Delimitazione dell’indagine
Il fenomeno giuridico si concretizza in una serie di regole istituzionali e organizzative, nelle quali sono enunciati e definiti gli interessi del gruppo sociale e le procedure per l’armonizzazione e il soddisfacimento degli stessi. Il complesso di queste regole costituisce un sistema.
Tale sistema si basa su valori che lo legittimano nel suo complesso, ma, a sua volta, è disciplinato da altre regole, dirette a fissare gli organi e le procedure per la sua formazione e i modi in cui devono essere coordinate le regole presenti al suo interno.
La prima fonte da cui origina il diritto è la necessità dell’uomo di associarsi.
È necessario partire, per ciò che riguarda le fonti del diritto italiano, dai valori che legittimano l’esistenza di tali fonti. E proprio tali valori astratti vengono formulati nelle norme giuridiche. La formulazione linguistica delle fonti ne precisa termini e portata, costituendo a sua volta una fonte del diritto positivo. Per diritto positivo si intende quello posto in essere dagli organi a ciò deputati.
Quindi, l’ordinamento si crea quando le persone si associano e le fonti dell’ordinamento sono valori e interessi per perseguire i quali il gruppo è costituito.
Nell’ordinamento italiano i valori sono l’antecedente logico, il diritto positivo il risultato.
La norma giuridica
La norma garantisce stabilità e permanenza del gruppo sociale; si differenzia dalle norme morali e religiose. La violazione di una norma morale provoca conseguenze solo per la propria coscienza, la violazione di una norma giuridica provoca l’irrogazione della sanzione.
Quindi le norme giuridiche:
- evidenziano gli interessi del gruppo;
- prescrivono i modi con cui i soggetti possono perseguire tali interessi;
- determinano gli organi e le procedure per accertare e dichiarare l’inosservanza delle prescrizioni;
- stabiliscono la sanzione da irrogare, al fine di ristabilire l’ordinamento giuridico violato e salvaguardare la certezza nei rapporti giuridici.
Destinatari delle norme possono essere tutti i consociati, ad es. l’art. 24, comma 1, Cost.: “tutti possono agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, o soltanto alcuni di essi, come l’art. 38, comma 1, Cost.: “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Alcune norme possono anche essere rivolte a un singolo individuo; è il caso delle norme riguardanti il ruolo del Presidente della Repubblica, oppure limitarsi a dichiarare i valori intorno ai quali il gruppo si è costituito.
La prima caratteristica della norma giuridica è la positività, ovvero la necessità che la stessa enunci un interesse effettivamente vigente nella comunità e predisponga gli strumenti per il suo soddisfacimento e la sua tutela. È così che la positività si collega all’effettività, intesa come concreta efficacia della norma.
In senso prescrittivo deontologico, l’effettività è intesa nel senso che la norma è tale solo se efficace e applicabile; in senso storico esistenziale, l’effettività si concretizza nella circostanza secondo cui la norma ha avuto, in un dato momento storico, concreta efficacia e applicazione.
La seconda caratteristica della norma è la coattività. L’ordinamento mette a disposizione gli strumenti (ovvero le sanzioni) affinché il precetto sia eseguito anche contro la volontà o in assenza della volontà del destinatario; ciò sempre se la collettività richieda la puntuale osservanza dello stesso. Coattività e sanzione vanno di pari passo.
Non tutte le norme esprimono un comando, di fare o non fare, assistito da una sanzione. Ci sono anche norme non coattive: si pensi, infatti, alle norme che attribuiscono capacità e diritti (art. 1 c.c.), con funzione organizzativa (art. 102 Cost.), alle norme permissive o semplicemente definitorie. Nonostante queste non abbiano il carattere della coattività non vuol dire che non debbano essere rispettate; infatti, al pari delle altre, sono dotate di positività e inserite nell’ordinamento giuridico.
Le norme promozionali (a differenza di quelle precettive che disciplinano situazioni attive e passive) determinano i confini entro i quali la comunità si è costituita e il cui perseguimento è essenziale; un concreto esempio è l’art. 4 Cost.
La terza caratteristica della norma è l’esteriorità, ovvero la possibilità che essa disciplini la vita di relazione e ne organizzi i modi di svolgimento.
La norma giuridica deve possedere, altresì, la generalità e l’astrattezza. La prima è l’attitudine della norma a regolare fatti e comportamenti senza riferimento a situazioni o soggetti determinati. L’astrattezza definisce la possibilità che la norma disciplini categorie astratte e non casi concreti.
Tale ultimo requisito, però, spesso viene criticato in quanto la società attuale è sempre più frammentata in gruppi, che richiedono trattamenti normativi differenziati e adeguati a esigenze emergenti. Ciò nonostante, si ritiene che accantonare il carattere della generalità e della astrattezza potrebbe svilire la certezza del diritto quale elemento fondamentale dell’esperienza giuridica. Rimane il fatto che per le norme speciali ed eccezionali i caratteri di generalità e astrattezza sono attenuati.
Se si rimane ancorati a questi due aspetti rimane il problema di stabilire la natura delle leggi cd. personali, ovvero quelle leggi che hanno per destinatari singoli soggetti ben determinanti e delle leggi con le quali vengono assunti provvedimenti concreti, ovvero le leggi provvedimento. Sembra che a tali atti debba essere riconosciuta forza di legge, ma non anche natura normativa (ovvero non contengono norme giuridiche proprie perché mancano generalità e astrattezza).
Entrambe sono utilizzate dal legislatore per raggiungere alcuni fini dello Stato sociale, ma ciò non significa che ne può disporre a piacimento.
Quindi, terminate le caratteristiche della norma, si può dire che: la norma è una prescrizione generale e astratta che identifica ed enuncia gli interessi vigenti in un gruppo sociale e ne deve essere garantita l’osservanza.
Fonti di produzione e fonti sulla produzione; fonti atti e fonti fatti; fonti dirette e fonti indirette; fonti di cognizione
Le norme si desumono dal loro nomen iuris (leggi, decreti legge ecc.) così da dargli stabilità. Il testo scritto e la norma sono due cose distinte: la norma è esterna all’atto che l’ha posta e non si identifica con la statuizione legislativa. È l’interprete che dal testo estrapola la norma giuridica e lo fa tenendo conto sia dei principi fondamentali che delle altre norme relative allo stesso ordinamento.
Quindi in presenza di una fonte del diritto bisogna distinguere:
- l’aspetto formale, ovvero l’atto posto in essere secondo una data procedura (legge, decreto legge, decreto legislativo);
- l’aspetto sostanziale, cioè il contenuto dell’atto;
- la norma giuridica ricavabile dall’atto in via interpretativa.
Le fonti normative sono gli atti medianti i quali vengono poste in essere le norme giuridiche. Quindi, la fonte è lo strumento con cui si produce diritto. Per questo le fonti in esame sono definite fonti di produzione. Le fonti di produzione a loro volta vengono predisposte o riconosciute dall’ordinamento, nel senso che questo disciplina gli organi e le procedure necessarie alla produzione delle norme. È il caso dell’art. 70 Cost. che individua gli organi che nel nostro ordinamento possono produrre le leggi e dell’art. 72 che disciplina il procedimento legislativo. In questo caso parliamo di fonti di produzione che, al tempo stesso, sono fonti sulla produzione, proprio perché determinano gli organi e le procedure di formazione del diritto. Tali norme sono nella maggior parte dei casi contenute nella Costituzione.
A loro volta tali fonti sulla produzione derivano da un’altra fonte, che è proprio la Costituzione. L’Assemblea Costituente ha avuto il compito di disciplinare questi aspetti.
La seconda distinzione è quella tra fonte atto e fonti fatto: le prime, sono manifestazioni di volontà espresse da un organo dello Stato o di un altro ente a ciò legittimato dalla Costituzione e trovano la loro formulazione in un testo normativo (fonti scritte); le seconde, sono comportamenti oggettivi (consuetudini o usi) o atti di produzione esterni al nostro ordinamento (trattati internazionali), che vengono qualificati come fatti e come fonti non scritte. Questa distinzione è rilevante per le competenze della Corte Costituzionale, che a norma dell’art. 134, comma II, Cost. è competente a sindacare la conformità alla Costituzione delle fonti atto (e non delle fonti fatto), in particolare: le leggi e gli atti aventi forza di legge, statali e regionali.
Altra distinzione è quella tra fonti dirette e indirette. Le prime sussistono quando la fonte è prevista e regolata dallo stesso ordinamento; le seconde quando è disciplinata in un ordinamento esterno a quello dello Stato. In questo secondo caso la norma prodotta deve essere recepita e attuata nell’ordinamento in cui la si vuole applicare. Si badi, comunque, che ogni ordinamento è tenuto a specificare le proprie fonti.
Anche la necessità diviene fonte del diritto quando occorre far fronte a situazioni eccezionali e non prevedibili.
Le fonti di cognizione, infine, sono i documenti ufficiali in cui sono racchiuse le disposizioni legislative.
Le fonti sulla produzione nell’ordinamento italiano
L’ordinamento italiano ha sia fonti atto che fonti fatto, sia fonti dirette che indirette. L’elenco delle varie fonti è contenuto in articoli sparsi della Costituzione e in altre leggi costituzionali (tra le altre, artt. 138, 70, 76, 77, 75, 123, 117 Cost.).
Rispetto però a questa elencazione bisogna fare alcune specifiche.
In primis essa non contempla la Costituzione, ma ciò non vuole dire che quest’ultima non sia fonte del diritto, anzi è sovraordinata a tutte le altre e, quindi, non può essere ricompresa in un ordine da essa stessa creato. In secondo luogo il procedimento per creare alcune fonti non è contenuto nella Costituzione ma in altre leggi, come per i regolamenti governativi. In terzo luogo ci sono alcune fonti non espressamente previste ma che nella Costituzione devono trovare legittimazione (è il caso delle fonti comunitarie). La Costituzione poi non menziona la consuetudine.
La delegificazione, la semplificazione normativa e il meccanismo c.d. taglia-leggi
Le fonti sono varie e complesse. Ciò ha determinato l’affermarsi di molte fonti extra ordinem e una eccessiva produzione legislativa, con conseguente crisi della legge. Si assiste al fenomeno della delegificazione. Bisognerebbe delegificare intere materie o settori; secondo alcuni, infatti, alla stregua dell’art. 97 Cost. l’organizzazione dei pubblici uffici, ad esempio, non spetta al legislatore, bensì all’esecutivo il quale opererebbe con una riserva di regolamento.
La delegificazione consiste nel decongestionare il Parlamento da attività superflue, attraverso il ricorso ad una legge che disporrebbe il trasferimento di alcune discipline dalla sede legislativa a quella regolamentare.
Ci sono una serie di norme nel nostro ordinamento che legittimano l’utilizzo della riserva di regolamento.
Con la legge 246 del 2005 si è previsto il meccanismo taglia leggi; il Governo adotta decreti legislativi che individuano le disposizioni statali, emanate prima del 1970, che possono restare in vigore. Tutte quelle che non si ritengono necessarie verranno abrogate. Sono previsti una serie di criteri per cui tali leggi sono ritenute indispensabili.
Dalla delegificazione vanno tenuti distinti tre fenomeni:
- la deregulation, si sostanzia nella riduzione dell’intervento dei poteri pubblici nelle attività economiche;
- la denazionalizzazione (o privatizzazione), si ha quando lo Stato, titolare di un’impresa o di un’attività, decide di ritirarsi e affidare, parzialmente o totalmente, la gestione ai privati;
- la deburocratizzazione, rende più agile la pubblica amministrazione eliminando norme che appesantiscono attività e procedimenti amministrativi.