L’adattamento del Diritto Interno al Diritto Internazionale – Parte 2

L’ ADATTAMENTO ALLE FONTI PREVISTE DA ACCORDO

Il problema che si pone è se le norme prodotte da una fonte giuridica di terzo grado ovvero l’accordo entrino automaticamente nel nostro ordinamento, una volta che sia stata data esecuzione al trattato che tale fonte prevede, o se sia necessario un provvedimento ad hoc. Qualora il trattato preveda espressamente l’efficacia interna delle norme prodotte, tali norme entreranno automaticamente in vigore nell’ordinamento interno.

E’ quanto avviene per i regolamenti UE che sono obbligatori in tutti i loro elementi e direttamente applicabili. Qualora invece il Trattato non disponga nulla la diretta applicabilità potrebbe essere desunta dall’ ordine di esecuzione. Quest’ultimo così come immette nel nostro ordinamento le norme del Trattato, dovrebbe anche immettere le norme prodotte in virtù dei meccanismi creati dal Trattato. La prassi però è generalmente contraria. Spesso la fonte di terzo grado non contiene norme self-executing; inoltre esiste una naturale diffidenza ad accogliere fonti di un altro ordinamento senza un controllo da parte dell’ordinamento in cui devono trovare attuazione. Questo vale in particolare per le decisioni del Consiglio di sicurezza.

Tali decisioni qualora incidano su materie di competenza dell’Unione Europea vengono di norma attuate mediante regolamento che è direttamente applicabile nel nostro ordinamento. Per quanto riguarda gli allegati tecnici alla Convenzione ICAO si stabilisce che questi siano recepiti in via amministrativa. Quanto ora osservato vale anche per le sentenze internazionali che debbano trovare attuazione nell’ordinamento interno. Tale tipologia di sentenza è normalmente una sentenza di puro accertamento e quindi lo Stato dovrà prendere tutti i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta. La sentenza non ha efficacia diretta nel nostro ordinamento. Anche le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo con cui è concessa una forma forfettaria a titolo risarcitorio non hanno di per sé forza esecutiva all’interno dell’ordinamento statale. In merito alle sentenze la cui esecuzione nell’ordinamento interno potrebbe comportare la revisione del giudicato e la riapertura del procedimento la questione è delicata, essa si pone per le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ma si è posta anche per quelle della Corte internazionale di giustizia, qualora quest’ultima decida per la restitutio in integrum, comportante l’annullamento della sentenza del giudice interno.

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano l’esecuzione di sentenze del genere potrebbe comportare l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc. La questione si è posta in relazione alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012, Germania c. Italia, più volte citata, benché la Corte abbia lasciato libera l’Italia di provvedere a rimuovere le decisioni giudiziarie che avevano violato l’immunità giurisdizionale della Germania mediante l’adozione di un’appropriata legislazione o altri mezzi a sua scelta. Per conformarsi alla sentenza occorreva rimuovere le sentenze dei nostri giudici con cui la Germania era stata sottoposta a giurisdizione, incluse quelle passate in giudicato.

A questo fine, nel provvedimento legislativo di adesione ed esecuzione della Convenzione di New York sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, era stata inserita una disposizione che fissava motivo di revocazione in aggiunta a quelli stabiliti dall’articolo 395: la sentenza della Corte internazionale di giustizia che accertasse il difetto di giurisdizione del giudice italiano. In tal caso la sentenza passata in giudicato avrebbe potuto essere impugnata per revocazione, anche molti anni dopo la sua emanazione. Ma la sentenza della Corte Costituzionale numero 238/ 2014 ha rimesso tutto in discussione e, ha affermato che la sentenza della Corte internazionale di giustizia non poteva essere eseguita in Italia a causa della contrarietà agli articoli 2 e 24 Cost., e nello stesso tempo ha annullato l’articolo 3 della legge 5/ 2013. L’articolo 117, primo comma, Cost. pone un vincolo al nostro legislatore anche per quanto riguarda gli obblighi derivanti da fonti previste da accordo, infatti tale disposizione fa riferimento agli obblighi internazionali con una formula ampia che include anche gli obblighi derivanti da fonti di terzo grado.

La legge del 2003 di attuazione della citata disposizione costituzionale interpreta la locuzione obblighi internazionali con riferimento agli obblighi derivanti dalla consuetudine, da accordi di reciproca limitazione di sovranità di cui all’articolo 11 Cost. e da trattati internazionali. Ma nella dizione “obblighi derivanti da accordi di reciproca limitazione della sovranità” di cui all’articolo 11 Cost. e dai “trattati internazionali” sono da ricomprendere anche quelli derivanti dalle fonti da essi previsti. Pertanto la norma di adattamento alla norma prodotta dalla fonte di terzo grado è norma interposta tra la legge ordinaria e la Costituzione e una legge ordinaria contrastante dovrebbe essere rimossa mediante un rinvio alla Corte Costituzionale.

L’ ADATTAMENTO AL DIRITTO DELL’ UE

Il diritto dell’Unione Europea comprende: il diritto contenuto nei Trattati istitutivi, ovvero il trattato sull’ Ue, il Trattato istitutivo della Comunità Europea e il Trattato istitutivo della Comunità Europea dell’Energia Atomica incluso, da ultimo, il Trattato di Lisbona che ha ridenominato il TCE trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea; Il diritto prodotto dai meccanismi istituiti dai Trattati istitutivi, cioè regolamenti direttive e decisioni; i princìpi generali del diritto della Ue, affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sua giurisprudenza, e gli accordi internazionali conclusi dall’ Ue con Stati terzi o organizzazioni internazionali.

Ai Trattati istitutivi e ai successivi trattati modificativi il nostro ordinamento si è adattato mediante ordine di esecuzione contenuto in una legge ordinaria.
Per quanto riguarda la legislazione derivata: Il regolamento è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, quindi non occorre nessun atto di adeguamento. La Corte Costituzionale sulla scia della giurisprudenza comunitaria ha dichiarato incostituzionali le norme legislative interne con cui venivano recepiti i regolamenti. Atti integrativi sono però necessari allorché il regolamento non sia autosufficiente; le direttive pongono un obbligo di risultato e stabiliscono un termine entro cui gli Stati devono darvi attuazione: è quindi necessario un atto di adeguamento perché acquistino efficacia nell’ordinamento interno. Una volta decorso il termine senza che sia stato emanato un atto di adeguamento, le direttive che dettano obblighi chiari, incondizionati e precisi agli Stati e sono dirette a conferire dei diritti ai singoli possono essere riconosciute produttivi di effetti diretti.

Si tratta, però, di effetti diretti verticali, cioè la direttiva può essere invocata dal singolo nei confronti dello Stato, ma non nei confronti di altra persona fisica o giuridica(c.d. effetti diretti orizzontali). Le direttive non aventi efficacia diretta possono produrre effetti limitati nel nostro ordinamento, dopo che sia trascorso il termine per la loro trasposizione senza che siano state attuate. Il singolo ha diritto di chiedere allo Stato il risarcimento del danno, a condizione che la direttiva, qualora attuata gli avrebbe conferito un diritto soggettivo, esiste un nesso di causalità tra non attuazione della direttiva e danno subito dal soggetto, sia possibile ricavare dalla direttiva il contenuto dei diritti attribuiti ai singoli.

Anche per le decisioni rivolte allo Stato occorre un atto di adeguamento, ma queste, come le direttive, possono avere efficacia diretta nei confronti dei singoli. Per le decisioni che abbiano come destinatari i singoli, non è necessario alcun atto di adeguamento. L’Italia è stata spesso condannata dalla Corte di giustizia per la mancata trasposizione delle direttive nei termini prescritti. Per tale motivo fu emanata la legge La Pergola con cui fu adottato un meccanismo che avrebbe dovuto facilitare l’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto comunitario: la legge comunitaria. Questa avrebbe dovuto consentire un adeguamento globale periodico al diritto comunitario derivato. Infatti, era previsto che la legge comunitaria, una legge ordinaria da emanarsi con cadenza annuale, contenesse disposizione di attuazione degli atti comunitari, delega al Governo quando si sarebbe dovuto trasporre un certo numero di direttive e autorizzazione allo stesso alla attuazione in via regolamentare per le materie non coperte da riserva di legge.

La legge La Pergola è stata abrogata dalla legge 4 febbraio 2005 numero 11 c.d. legge Buttiglione, volta a disciplinare sia la partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’UE (c.d. fase ascendente) sia le procedure di esecuzione degli obblighi comunitari (c.d. fase discendente), mantenendo il meccanismo della legge comunitaria, con l’aggiunta delle disposizioni occorrenti per dare attuazione ai trattati internazionali conclusi dall’Unione Europea.

La legge Buttiglione consentiva di adottare provvedimenti di urgenza, qualora si fosse dovuto procedere all’adeguamento prima della data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria. Per il resto la legge lasciava inalterato l’impianto preesistente. Il progredire dell’integrazione europea e le trasformazioni operate dal Trattato di Lisbona hanno consigliato di mettere in cantiere una nuova modifica legislativa che ha comportato l’abrogazione della legge numero 11 del 2005 e l’adozione di una disciplina più dettagliata contenuta nella legge 234 del 2012, che detta “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea”. La nuova legge contiene norme sia per la fase ascendente sia per la fase discendente. Essa prevede i seguenti provvedimenti: la legge di delegazione europea e la legge europea. La prima, che sostituisce la vecchia legge comunitaria, deve essere presentata al Parlamento dal Governo entro il 28 febbraio di ogni anno, salvo la possibilità di introdurre entro il 31 luglio di ogni anno un ulteriore disegno di legge, qualora si debbano recepire altri atti dell’ Ue. La legge europea non deve essere adottata entro un termine prestabilito e può contenere disposizioni abrogative di norme vigenti in contrasto con l’ordinamento dell’Unione o norme necessarie per dare attuazione a sentenze della Corte di giustizia.

La legge 234 contiene inoltre disposizioni in materia di ricorsi alla Corte di giustizia e del diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’UE e numerose altre disposizioni che dovrebbero impedire una ritardata attuazione del diritto dell’Unione ed evitare violazione da parte dell’Italia. Quanto al rango delle norme dell’Unione si è fatto leva sull’ articolo 11 Cost. secondo cui l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni. Un risultato conseguito dopo una lunga evoluzione della nostra giurisprudenza costituzionale. In una prima fase (sentenza Costa c. Enel) la Corte ha affermato che la norma di legge ordinaria italiana posteriore potesse derogare alla norma comunitaria anteriore; ha applicato, quindi, il principio della successione delle leggi nel tempo.

Successivamente la Corte ha cambiato indirizzo, affermando che il diritto comunitario prevale sul diritto interno, anche se posteriore. Tuttavia la prevalenza avrebbe dovuto essere assicurata dalla Corte Costituzionale: il giudice ordinario non avrebbe potuto disapplicare la norma di legge interna in contrasto con il diritto comunitario, ma avrebbe dovuto sollevare giudizio di costituzionalità. L’attesa di una pronuncia della Corte Costituzionale comportava un notevole dispendio di tempo. Infine, la Corte, dopo aver ribadito che il diritto comunitario direttamente applicabile prevale sulla norma interna anche se successiva, ha statuito che il giudice ordinario è tenuto a disapplicare la norma interna successiva incompatibile, senza necessità di sollevare il controllo di costituzionalità. La prevalenza tuttavia non è ammissibile quando la norma comunitaria si ponga in contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento (c.d. controlimiti).

La Corte è pervenuta a questo risultato in virtù della separazione tra ordinamento interno e ordinamento comunitario. L’ordinamento interno si ritrae di fronte ai rapporti giuridici regolati dall’ordinamento comunitario. Ulteriore evoluzione giurisprudenziale ha specificato che il dovere di non applicare il diritto interno in contrasto con il diritto comunitario avente efficacia diretta incombe sul Giudice ma anche sulla pubblica amministrazione a livello statale e regionale. La prevalenza è ormai riconosciuta sia al diritto comunitario direttamente applicabile sia a quello avente efficacia diretta. L’articolo 117, primo comma, Cost. come modificato dall’articolo 3 della legge costituzionale 3 del 2001 stabilisce che

” la potestà legislativa è esercitata dallo Stato… nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario…”.

La prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno trova ora un chiaro ancoraggio costituzionale, in quanto prima era fondata in via interpretativa sull’articolo 11 Cost.

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LE REGIONI E L’ ADATTAMENTO AL DIRITTO PATTIZIO E DELL’ UNIONE EUROPEA

Un trattato o un atto dell’Unione Europea giuridicamente vincolante possono incidere su materie oggetto di competenza regionale, secondo il riparto operato dall’articolo 117 Cost. . Il problema di sapere se l’adattamento possa essere operato a livello regionale oppure sia di esclusiva competenza del legislatore statale deve essere risolto. La questione è stata oggetto di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

L’articolo 117, quinto comma, Cost. dispone che regioni e province autonome di Trento e di Bolzano nelle materie di loro competenza provvedono alla attuazione e alla esecuzione degli accordi internazionali e anche degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite dalla legge dello Stato che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. È bene distinguere tra adattamento ai trattati e adattamento al diritto dell’Unione Europea. Per quanto riguarda i trattati le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria competenza legislativa, provvedono direttamente all’ attuazione degli accordi internazionali ratificati, dandone previa comunicazione al Ministro degli affari esteri, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Dipartimento per gli affari regionali, i quali nei successivi trenta giorni dal relativo ricevimento possono formulare criteri e osservazioni.

Sembrerebbe che le regioni e le due province autonome siano legittimate a dare attuazione all’accordo internazionale, senza attendere un atto di adeguamento da parte del governo centrale, nella forma dell’ ordine di esecuzione o di altro atto idoneo. Naturalmente deve trattarsi di accordo internazionale in vigore per lo Stato italiano. Il potere di adeguamento a livello regionale riguarda sia gli accordi conclusi in forma solenne sia quelli conclusi in forma semplificata, che abbiano per oggetto materie di competenza regionale. Poiché l’ordine di esecuzione è contenuto nella legge di autorizzazione alla ratifica, la possibilità per le regioni e province autonome di provvedere direttamente all’ adeguamento si realizza solo per gli accordi non rientranti nell’articolo 80 Cost. .

L’ente regionale così come ha il potere di concludere accordi nelle materie di propria competenza legislativa avrà anche il potere di eseguirli. In ambedue i casi, qualora l’ente regionale non provveda alla attuazione, spetterà allo Stato provvedere, secondo i poteri di sostituzione previsti dall’articolo 120 Cost. . Per quanto riguarda il diritto dell’Unione Europea la giurisprudenza costituzionale e il legislatore ordinario, dopo un percorso durato vari decenni avevano finito per riconoscere la competenza delle Regioni ad attuare il diritto UE. L’articolo 117, quinto comma, Cost. conferisce un ancoraggio costituzionale ad una materia già disciplinata dal legislatore ordinario. I poteri sostitutivi dello Stato sono definiti nel secondo comma dell’articolo 120 Cost. La procedura per il loro esercizio è disciplinato dalla legge 131 del 2003 quando questo si renda necessario per rimediare alla violazione della normativa comunitaria, inclusa la sua mancata attuazione. Talune Regioni per ovviare a ritardi e inadempimenti si sono dotate di una “legge comunitaria regionale” naturalmente per l’adozione di atti rientranti nella competenza regionale.

IL SINDACATO GIURISDIZIONALE DA PARTE DEL GIUDICE INTERNO SUI TRATTATI E SUGLI ATTI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Può il giudice interno sindacare la vigenza degli atti internazionali, siano essi trattati o atti di organizzazioni internazionali?
Qui il problema riguarda la vigenza dell’atto, sotto il profilo della sua invalidità o estinzione. Per quanto riguarda i trattati una risoluzione dell’Istituto di diritto internazionale, adottata nel 1993, afferma che il giudice nazionale non dovrebbe applicare un trattato che esso consideri invalido o estinto.

Ma tale affermazione si scontra con la teoria dell’atto politico cui fanno spesso ricorso non solo i giudici di common law, ma anche quelli italiani. La particolare valenza conferita ai Trattati dall’articolo 117, primo comma, Cost. Induce a ridimensionare tale teoria e a dare una valutazione critica della tesi secondo cui il trattato, coinvolgendo una scelta di politica estera dello Stato, non sarebbe sindacabile in sede giurisdizionale. Ci sono varie ipotesi: la prima è il caso in cui il trattato è affetto da invalidità relativa, cioè da un vizio sanabile. Poiché la acquiescenza fa perdere il diritto di invocare la causa di invalidità, la non contestazione del trattato rientra tra le scelte di politica estera dell’esecutivo, che non possono essere vanificate dal giudice.

Solo quando le modalità di stipulazione del trattato fossero chiaramente in contrasto con la Costituzione, il giudice interno dovrebbe sollevare giudizio di costituzionalità. Si tratterebbe di sollevare la questione di costituzionalità della legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione del trattato non nella parte contenente l’autorizzazione alla ratifica, ma in quella che contiene l’ordine di esecuzione. Tra l’altro la legge di autorizzazione alla ratifica potrebbe essere stata omessa e l’omissione costituirebbe un vizio rilevante. Altro caso è quando il giudice può dichiarare invalido il Trattato, incidenter tantum, se ricorra una causa di invalidità assoluta. Spetterà all’esecutivo impugnare il Trattato e seguire le disposizioni di procedura dettate dalla Convenzione di Vienna, qualora si intenda avere una definitiva declaratoria di invalidità.

Inoltre tale regola è applicabile, mutatis mutandis, alla estinzione dei trattati. Il giudice interno non applicherà, incidenter tantum, il Trattato, qualora ricorra una causa automatica di estinzione, quale il termine finale oppure un mutamento di sovranità (successione tra Stati), che determini l’estinzione del trattato o la guerra, nei casi in cui essa ne comporti l’automatica estinzione. Negli altri casi, essendo l’estinzione del Trattato rimessa alla volontà dell’esecutivo il giudice, non applicando il Trattato, finirebbe per invadere competenze che non gli sono proprie. Quanto agli atti delle organizzazioni internazionali occorre distinguere. In un sistema, come quello dell’Unione Europea, in cui spetta al giudice Ue stabilire la validità dell’atto, il giudice nazionale non può esso stesso dichiarare l’atto invalido. Al massimo è concepibile un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Per quanto riguarda le decisioni del Consiglio di sicurezza che abbiano effetti all’interno degli ordinamenti statali, il Consiglio nell’adottare le sue decisioni è vincolato dalla Carta delle Nazioni Unite e un atto del Consiglio contrario a tali disposizioni dovrebbe essere considerato invalido. Tuttavia le giurisdizioni interne, nella scarsa prassi disponibile, si sono dichiarate incompetenti.

Fonti normative:

• sentenza Corte Internazionale di Giustizia del 3/2/2012
• sentenza 238 del 2014 C. Costituzionale
• articolo 24 Costituzione
• articolo 3 legge 5 del 2013
• articolo 117 I°c. Costituzione
• articolo 11 Costituzione
• legge 11 del 2005 legge Buttiglione abrogativa della l. La Pergola
• legge 234 del 2012
• articolo 117 V°c. Costituzione
• articolo 80 Costituzione
• articolo 120 Costituzione
• legge 131 del 2003
• Risoluzione dell’Istituto di Diritto Internazionale adottata nel 1993

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