
7. Le nullità formali ed extraformali
La nullità dell’atto può derivare anche dalla mancanza di un suo presupposto, di un qualcosa cioè esterno all’atto stesso ma indispensabile per la sua validità; l’art. 159 c.p.c., regolando l’estensione della nullità, sancisce il principio della riflessione del vizio di un atto sugli atti successivi e dipendenti. Nasce qui la distinzione tra nullità formale e nullità extraformale; quest’ultima è la nullità dipendente, cioè la nullità dell’atto in sè formalmente perfetto ma tuttavia influenzato da un vizio esterno.
8. La nullità della sentenza
La sentenza può essere nulla per la presenza di un vizio proprio ovvero per derivazione, cioè per proiezione su di essa di precedenti vizi del procedimento non sanati.
I vizi propri della sentenza possono riguardare tanto l’atto, il documento in sé considerato, quanto la fase di formazione dell’atto. Un vizio riflesso della sentenza può essere, ad esempio, una nullità della citazione non sanata.
La nullità delle sentenze soggette ad appello o ricorso per Cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione.
La norma ha un’importanza enorme. Essa sancisce il principio della conversione della nullità in motivo di gravame, significa che se non è fatta valere con il mezzo di impugnazione previsto dalla legge, la nullità non può farsi valere in altro modo e per altra strada. Se la nullità non si può far valere in altro modo, essa si sana irrimediabilmente. La sanatoria più quindi prodursi sia quando la sentenza è stata ritualmente impugnata, ma la nullità non era motivo specifico di impugnazione, sia quando la sentenza non è stata impugnata nei termini prescritti dalla legge con un suo conseguente passaggio in giudicato.
Il principio della conversione della nullità in motivo di gravame ha una eccezione; il comma 2 dell’articolo 161 stabilisce che la regola del primo comma non si applica quando la sentenza manca della sottoscrizione del giudice.
Questo vizio determina un tipo di nullità assoluta, impossibile da sanare. Anche in corso di formale passaggio in giudicato della sentenza non si ha sanatoria e la nullità continua a potersi far valere con altri mezzi.
Ovviamente essa è deducibile quale motivo di impugnazione secondo i tempi e i modi del mezzo di impugnazione consentito, ma in difetto di ciò potrà sempre venire denunciata attraverso autonoma azione di accertamento della nullità della sentenza. La previsione di tale nullità ha portato a parlare di inesistenza della sentenza. Sono state considerate affette da nullità/inesistenza per esempio le sentenze che pronunciano nei confronti di parte inesistente o le sentenze totalmente prive della motivazione.
9. I termini processuali
Il codice regola anche il tempo degli atti processuali, cioè il momento in cui essi debbano compiersi. Il processo si svolge e si sviluppa cronologicamente tramite il meccanismo dei termini processuali. Un atto compiuto fuori dal termine può non produrre i suoi effetti e risultare quindi inutile. I termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge (art.152 c.p.c.). Essi però possono essere anche stabiliti dal giudice a pena di decadenza (se la legge lo permette espressamente).
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9.1 Termini ordinatori e termini perentori
Taluni termini sono stabiliti a pena di decadenza; una volta scaduti si estingue il potere di compiere l’atto processuale. In altri casi se anche l’atto non viene compiuto entro il termine previsto la parte non decade dal potere di compierlo. I termini della prima categoria sono detti perentori, ordinatori quelli della seconda. Questi ultimi sono i termini funzionali alla corretta scansione dell’attività processuale ma il cui spirare non produce la perdita del potere di compiere l’atto. I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori a meno che la stessa legge li dichiari espressamente perentori.
La legge assegna al giudice 5 giorni per eventualmente differire la data della prima udienza fino a un massimo di 45 giorni. Tale termine è ordinatorio. Non vi è infatti alcuna sanzione di decadenza e il giudice potrà pronunciare per esempio anche il sesto giorno e potrà differire la data di udienza anche al cinquantesimo giorno senza alcuna conseguenza.
I termini perentori non possono essere né prorogati né abbreviati (nemmeno per accordo dalle parti). Il giudice prima della scadenza può abbreviare o prorogare il termine ordinatorio.
Tuttavia la parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini consentendo la prova degli eventi straordinari che hanno impedito il compimento tempestivo dell’atto.
9.2 Il calcolo del termine
L’unità più frequente è il giorno, inteso come giorno solare, ma si danno termini di anni, mesi e ore.
Elementi costitutivi del termine sono: il momento iniziale e quello finale. Il termine è un lasso di tempo racchiuso tra un momento iniziale, chiamato dies a quo, e un momento finale chiamato dies ad quem. L’art. 155 comma 1 prescrive, nel computo dei termini a giorni o ad ore, l’esclusione del giorno e dell’ora iniziali. Il giorno iniziale non si computa (cioè il primo giorno del conteggio è il successivo), mentre si computa il giorno finale.
Per il computo dei termini a mesi o ad anni si osserva il calendario comune. Se il termine è indicato in 2 mesi esso non si tradurrà in 60 giorni. Se si ha a che fare con un termine di sessanta giorni si conteranno 60 giorni.
I giorni festivi si computano nel termine. Questo significa che i giorni festivi intermedi rispetto ai giorni iniziali e finali vengono calcolati come tutti gli altri giorni. Ma se il giorno di scadenza è festivo la scadenza è prorogata, di diritto, al primo giorno seguente non festivo. Se l’ultimo giorno del termine, dies ad quem, è una domenica la scadenza del termine avverrà, quindi, il lunedì successivo. Le due regole si applicano al tipo di termini c.d finali. Il termine finale, generalmente, ha una funzione acceleratoria nel senso che mira a sveltire i tempi del processo.
Talvolta però il termine non si conta in avanti. Questo accade quando la sua scadenza non è fissata in giorni successivi rispetto a un dato momento ma è fissata a partire da eventi successivi alla sua scadenza. Tipico in tal senso è il termine per la costituzione del convenuto che deve costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione dall’attore. Per esempio la data di udienza è il 31 marzo, il convenuto deve costituirsi almeno 20 giorni prima del 31 marzo.
Il dies a quo è il 31 marzo cioè la data di riferimento finale, il che vuol dire che il tempo si calcola a ritroso; il 31 marzo non deve entrare nel calcolo, il primo giorno del computo sarà il 30 marzo procedendo al indietro.
9.3 Termini acceleratori e termini dilatori
Ai termini acceleratori si contrappone la categoria dei termini dilatori. Il termine dilatorio sussiste quando la legge vuole impedire che un atto o un evento possa aversi prima di una certa data. Ad esempio, l’art. 163 c.p.c. stabilisce che dal giorno della notificazione al giorno dell’udienza devono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni.
9.4 Termine libero
Cosa significa termini liberi non inferiori a 90 giorni? Un termine si dice libero quando non solo si esclude dal computo il solo giorno iniziale ma se ne esclude anche il giorno finale. Significa che la data di udienza non potrà cadere al novantesimo giorno bensì al novantunesimo. Il termine è da considerarsi libero se la legge lo qualifica come tale.
9.5 La sospensione feriale dei termini
La cosiddetta sospensione feriale dei termini va dall’1 al 31 agosto incluso. Il decorso dei termini processuali è sospeso di diritto in queste date di ciascun anno e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. In questo periodo è sospeso il compimento degli atti giudiziari, se il decorso del termine ha inizio durante il periodo di sospensione l’inizio è differito alla fine di detto periodo. In materia civile non si applica tale sospensione dei termini in alcuni casi:
- cause relative ad alimenti,
- amministrazione di sostegno,
- procedimenti cautelari,
- procedimenti di sfratto,
- procedimenti di opposizione all’esecuzione
- procedimenti per dichiarazione o revoca dei fallimenti.
FONTI NORMATIVE
Codice di procedura civile: artt. 121, 152, 155, 156, 157, 159, 161, 163.
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