam, in cui sono state direttamente o indirettamente impegnate le grandi potenze, abbiano avuto luogo lasciando completamente ai margini le Nazioni Unite. La ritrovata umanità del Consiglio nei confronti dell’Iraq e le 13 risoluzioni votate contro questo Stato per l’occupazione del Kuwait, hanno comportato una prima deviazione dalla prassi precedente. Da allora il Consiglio di sicurezza ha fatto frequentemente ricorso ai suoi poteri di intervento. Si tratta, però, di una prassi durata circa un decennio e messa in crisi con l’intervento della Nato contro la Repubblica Federale di Jugoslavia e poi con quello degli Stati Uniti e del Regno Unito in Iraq, che ha segnato una profonda divisione del Consiglio di sicurezza. Tale prassi è stata riattivata in occasione dell’intervento in Libia.
I poteri di intervento spettano non solo in caso di conflitto internazionale, ma anche in caso di guerra civile, qualora questa metta in pericolo la pace o in presenza di altre situazioni interne, quali il genocidio. Infatti, l’applicazione di misure coercitive non è preclusa per il fatto che una questione ricada nella sfera del dominio riservato di uno Stato.
Si possono ricostruire tre categorie di operazioni che comportano la dislocazione di truppe nel territorio altrui: l’intervento armato da parte del Consiglio di sicurezza, le operazioni di mantenimento della pace e l’uso della forza autorizzato dal Consiglio di sicurezza. Le operazioni appartenenti alla prima categoria non hanno mai trovato attuazione; quelle comprese nella seconda non hanno sempre caratteri uniformi. Talvolta, infatti, ad un operazione di peace-keeping si accompagnano elementi di peace-enforcement, in concomitanza con l’istituzione dell’operazione o successivamente.
Meritano un cenno i tentativi di riforma dell’Organizzazione che vanno avanti da oltre un decennio. Tra i punti di maggior rilievo figura l’aumento dei membri del Consiglio di sicurezza, permanenti e non, e l’eventuale attribuzione del diritto di veto ai nuovi membri. Tali tentativi non sono stati coronati da successo. I lavori per la riforma del Consiglio di Sicurezza sono tuttora all’ordine del giorno.
L’intervento armato da parte del Consiglio di sicurezza
Il Consiglio può intraprendere una vera e propria operazione militare mediante forze aeree, navali o terrestri qualora ritenga che per far fronte alla situazione occorrono misure più incisive, o nei casi in cui le misure ex articolo 41 si siano dimostrate inadeguate. L’adozione di misure ex articolo 41 non è preliminare all’intervento armato, poiché il Consiglio potrebbe ritenere che l’urgenza della situazione richieda immediatamente un azione coercitiva implicante l’uso della forza. Tale azione può consistere in dimostrazioni, blocchi o altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri.
Secondo il disposto della Carta, il Consiglio di sicurezza avrebbe potuto intraprendere direttamente azioni coercitive contro uno Stato responsabile di un atto di aggressione. A sua discrezione, il Consiglio avrebbe stabilito se impegnare in una determinata operazione le forze di tutti i membri delle Nazioni Unite o solo quelle di alcuni di essi. Subito dopo l’entrata in vigore della Carta, gli Stati avrebbero dovuto stipulare accordi ad hoc, in cui sarebbero stati indicati in dettaglio i contingenti che ciascuno Stato avrebbe messo a disposizione del Consiglio per intraprendere un’azione coercitiva. Per le misure militari più urgenti, i membri avrebbero dovuto tenere immediatamente a disposizione contingenti di forze aeree. Orbene gli accordi in questione non sono mai stati stipulati, con la conseguenza che le operazioni di polizia effettuate dalle Nazioni Unite hanno finito per assumere una fisionomia diversa da quella originariamente prevista. Né ha mai trovato applicazione la disposizione secondo cui, in attesa della conclusione degli accordi menzionati nell’articolo 43, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza si sarebbero consultati tra loro e, all’occorrenza con altri membri delle Nazioni Unite, in vista di un’azione comune a favore dell’Organizzazioni delle Nazioni Unite, necessaria per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
Le operazioni per il mantenimento della pace
Le Nazioni Unite sono riuscite a istituire operazioni per il mantenimento della pace, divenute più numerose dopo la fine della guerra fredda. Le forze di mantenimento della pace hanno operato tanto nel quadro di conflitti armati internazionali quanto in quello di conflitti interni. Sono da aggiungere le operazioni connesse al processo di decolonizzazione, che hanno avuto come compito la temporanea amministrazione di territori.
Le operazioni di mantenimento della pace possono aver luogo nel contesto di un conflitto internazionale oppure nel contesto di un conflitto interno. In questo caso, le forze di pace possono aiutare il governo legittimo a mantenere la legge e l’ordine, garantire la distribuzione degli aiuti umanitari o, semplicemente, operare come forza di interposizione tra governo legittimo e fazioni avversarie.
Le operazioni per il mantenimento della pace delle Nazioni Unite sono effettuate sotto la direzione del Segretario generale, dietro apposita delega da parte del Consiglio di sicurezza. Al primo è affidato il compito di costituire la forza; rientra nella sua discrezionalità politica individuare gli Stati che intendono fornire volontariamente i contingenti componenti la forza. Le operazioni di mantenimento della pace fanno capo a un dipartimento ad hoc, istituito nell’ambito del Segretariato delle Nazioni Unite: il Dipartimento per le operazioni di peace-keeping. Un rappresentante speciale del Segretario Generale ha il compito di guidare le operazioni che sono ormai divenute multifunzionali: militari civili e di polizia.
Allo scopo di rendere meno occasionale e più stabile la partecipazione alle operazioni di peace-keeping è stato messo in opera il meccanismo degli Stand-by Arrangements.
Mediante questo meccanismo, gli Stati membri tengono a disposizioni dei contingenti addestrati per compiti di peace-keeping. I contingenti restano sotto comando nazionale prima di essere trasferiti sotto il comando delle Nazioni Unite e l’assegnazione alle Nazioni Unite comporta la stipulazione di un accordo ad hoc. Il Consiglio di Sicurezza e per esso il Segretario generale, può fare affidamento sulle forze stand-by, ma non può disporne fino a quando l’accordo tra Stato fornitore e Nazioni Unite non sia stipulato. Comunque, la decisione finale spetta sempre allo Stato fornitore e questi può negare l’invio del contingente.
Il Segretario generale ha tentato di razionalizzare le operazioni di mantenimento della pace in due documenti: l’Agenda per la pace e il suo supplemento. Secondo il Segretario generale, le operazioni di mantenimento della pace dovrebbero avere le seguenti tre caratteristiche:
- svolgersi con il consenso delle parti interessate;
- essere imparziali;
- non comportare l’uso della forza, tranne in legittima difesa.
Tale razionalizzazione urta con le necessità dettate dalla realtà delle relazioni internazionali.
Sono da annoverare, in questo contesto, altre misure quali l’invio di osservatori militari, sempre sotto la direzione del Segretario generale e dietro mandato del Consiglio. Si tratta di operazioni di modesta entità, sotto il profilo numerico del personale impegnato, volte generalmente a supervisionare il rispetto delle condizioni armistiziali dopo un conflitto armato. In questo quadro si collocano altresì le azioni di diplomazia preventiva, volte a rassicurare una o più parti interessate nel contesto di una situazione che potrebbe diventare pericolosa per la pace e la sicurezza internazionale.
Una missione di mantenimento della pace può svolgere le sue funzioni anche quando sono cessate le ostilità.