Profili introduttivi. Diritto primario e diritto derivato
L’Unione Europea appare organizzata intorno ad un sistema di fonti ampio e articolato. In primo luogo, il diritto primario non si esaurisce nei Trattati istitutivi in quanto tali; dal canto suo il diritto derivato, pur inteso con riferimento esclusivo alla produzione normativa basata su previsioni espresse dei Trattati, si identifica con un complesso di atti assai vari per caratteristiche ed effetti.
In secondo luogo, il sistema creato dai Trattati annovera, accanto a tali due categorie, altre categorie di fonti che arricchiscono questo sistema.
Alcune di queste ulteriori fonti erano previste sin dall’inizio nel Testo di Trattati; si pensi ad esempio agli accordi internazionali. Altre scaturiscono invece da un processo di graduale arricchimento dell’ordinamento, frutto da un lato delle successive modifiche dei Trattati originari, dall’altro dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia, come nel caso dei principi generali del diritto dell’Unione.
Inoltre, vi è anche la presenza di una serie di fenomeni o procedimenti para normativi che rappresentano elementi importanti di condizionamento dell’assetto e del funzionamento del sistema giuridico creato dai Trattati.
I trattati
Al vertice di questo complesso di fonti vi sono i Trattati istitutivi.
Il TUE e il TFUE, unitariamente considerati, costituiscono l’atto fondante dell’Unione e l’atto che disciplina, da un lato, le competenze di questa e le sue procedure di funzionamento e, dall’altro, i principi e le regole materiali di base su cui è modellato l’intervento delle istituzioni nei diversi settori di loro competenza.
Le norme contenute nei Trattati sono quindi norme sovraordinate rispetto a tutte le altre norme dell’ordinamento, in quanto i procedimenti produttivi di queste traggono la loro idoneità a farlo, e i relativi limiti materiali, dalle norme dei Trattati stessi.
Sono equiparati ai Trattati i protocolli e gli allegati che ne costituiscono una parte integrante.
Inoltre, trattandosi di norme che creano un ordinamento giuridico autonomo, anche se non originario, la loro applicazione e interpretazione deve svolgersi con riferimento ai principi generali che caratterizzano l’Unione europea. Vicino ad una interpretazione sistematica e teleologica, propria di ogni accordo internazionale, vi è anche una interpretazione storico-evolutiva, avallata dalla Corte di Giustizia.
Dunque, la possibilità di revisione dei Trattati incontrerebbe un limite nei principi fondamentali della comunità, i quali non tollererebbero modifiche, pur se queste venissero adottate in conformità al procedimento di emendamento previsto dagli stessi Trattati. Tuttavia, tale assimilazione ha un peso più politico che formale; infatti ai Trattati istitutivi manca la stessa natura di una Carta costituzionale, dato che oltre a contenere i soli principi strutturali e materiali dell’ordinamento cui danno fondamento, essi disciplinano i settori di competenza e le relative regole di funzionamento.
Procedure di revisione dei trattati
I Trattati disciplinano il procedimento attraverso cui si può realizzare una modifica.
Nella sua versione attuale, l’art. 48 TUE prevede in primo luogo una procedura di revisione ordinaria. In base ad essa, l’iniziativa può provenire da ogni governo degli Stati membri, dal Parlamento europeo o dalla Commissione. Tali istituzioni sottopongono il progetto di revisione al Consiglio, che poi lo trasmette al Consiglio europeo e lo notifica ai parlamenti nazionali.
Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, si pronunci favorevolmente (a maggioranza semplice) all’esame delle modifiche proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una Convenzione. Questa è formata da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. Se le modifiche riguardano l’ambito monetario, è richiesto anche il parere della BCE.
La Convenzione esamina i progetti di modifica e adotta “per consenso” una raccomandazione, trasmessa ad una apposita Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri.
Il Consiglio europeo può decidere a maggioranza semplice e previa approvazione del Parlamento europeo di non convocare la Convenzione qualora le modifiche non rendono necessario questo iter. Così viene convocata direttamente la Conferenza, che conclude i suoi lavori con l’adozione di un atto finale contenente il testo di un trattato e le modifiche concordate. Il trattato entrerà in vigore dopo la ratifica da parte di ogni Stato membro, in conformità alle proprie norme costituzionali.
L’art. 48 TUE contempla, nei commi successivi, due procedure di revisione semplificata.
La prima riguarda la modifica totale o parziale delle disposizioni della parte terza del TFUE in materia di politiche e azioni interne dell’Unione. In riferimento a progetti di modifica presentati da qualsiasi governo degli Stati membri, dal Parlamento europeo o dalla Commissione, il Consiglio europeo delibera all’unanimità, dopo aver consultato il Parlamento europeo e la Commissione (e, nei casi in cui sussistano modifiche nel settore monetario, la Banca centrale europea), tramite una decisione che modifica le disposizioni in materia. Questa decisione entrerà in vigore solo in seguito “all’approvazione” degli Stati membri, conformemente alle proprie Costituzioni. È importante specificare che tale decisione “non può estendere le competenze attribuite all’Unione dai trattati”.
La seconda procedura semplificata riguarda l’utilizzo delle procedure di adozione degli atti e può aver luogo in due diversi casi.
Il primo trova applicazione quando il TFUE o il titolo V del Trattato sull’Unione europea (PESC) prevedano che per un settore o in un caso determinato il Consiglio deliberi all’unanimità. In tal caso l’art. 48, par. 7, primo comma, TUE sottolinea che il Consiglio europeo possa adottare una decisione che consenta al Consiglio di deliberare, in tale settore, a maggioranza, salvo che si tratti di questioni con implicazioni militari o che rientrino nel settore della difesa.
Il secondo, individuato nel comma successivo, sottolinea la possibilità che il Consiglio adotti atti legislativi secondo la procedura legislativa ordinaria al posto di quella speciale prevista dal TFUE.
In entrambe le procedure descritte, le decisioni sono prese dal Consiglio all’unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo (che si pronuncia a maggioranza dei suoi membri). La proposta di modifica viene così passata ai parlamenti nazionali; se, entro sei mesi, anche un solo parlamento nazionale si opponga, la decisione non può essere adottata. In assenza di opposizione, il Consiglio europeo potrà adottare la decisione stessa, senza necessità dunque di una ratifica da parte degli Stati membri.
È possibile che oltre a tali procedure vi sia una revisione di talune disposizioni dei Trattati grazie a norme che attribuiscono al Consiglio il potere di adottare atti diretti ad integrare o ampliare il loro contenuto: ad esempio per il completamento dell’elenco dei diritti dei cittadini europei (art. 25 TFUE), o in materia di risorse proprie dell’Unione (art. 311 TFUE).
La clausola di flessibilità
Anche se non si tratta di modifica in senso proprio dei Trattati, tuttavia è possibile procedere ad un ampliamento o integrazione delle loro disposizioni ricorrendo all’art. 352 TFUE (c.d. clausola di flessibilità), che consente alle istituzioni l’esercizio delle c.d. competenze sussidiarie quando ciò risulti necessario per definire, nelle politiche definite dai Trattati, uno degli obiettivi dell’Unione senza che siano stati previsti i poteri necessari.
Quindi tale clausola consente alle istituzioni dell’Unione di agire senza una espressa attribuzione di poteri. In tal caso l’art. 352, par. 1, TUE prevede che il Consiglio adotti le “disposizioni appropriate” deliberando all’unanimità, su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.
Questa disposizione non può ricondursi alla teoria dei poteri impliciti, ma ha carattere più incisivo e innovativo, potendo condurre all’attribuzione di nuovi poteri di azione a condizione che sia possibile dimostrare la loro necessità “funzionale”. La clausola ha trovato larga utilizzazione nella prassi comunitaria, ma ha suscitato varie perplessità in merito alla possibilità, di fatto, di estendere le competenze dell’Unione oltre quanto previsto dai Trattati.
Inoltre, dopo l’elevazione della sussidiarietà a rango di principio fondamentale e la sua formalizzazione fin dal Trattato di Maastricht, il rispetto è l’elemento essenziale e necessario anche per una corretta utilizzazione dell’art. 352 TFUE. Deve essere limitata la possibilità di espansione delle competenze dell’Unione tramite il ricorso a tale articolo.
La norma pone ulteriori condizioni, specificate nel Trattato di Lisbona: le proposte formulate sulla base di detto articolo sono sottoposte dalla Commissione all’attenzione dei parlamenti nazionali nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà e in secondo luogo, la deliberazione del Consiglio con cui adotta all’unanimità le disposizioni appropriate, deve ricevere la previa approvazione del Parlamento europeo (prima solo consultato). Infine, le misure fondate su tale articolo non possono comunque comportare una armonizzazione delle disposizioni legislative degli Stati membri nei casi in cui i Trattati la escludono.
Pertanto, il ricorso alla clausola di flessibilità va inteso come residuale.