Giurisprudenza e dottrina
L’art. 38, lettera d), dello Statuto della Corte internazionale di giustizia specifica che esse costituiscono mezzi sussidiari per l’accertamento delle norme giuridiche; non sono fonti di diritto internazionale.
Per la giurisprudenza non vige il principio dello stare decisis: il giudicato ha efficacia solo tra le parti in lite e in relazione alla controversia decisa. Il valore non vincolante è stato spesso ribadito dalla Commissione di giuristi incaricata di preparare lo Statuto della Corte permanente di giustizia internazionale.
La Corte internazionale di giustizia però fa spesso riferimento alla sua precedente giurisprudenza e a quella della Corte permanente di giustizia internazionale.
Sono rilevanti anche le sentenze dei tribunali arbitrali, ad es. il Tribunale Penale per l’ex Iugoslavia.
In materia di diritti dell’uomo molto importanti sono le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Benché l’art. 38 dello Statuto della Corte faccia riferimento solo alle decisioni giudiziarie, e cioè ad atti vincolanti, rilevanti sono anche i pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia. Questi ultimi non sono vincolanti, ma sono importanti per la ricostruzione di una norma di diritto internazionale (ad es. il parere sulle riserve alla Convenzione sul genocidio oppure quello sulla liceità delle armi nucleari).
La dottrina, ai sensi dell’art. 38, è il mezzo sussidiario per la determinazione delle norme di diritto internazionale. Non si fa riferimento agli autori di una particolare tradizione dottrinale, ma agli autori più rappresentativi dei vari sistemi giuridici. Di regola, la dottrina non viene citata nelle sentenze della Corte internazionale di giustizia; talvolta è presa in considerazione dagli altri tribunali internazionali.
Pur essendo sullo stesso piano, la giurisprudenza ha generalmente più importanza.
Una menzione a parte meritano i lavori della Commissione del diritto internazionale. Essi sono citati dalla Corte internazionale di giustizia per la determinazione delle norme giuridiche.
L’equità
La Corte può adottare sentenze ex-aequo et bono, purché le parti le attribuiscano tale potere. In tal caso, la Corte giudica in base ai princìpi extra-giuridici. L’equità viene in considerazione come un principio non facente parte dell’ordinamento internazionale, ma ricavato dal comune sentire in merito alla giustizia e ad altri criteri similari. Quando la Corte decide secondo equità, la sentenza ha valore dispositivo anziché di mero accertamento ed è la sentenza, e non l’equità, a configurarsi come fonte di diritto nei rapporti tra le parti.
Si tratta di una fonte prevista da accordo, poiché trae la sua forza dall’accordo delle parti, che hanno chiesto alla Corte di decidere secondo equità. Non essendo fonte, non è ammessa l’equità contra legem. Alcuni ammettono solo l’equità infra legem o secundum legem, ma come ausilio meramente interpretativo.
L’equità può comunque assumere rilevanza anche quando una norma di diritto internazionale impone il ricorso a criteri equitativi: grande rilevanza ha avuto nella delimitazione marittima della piattaforma continentale e della ZEE. La delimitazione deve avvenire tramite accordo allo scopo di raggiungere una soluzione equa. In questo caso l’equità è alla base della formazione della norma pattizia, quantunque le parti possano sempre derogare all’equità.
Le norme istitutive di obblighi erga omnes o di vincoli solidali
Di regola, le norme internazionali creano vincoli bilaterali: sono, cioè, fonti di diritti ed obblighi reciproci tra le parti. Anche una convenzione multilaterale è suscettibile di essere scomposta in un fascio di rapporti bilaterali.
La Corte internazionale di giustizia, nel parere sulle riserve alla Convenzione sul genocidio, pone le basi per la definizione di norme istitutive di obblighi erga omnes o istitutive di vincoli solidali.
La Convenzione sul genocidio, come di regola ogni altra convenzione in materia di diritti umani, non contiene vincoli sinallagmatici, quindi per uno Stato parte della Convenzione gli obblighi derivanti sono assunti nei confronti di tutti gli altri Stati parti.
La Corte di giustizia internazionale ha avuto modo di precisare la nozione di obblighi erga omnes nella sentenza sulla Barcelona Traction (1970): essa ha chiaramente distinto tra norme che creano un fascio di rapporti bilaterali e norme istitutive di obblighi erga omnes.
Una distinzione essenziale deve essere fatta fra gli obblighi degli Stati nei confronti della comunità internazionale nel suo insieme, e quelli che nascono nei confronti di un altro Stato nel quadro della protezione diplomatica. Gli obblighi erga omnes sono rivolti a tutelare un interesse giuridico fondamentale.
In successive sentenze la Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto la qualifica di obbligo erga omnes al principio di autodeterminazione dei popoli.
Accanto a norme che istituiscono vincoli solidali e che presuppongono la mancanza di soggettività internazionale del beneficio materiale (divieto di genocidio nei confronti di una minoranza etnica da parte dello Stato territoriale), esistono norme che quantunque attribuiscano diritti in capo al soggetto immediatamente tutelato, creano nondimeno vincoli solidali (divieto di aggressione).
La categoria di norme istitutive di obblighi erga omnes è stata utilizzata anche dalla Commissione del diritto internazionale per individuare gli Stati, diversi dallo Stato immediatamente leso, legittimati ad invocare la responsabilità internazionale dello Stato che abbia commesso una violazione del diritto internazionale.
Le norme che stabiliscono obblighi erga omnes pongono obblighi esigibili da tutti gli Stati. In una comunità anorganica e non verticistica come quella internazionale, tali obblighi svolgono la funzione sociale che, nelle comunità più sviluppate, è operata da organi di rappresentanza e tutela di interessi collettivi.
La solidarietà dell’obbligo può derivare sia da una norma pattizia sia da una norma consuetudinaria. Ad es. la CEDU istituisce vincoli solidali nel senso che qualsiasi Stato parte può far valere, dinanzi la Corte EDU, la violazione della Convenzione imputabile a un altro Stato parte.
Le norme di diritto cogente sono norme istitutive di obblighi erga omnes; la fonte istitutiva di vincoli solidali può essere anche l’accordo, ma questo non è fonte di norme cogenti: queste sono poste a tutela della comunità internazionale degli Stati nel suo insieme; al contrario, la solidarietà fondata su una convenzione multilaterale opera a tutela degli interessi disposti dalla Convenzione.
Vi possono essere anche norme consuetudinarie dispositive che tuttavia prescrivono obblighi erga omnes come la norma sul diritto di passaggio inoffensivo nel mare territoriale. La norma è disposta a favore di tutti gli Stati della comunità internazionale e lo Stato costiero è obbligato nei loro confronti, ma essa non può essere certamente definita come una norma imperativa del diritto internazionale. Tanto è che lo Stato costiero e il terzo possono concludere un accordo derogatorio perfettamente valido.
Il soft law
Indica l’insieme di norme non giuridicamente vincolanti. Sono atti adottati dalle organizzazioni internazionali quali le raccomandazioni internazionali, i codici di condotta o gli altri atti adottati da conferenze internazionali non aventi dignità di trattato (ad es. gli atti adottati nel quadro dell’OSCE).
Il soft law contribuisce alla creazione del diritto: una serie di risoluzioni delle organizzazioni internazionali può contribuire alla creazione di consuetudini internazionali, sempre che sussistano i requisiti per la nascita di una consuetudine internazionale (le risoluzioni possono essere d’ausilio al consolidamento dell’opinio iuris).
Il soft law può costituire anche la fonte materiale di diritti ed obblighi giuridici.
Ad es. i princìpi contenuti nelle risoluzioni di diritto internazionale possono essere tradotti in un trattato internazionale, come è successo per il diritto dell’ambiente; oppure ancora, nel Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia del 2008 si dispone che le due parti agiscano conformemente ai principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Non sono fonte di diritti ed obblighi le dichiarazioni di princìpi dell’Assemblea Generale; sono solo raccomandazioni adottate in forma solenne, il cui contenuto è eventualmente suscettibile di essere tradotto in tutto o in parte in diritto consuetudinario.
Gli atti unilaterali
Un atto unilaterale consiste in una manifestazione di volontà non destinata ad incontrarsi con quella di un altro soggetto, e quindi non ha valore pattizio come l’accordo. Deve essere previsto da una norma dell’ordinamento per produrre effetti giuridici; tale norma può avere natura pattizia o consuetudinaria. La caratteristica principale di tali atti è la loro atipicità. Agli atti unilaterali disciplinati dal diritto pattizio appartengono la denuncia o recesso e la requête.
La denuncia o recesso è l’atto con cui lo Stato si scioglie dai vincoli contrattuali disposti nel trattato (sarà quest’ultimo a disciplinare le modalità di recesso e quando avrà effetto). Qualora il trattato non contenga alcuna clausola in merito, il recesso è ammissibile, secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, quando è effettiva intenzione delle parti oppure se la facoltà di recesso è dedotta dalla natura del trattato (ad es. Trattato di alleanza).
La requête è l’atto con cui si mette in moto il procedimento dinanzi un organo giurisdizionale, ad es. la Corte internazionale di giustizia. Un atto che presuppone l’esistenza di una clausola compromissoria, inserita nel trattato internazionale, con cui le parti convengono che ogni controversia relativa all’applicazione o all’interpretazione del trattato, possa essere deferita alla competenza di un organo giurisdizionale esplicitamente indicato.
Alla categoria comprendente gli atti disciplinati dal diritto consuetudinario appartengono numerosi atti la cui natura giuridica è controversa: riconoscimento, acquiescenza, rinuncia, protesta, promessa, notifica, estoppel. Anche per tali atti si pone il problema dell’individuo organo che possa impegnare la volontà dello Stato e della loro validità. In analogia con l’art. 7 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, si individuano nel Capo dello Stato, nel Capo del governo e nel Ministro degli affari esteri gli organi legittimati a manifestare la volontà internazionale dello Stato. Gli atti unilaterali sono soggetti al regime di validità proprio degli atti giuridici che può essere mutuato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (vizi della volontà o contrarietà a norma imperativa del diritto internazionale cogente).
In relazione al riconoscimento viene in considerazione quello di situazioni giuridiche, non il riconoscimento di Stati e di governi che è mero atto politico. Nel primo caso, un soggetto riconosce come conforme a diritto una determinata situazione, con la conseguenza che ad esso dovrebbe essere preclusa, posteriormente, la possibilità di contestarne la legittimità.
Con la rinuncia, un soggetto manifesta la volontà di non avvalersi di un diritto soggettivo a lui spettante; può essere esplicita oppure desunta da atti concludenti (ad es. uno Stato perde il diritto di invocare l’invalidità del trattato, quando si tratti di invalidità relativa, qualora esso abbia dato esecuzione al trattato, nonostante fosse venuto a conoscenza della causa di invalidità). La rinuncia non si presume.
L’acquiescenza è la conseguenza della mera inerzia del soggetto di fronte ad una situazione che tocca i suoi interessi; non è il mero silenzio, ma il silenzio di chi avrebbe dovuto prendere posizione in una data situazione. Essa ha rilevanza in merito alla sovranità territoriale e al diritto del mare. Ad es., nel caso della proclamazione di una baia storica, non corroborata da titolo adeguato, la mancanza di protesta da parte degli Stati costieri porta al consolidamento del titolo.
In merito alla promessa, atto con cui uno Stato si impegna a tenere un determinato comportamento o si obbliga ad astenersi dal farlo, si discute se essa sia produttiva di effetti giuridici. La Corte internazionale di giustizia, in merito alla questione sugli esperimenti nucleari, ha specificato che le dichiarazioni della Francia, secondo cui essa avrebbe cessato gli esperimenti nucleari una volta terminata la campagna di test del 1974, erano fonte di obblighi giuridici per la Francia. Naturalmente, occorre ricavare dalla dichiarazione unilaterale una chiara volontà di obbligarsi.
Con la notifica si rendono edotti uno o più soggetti di diritto internazionale dell’esistenza di determinati fatti o situazioni. Il soggetto che ha ricevuto la notifica non può ignorare l’esistenza del fatto. Ad es. il blocco navale, in tempo di conflitto armato, è notificato dallo Stato bloccante agli altri Stati membri della comunità internazionale.
Infine, per quanto riguarda l’estoppel, figura del diritto anglosassone, si discute se abbia natura sostanziale o processuale. Secondo alcuni, l’estoppel impedisce di rendere priva di effetti una dichiarazione effettuata da uno Stato nei confronti di un altro, quando la dichiarazione è a svantaggio dello Stato dichiarante e a vantaggio dell’altro Stato. Allo Stato dichiarante è precluso contestare la sua dichiarazione e far valere una pretesa in contrasto con essa. Problemi di estoppel vengono in considerazione con le questioni legate a titolo di sovranità e a delimitazioni marittime.
In alcuni casi la Corte internazionale di giustizia ha definito l’estoppel come una dichiarazione o una rappresentazione di una situazione che una parte fa all’altra e l’affidamento che su di essa fa l’altra parte a suo svantaggio, o a vantaggio della parte che la formula. In realtà, l’estoppel finisce per confondersi con l’acquiescenza, il riconoscimento e la preclusione a contestare una situazione che era stata ritenuta conforme a diritto mediante un’espressa manifestazione di volontà o l’assenza di contestazione dell’altra parte.