L’applicazione della legge
L’applicazione della legge si riferisce alla trasformazione delle regole dell’ordinamento giuridico in azioni concrete all’interno della società. Per le norme di organizzazione o di struttura, ciò significa istituire effettivamente gli organi designati e garantirne il funzionamento; per le norme di condotta, invece, comporta l’astensione dalle azioni vietate e l’esecuzione di quelle prescritte come doverose.
In particolare il diritto privato disciplina le interazioni tra individui. Osservare volontariamente le regole poste dall’ordinamento, tenere un comportamento coerente con esse, è il primo modo di dare attuazione alle norme.
Quando un diritto individuale viene leso da parte di un altro soggetto, rendendo essenziale il ricorso all’Autorità giurisdizionale, spetta al giudice applicare la legge, pronunciando i provvedimenti stabiliti dal diritto processuale al fine di dare tutela al diritto sostanziale della parte istante.
L’interpretazione della legge. Il precedente giurisprudenziale
L’interpretazione è attività tipica del giurista, che deve confrontarsi con il testo normativo per comprenderne il valore precettivo, cioè la regola affermata dall’enunciato legislativo.
Pertanto, interpretare un testo, in particolare un testo normativo, vuol dire decidere che cosa si ritiene che il testo effettivamente significhi tra le molteplici letture che spesso un testo consente e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che possono insorgere nella sua applicazione.
L’interpretazione delle leggi non si esaurisce nella mera analisi del testo, ma richiede anche l’esame di elementi extra-testuali. Infatti non tutti i termini contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse, quindi il significato che viene loro attribuito in ciascun ambito va ricavato da elementi esterni al testo. E difatti lo stesso legislatore all’articolo 12 delle disposizioni preliminari, dopo aver prescritto di attribuire alle parole il loro “significato proprio”, impone di tener conto altresì della “intenzione del legislatore”, concetto che l’interprete non può ricostruire se non utilizzando elementi extra-testuali.
In secondo luogo, gli enunciati normativi fanno riferimento a situazioni ipotetiche e definite in via generale e astratta. Sarà compito dell’interprete stabilire se il singolo caso concreto rientri o meno nell’ambito di applicazione della singola norma; per farlo, egli dovrà utilizzare particolari tecniche di “estensione” o “integrazione” delle disposizioni della legge, facendo ricorso a criteri decisionali extra-testuali o meta-testuali.
In terzo luogo, le formulazioni delle leggi appaiono spesso in conflitto fra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità.
In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia combinazione di disposizioni, efficacemente ritagliate e ricomposte per adattarle al caso: operazione complessa che si basa su ricostruzioni sistematiche, ossia considerando l’intero sistema dell’ordinamento.
Sotto questo profilo assume un ruolo di particolare rilievo il collegamento dell’attività interpretativa ai principi e ai valori fondamentali contenuti nella Costituzione. Questo approccio prevede che, di fronte a molteplici significati attribuibili a una norma, si debba optare per quello che risulta in linea con la Costituzione, come ha ribadito la stessa Corte costituzionale in più occasioni (Corte cost. 7 gennaio 2000, n. 1). Ed anzi solo quando una norma non è suscettibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata, essa può essere dichiarata incostituzionale.
Inoltre si è ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione l’orientamento secondo cui i principi fondamentali della Costituzione non solo vincolano l’opera del legislatore, che deve normare nel rispetto di tali principi, ma “entrano direttamente nel contratto” e nei rapporti tra privati, i quali pure sono dunque immediatamente vincolati dal loro contenuto.
L’interpretazione “dichiarativa” si riferisce all’attribuzione del significato più ovvio e diretto a un documento legislativo, seguendo il canone metodologico in claris non fit interpretatio, che suggerisce di evitare ulteriori interpretazioni se la lettera della legge non è oscura. D’altra parte, quando il processo interpretativo attribuisce alla legge una portata diversa da quella che il suo tenore letterale potrebbe suggerire, si parla di interpretazione “correttiva”, nelle due forme della interpretazione “estensiva” e “restrittiva”, quest’ultima potendo arrivare fino al limite dell’interpretazione “abrogante”: queste espressioni implicitamente si ispirano alla credenza che il discorso legislativo abbia un significato proprio, che precede ed è indipendente dall’attività dell’interprete, occultando il fatto che il documento è muto senza l’interprete, essendo il suo significato il risultato e non il presupposto dell’attività interpretativa.
Talvolta nell’uso si contrappone alla “interpretazione della legge” la “integrazione della legge”; tale contrapposizione non va accettata, rientrando anche “l’integrazione della legge” nella attività di interpretazione.
Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si suole distinguere tra interpretazione giudiziale, interpretazione dottrinale e interpretazione autentica.
L’interpretazione giudiziale è l’attività svolta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione giurisdizionale che si traduce in provvedimenti con efficacia vincolante per le parti coinvolte nel processo. Tale interpretazione, pur avendo autorità limitata alle parti del giudizio, può acquisire valore di precedente, influenzando decisioni future in casi simili. Questo avviene quando le motivazioni logico-giuridiche della sentenza vengono utilizzate come riferimento da altri giudici per risolvere situazioni analoghe, contribuendo così alla formazione del diritto giurisprudenziale.
L’attività interpretativa assume carattere vincolante quando viene svolta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione giurisdizionale (nota come interpretazione giudiziale). Tuttavia, è importante precisare che l’interpretazione della disposizione, attraverso cui il giudice arriva alla decisione del caso sottoposto al suo esame, ha un ruolo autoritativo solo nei confronti delle parti coinvolte nel giudizio, che sono le uniche destinatarie del provvedimento del giudice. Una sentenza può comunque acquisire valore di precedente per altri casi simili, poiché l’interpretazione di una disposizione normativa sottesa alla sentenza e le argomentazioni logico-giuridiche che ne costituiscono la motivazione possono essere utilizzate come modello da altri giudici per risolvere casi analoghi.
Nel nostro ordinamento, però, il valore di un precedente è limitato alla capacità di persuasione logica e argomentativa del criterio di decisione espresso dalla sentenza, poiché generalmente i precedenti giurisprudenziali non hanno forza vincolante per la risoluzione di casi successivi analoghi. Pertanto, ogni giudice è libero di adottare l’interpretazione che ritiene più appropriata, anche se ciò può essere in contrasto con le pronunce della Corte di Cassazione.
Comunque l’interpretazione giudiziale ha sempre avuto una notevole autorità, grazie alla tendenza degli orientamenti della giurisprudenza a consolidarsi e al carattere professionale e autonomo della magistratura.
Recenti leggi hanno rafforzato il valore del precedente per aumentare l’uniformità delle prassi interpretative e dunque la prevedibilità delle decisioni. L’art. 360-bis c.p.c. prevede l’inammissibilità del ricorso alla Corte di cassazione se il provvedimento che si vuole impugnare abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme al pregresso orientamento della Corte Suprema in argomento, e i motivi di ricorso non offrano elementi per modificare quell’orientamento.
Inoltre, nel processo civile, le sentenze della Cassazione a sezioni unite hanno una sorta di vincolatività.
Infine, sono vincolanti le sentenze interpretative della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Del tutto peculiare è il ruolo attribuito alle sentenze emanate dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo, la cui vincolatività nei confronti dei giudici nazionali è anche di tipo ermeneutico, cioè i giudici nazionali devono far riferimento senz’altro alle norme della Cedu, così come intese dalla Corte Europea, nell’applicare le norme dell’ordinamento italiano e di quello comunitario.
L’interpretazione dottrinale è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, che raccolgono materiale utile per interpretare le varie disposizioni, ne illustrano i possibili significati e sottolineano le implicazioni e gli effetti delle varie soluzioni interpretative. Questo lavoro è di grande importanza pratica, poiché supporta coloro che operano nella pratica quotidiana aiutandoli a prendere decisioni rapide senza dover affrontare analisi complesse del materiale normativo.
Infine, l’interpretazione autentica non è considerata una vera attività interpretativa, poiché proviene dallo stesso legislatore che emana talvolta apposite disposizioni per chiarire il significato di altre preesistenti. La norma interpretativa ha carattere vincolante, ossia il legislatore vuole che chi deve applicare la norma precedente le attribuisca il senso voluto dalla nuova disposizione. Questa ha, perciò, efficacia retroattiva: infatti essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente.
È importante distinguere tra norma interpretativa e norma novativa, in quanto la prima ha efficacia retroattiva, mentre la seconda si applica solo ai fatti successivi alla sua entrata in vigore.
Talvolta la natura interpretativa di una norma è esplicitamente dichiarata; in altri casi, deve essere dedotta interpretativamente, con le relative difficoltà e incertezze.
Una legge non può essere considerata davvero interpretativa se, pur dichiarata espressamente tale, mira a modificare la norma precedente piuttosto che a chiarirne un dubbio interpretativo.
Infine, è utile ricordare che la retroattività della legge interpretativa non incide sul giudicato formatosi sotto l’impero della legge precedente, salvo diversa disposizione.