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La tutela dell’indipendenza statale e delle organizzazioni internazionali nell’ordinamento degli Stati esteri

L’esenzione degli stati esteri dalla giurisdizione civile

Una norma di diritto consuetudinario internazionale, di antica formazione, prescrive che uno Stato non possa essere sottoposto a giurisdizione di fronte ai tribunali di uno Stato estero. La norma è a protezione del principio di eguaglianza degli Stati e tutela la loro indipendenza. Uno Stato estero non può essere convenuto in giudizio dinanzi ad un tribunale dello Stato del foro, tranne che lo Stato estero non accetti volontariamente di sottoporsi alla giurisdizione locale, rinunciando all’immunità. La regola dell’immunità (o esenzione) ha natura processuale e la sua sussistenza deve essere determinata in relazione al momento in cui viene instaurato il giudizio nello Stato del foro e non nel momento in cui si è verificato l’illecito.

Immunità dalla giurisdizione

La dottrina dell’esenzione degli Stati esteri dalla giurisdizione civile era, in un primo momento, senza eccezioni: lo Stato non poteva essere sottoposto a giurisdizione per alcun tipo di rapporto di cui fosse titolare. Con l’accrescersi dell’intervento statale nell’economia la regola cominciò ad erodersi.

Furono la giurisprudenza italiana e quella belga a formulare la teoria dell’immunità ristretta. La corretta affermazione della regola è quella secondo cui lo Stato è esente da giurisdizione quando compie attività che sono manifestazioni delle sue funzioni sovrane (attività iure imperii); lo Stato è invece sottoponibile a giurisdizione quando pone in essere atti di natura privatistica (iure gestionis). La teoria dell’immunità ristretta è seguita sia dalle corti continentali che da quelle di common law.
Nel 1972 è stata conclusa la Convenzione europea sull’immunità degli Stati (Convenzione di Basilea). Nel 2005 è stata aperta alla firma a New York la Convenzione sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati e dei loro beni, non ancora entrata in vigore.

La distinzione tra attività iure imperii e attività iure gestionis è, in alcuni casi, abbastanza semplice, in altri di dubbia determinazione.
Ad es. la Corte di Cassazione ha affermato che l’attività di addestramento di aerei da guerra, essendo volta alla difesa della sovranità, realizza un’attività iure imperii, mentre è iure gestionis l’acquisto di macchinari oppure l’emissione di bonds (titoli obbligazionari). Se si prescinde dalla natura dell’atto e si considera invece il suo scopo, la distinzione non è evidente. Ad es. un immobile può essere acquistato da uno Stato per puro investimento oppure per essere adibito a sede della rappresentanza diplomatica.

Con riferimento al mancato rimborso dei bonds argentini e alla possibilità negata di convenire in giudizio l’Argentina, la Corte di Cassazione ha affermato che emissione e collocazione di bonds sul mercato internazionale ha natura privatistica, i successivi provvedimenti di ristrutturazione del debito hanno natura pubblicistica, poiché la finalità era di tutelare i bisogni primari di sopravvivenza economica della popolazione.

La Convenzione di Basilea, dichiarativa del diritto consuetudinario, ma che non è stata ratificata in Italia, segue il criterio della lista, secondo cui uno Stato non può essere sottoposto a giurisdizione. Viene elencata però una serie di fattispecie in cui l’immunità non può essere invocata: i casi in cui lo Stato estero sia parte attrice nel processo e il convenuto proponga domanda riconvenzionale. Anche la Convenzione ONU segue il metodo della lista (l’Italia vi ha aderito).

Problemi particolari sono emersi per le controversie di lavoro tra lo Stato estero e il personale impiegato presso l’Ente. Normalmente, le controversie sorgono in relazione a rapporti di lavoro subordinato, in cui le mansioni non rientrano nelle funzioni sovrane dell’Ente (cuochi e bibliotecari), ma, quanto allo scopo, sono in qualche modo strumentali al funzionamento dell’ente.

L’art. 5 della Convenzione di Basilea esclude che possa essere invocata l’immunità dalla giurisdizione qualora la controversia sia relativa ad un contratto di lavoro concluso fra lo Stato estero e una persona fisica cittadina dello Stato del foro e avente per oggetto una prestazione da eseguire a livello locale. Dispone ugualmente la Convenzione ONU, con la differenza che si ammette che possa invocarsi l’immunità quando le funzioni siano strettamente connesse all’esercizio dell’autorità governativa (è il caso dell’agente diplomatico).
L’immunità dalla giurisdizione non è applicabile ai rapporti patrimoniali, ma lo è quando l’azione abbia per oggetto l’assunzione, il rinnovo del rapporto o la reintegrazione del lavoratore.

La giurisprudenza italiana, più che i criteri soggettivi di cittadinanza e residenza del lavoratore, dà rilevanza alla natura delle mansioni svolte e all’oggetto delle richieste giudiziarie avanzate. L’immunità è esclusa quando il lavoratore svolga mansioni di carattere meramente materiale oppure quando avanzi in giudizio pretese patrimoniali. I casi in cui i giudici si sono pronunciati a favore della reintegrazione del posto di lavoro sono rari.
Altra eccezione stabilita dalla Convenzione ONU riguarda le controversie relative al risarcimento del danno. Lo Stato, imputato del danno, non può invocare l’immunità dalla giurisdizione se l’azione o l’omissione abbiano avuto luogo nel territorio dello Stato del foro o se l’autore dell’atto era presente nello Stato del foro. L’eccezione copre gli incidenti stradali, l’assassinio politico e i danni conseguenti a lesioni personali, ma non copre altri danni quali quelli causati dalla diffamazione.

L’immunità dalla giurisdizione non può essere invocata, negli Stati Uniti, per azioni risarcitorie conseguenti ad atti di terrorismo.
Una tesi innovativa della nostra Corte di Cassazione è stata avanzata nel 2004 nel caso Ferrini, secondo cui non può essere accordata l’immunità dalla giurisdizione allo Stato estero che sia responsabile di illeciti da qualificare come crimini internazionali (violazioni del regolamento annesso alla Convenzione dell’Aja del 1907 commesse durante la Seconda Guerra Mondiale a danno di cittadini italiani dopo l’occupazione tedesca e consistenti nella deportazione in Germania).

La Germania ha lamentato la violazione della norma sull’immunità e ha depositato ricorso contro l’Italia alla Corte internazionale di giustizia. Quest’ultima ha dato ragione alla Germania, affermando che l’Italia, nel sottoporla a giurisdizione, aveva violato la norma sull’immunità. La Corte rigettò le argomentazioni italiane, tra cui quella che l’immunità non poteva essere invocata in quanto contraria alla norma imperativa del diritto internazionale che proibisce crimini di guerra e contro l’umanità.

La Corte ha affermato che la regola sull’immunità ha natura procedurale e non viene meno quando i fatti delittuosi consistono in grave violazione del diritto internazionale umanitario. Per dare attuazione alla sentenza della Corte di giustizia internazionale, l’Italia aveva inserito nella legge di autorizzazione alla adesione ed esecuzione della Convenzione del 2004 nell’ordinamento interno (legge 5/2013) una disposizione volta ad individuare un nuovo motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c.: la sentenza della Corte internazionale di giustizia che accerti il difetto di giurisdizione del giudice italiano. In tal caso, la sentenza passata in giudicato, avrebbe potuto essere impugnata per revocazione.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 238 del 2014, ha rimesso tutto in discussione. La Consulta ha infatti statuito che la regola secondo cui lo Stato estero è immune da giurisdizione, anche in caso di commissione di crimini internazionali, non può essere accolta nel nostro ordinamento poiché contrasta con i princìpi fondamentali della Costituzione (art. 2 diritti inviolabili).

Conseguentemente la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 3 della legge 5/2013 che impediva ai tribunali italiani di dichiararsi competenti a conoscere delle cause contro la Germania e, nello stesso tempo, ha affermato l’incostituzionalità della legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Carta delle Nazioni Unite, nella parte in cui obbliga gli Stati a eseguire le sentenze della Corte internazionale di giustizia.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale si è ritornati all’originaria giurisprudenza sul caso Ferrini. La Cassazione ha precisato che le norme consuetudinarie, in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione, non possono entrare nel nostro ordinamento e ha riconfermato che la norma sull’immunità dalla giurisdizione per attività iure imperii viene meno qualora siano commessi gravi crimini internazionali.

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Immunità dalle misure esecutive e cautelari

L’immunità dalla giurisdizione non riguarda soltanto il procedimento di cognizione, ma è invocabile anche in relazione ai procedimenti esecutivi e cautelari. Alla distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis corrisponde l’analoga distinzione tra beni adibiti allo svolgimento di attività sovrane dello Stato (ad es. immobile adibito a sede di ambasciata) e beni che rientrano invece nella sfera delle attività private dello Stato (ad es. immobili acquistati per investimento).

L’applicazione pratica di questa distinzione è spesso incerta. Il problema si è posto ad esempio per i conti correnti della missione diplomatica che possono essere usati tanto per attività iure privatorum, come un’attività commerciale, quanto per attività iure imperii cioè per fini istituzionali della sede diplomatica. La giurisprudenza interna è ondeggiante in merito, ma la nostra Corte di Cassazione ha affermato che l’individuazione della destinazione di parte del deposito, a fini commerciali piuttosto che pubblicistici, è funzione che spetta allo Stato titolare del deposito e non può essere esercitata dal giudice, pena un’ingerenza illecita nelle prerogative dello Stato estero. Con la legge 163/2014 sono stati blindati i conti delle rappresentanze diplomatiche e consolari poiché è stato stabilito che i relativi depositi bancari non possono essere soggetti ad esecuzione forzata.

La Convenzione di Basilea esclude che possano essere assoggettati a misure esecutive i beni appartenenti a Stati esteri. La Convenzione, tuttavia, non è dichiarativa del diritto consuetudinario. La Convenzione ONU, invece, distingue tra misure cautelari adottate prima della sentenza e misure esecutive da esperire dopo l’adozione della sentenza stessa. Le prime non sono ammesse, tranne che lo Stato estero vi abbia consentito; anche per le seconde vale il principio generale dell’inammissibilità, ma il divieto contiene delle eccezioni, consentendo tra l’altro misure esecutive su beni che non siano destinati a fini di servizio pubblico non commerciale.

L’art. 21 contiene una lista di beni immuni tra cui i contratti bancari utilizzati o destinati all’esercizio della sede diplomatica. In conclusione anche per le misure esecutive vale lo stesso principio esposto in relazione all’attività di cognizione dei tribunali del foro, con l’avvertenza che l’immunità dall’esecuzione è tradizionalmente più ampia dell’immunità dello Stato estero nel giudizio di cognizione. Sono sottoponibili all’attività di esecuzione solo quei beni che non siano strumentali all’esercizio di funzioni sovrane dello Stato estero. Anche qui il sistema delle liste è il più opportuno.

Titolari dell’immunità dalla giurisdizione sono, non solo lo Stato estero in senso stretto, ma anche gli Stati membri di Stati federali. In quest’ultimo caso, l’attribuzione dell’immunità non è automatica, ma è fatta dipendere da una dichiarazione dello Stato federale, secondo cui i suoi stati membri possono invocare l’immunità.

Immunità e diritto di accesso alla giustizia

L’art. 24 Cost. dispone il diritto di accesso alla giustizia. La nostra Corte Costituzionale e la Cassazione hanno seguito l’impostazione secondo cui si afferma la prevalenza del principio dell’immunità dalla giurisdizione. La Corte Costituzionale, nel 1979, ha affermato che tutte le consuetudini esistenti prima dell’entrata in vigore della Costituzione, dovevano ritenersi presenti nel nostro ordinamento, quantunque comportanti una deroga alla Costituzione.

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il diritto di accesso alla giustizia non doveva considerarsi leso qualora fosse possibile una sua soddisfazione per equivalente, ad es. quando lo Stato estero poteva essere citato in giudizio di fronte ai suoi tribunali. Questo comportava, però, un aggravamento della posizione processuale dell’attore.
Altre volte la Cassazione ha avallato la tesi secondo cui l’immunità, non essendo illimitata, non può contrastare con l’art. 24 Cost.. Sul punto è tornata la dottrina italiana favorevole ad un’interpretazione restrittiva della regola sull’immunità dello Stato estero dalla giurisdizione, dopo la sentenza Germania c. Italia succitata. È stato ribadito che la regola non vìola l’art. 24 Cost., qualora esistano rimedi alternativi effettivi.

Nella già richiamata sentenza 238 del 2014 della Corte Costituzionale, dopo aver sposato l’interpretazione secondo cui le regole consuetudinarie anteriori all’entrata in vigore della Costituzione dovevano ritenersi presenti nel nostro ordinamento anche qualora avessero comportato una deroga alla Costituzione, si è affermato che il diritto di accesso alla giustizia può essere derogato anche quando ricorrano validi motivi, tra cui la protezione della funzione sovrana dello Stato estero nell’esercizio della sua potestà di governo. La deroga non è invece ammissibile qualora siano posti in essere comportamenti illegittimi, consistenti in gravi violazioni di diritti umani.

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Fonti normative:

  • Convenzione dell’ Aja del 1907
  • l.5/2013
  • art. 395 c.p.c.
  • Sent. Corte Costituzionale 238/2014
  • art. 2 Costituzione
  • l. 163/2014
  • art. 21 Convenzione ONU
  • Convenzione di Vienna del 1961 ratificata in Italia con la l. 804/1967
  • Convenzione di Vienna del 1963
  • art. 24 Costituzione