fonti norme giuridiche
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Le fonti delle norme giuridiche

Fonti delle norme giuridiche

Le fonti legali di produzione delle norme giuridiche sono gli atti e i fatti idonei a produrre diritto.

Gli atti sono quelle fonti che si manifestano in esplicazioni dell’attività di un organo o autorità muniti del potere di produrre norme (una legge del parlamento o un decreto di un sovrano assoluto); ma la norma può anche nascere da un semplice fatto, come per esempio una consuetudine affermatasi nel tempo come regola giuridica di condotta all’interno di una comunità.

Dalle fonti di produzione si differenziano le fonti di cognizione, ovvero i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si prende conoscenza (quando si tratti di fonti atto) del testo di un atto normativo (ad es. Gazzetta Ufficiale).

Rispetto ad ogni fonte, quando si tratti di un atto, si individua:

  • l’organo investito del potere di emanarlo (come il Parlamento);
  • il procedimento formativo dell’atto (come il procedimento di emanazione di una legge costituzionale);
  • il documento normativo (la legge, intesa nel suo testo);
  • i precetti rinvenibili dal documento, determinando, attraverso l’interpretazione del testo, il significato.

Ogni ordinamento deve individuare le norme sulla produzione giuridica, ovvero a quali autorità, a quali organi e con quali procedure sia affidato il potere di emanare norme giuridiche. Spesso un ordinamento individua una pluralità di fonti generatrici di norme giuridiche; per cui è indispensabile regolarne il rapporto gerarchico, ovvero precisare, nel caso in cui due o più fonti diverse stabiliscano regole tra loro contrastanti, quale debba primeggiare. La gerarchia è una regola sulla produzione giuridica che individua la norma applicabile in caso di contrasto tra disposizioni provenienti da fonti diverse.

La gerarchia delle fonti è mutata con l’affermarsi di fonti di produzione del diritto non statali: gli organi sovranazionali delle istituzioni europee e gli enti infrastatuali, come le regioni.

L’art. 1 delle “Disposizioni sulla legge in generale” o “preleggi”, anteposte al codice civile ordinava le fonti mettendo al primo posto la legge, al secondo i regolamenti, al terzo le norme corporative, e all’ultimo gli usi. Con la caduta del fascismo le norme corporative hanno perso efficacia; le altre fonti (di cui all’art. 1 disp. prel. c.c.) hanno conservato il loro valore secondo l’ordine gerarchico di cui alla stessa disposizione; a tale elenco si sono aggiunte altre importanti fonti del diritto: tra tutte la Costituzione, entrata in vigore nel 1948, approvata da un’Assemblea costituente, eletta dopo il referendum della fine della seconda guerra mondiale, che assegnò allo Stato la forma repubblicana e non più quella monarchica.

Con l’entrata in vigore della Costituzione la gerarchia delle fonti “interne” è così ricostruita: all’apice vi sono i princìpi fondamentali, da cui discendono i diritti “inviolabili” (come l’art. 2 Cost.), insuscettibili di modifica o revisione (il cambiamento dei principi fondamentali determinerebbe l’istituzione di un ordinamento diverso); seguono le disposizioni della Carta costituzionale e delle leggi di rango costituzionale; poi le leggi statali ordinarie e le altre fonti di cui all’art. 1 delle preleggi.

Nella scala gerarchica si sono poi inserite le leggi regionali e le norme di matrice comunitaria.

 La Costituzione e le leggi di rango costituzionale

A prescindere dagli aspetti sostanziali della Carta fondamentale, la Costituzione assolve anche alla funzione di fondamentale norma sulla produzione giuridica. Essa regola il procedimento di formazione delle leggi e la disciplina degli atti normativi.

La Costituzione disciplina il procedimento di elaborazione delle leggi e individua regole e princìpi che limitano l’attività del legislatore; è il caso del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e le norme che prevedono i fondamentali diritti e doveri dei cittadini (per esempio l’inviolabilità della libertà personale e del domicilio; la libertà di circolazione, di associazione, il diritto di agire in giudizio; la tutela della proprietà e della libertà di iniziativa economica; la tutela della famiglia e dei figli).

Una legge ordinaria che violasse questi diritti sarebbe illegittima e tali princìpi supremi sono un limite anche al potere del legislatore costituzionale, poiché insuscettibili (implicitamente) di revisione. Un divieto espresso di revisione è invece previsto solo per la “forma repubblicana” dello Stato, di cui all’art. 139 Cost.

Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, con lo stesso valore gerarchico della Costituzione e sovraordinate alle altre fonti devono essere approvate con una procedura più complessa di quella prevista per le leggi ordinarie (definita dall’art. 138 Cost.).

La Costituzione italiana è rigida, poiché la legge ordinaria non può né modificarla né contenere disposizioni in qualsiasi modo in contrasto con norme costituzionali. A presidio di tale rigidità, e a differenza dello Statuto albertino del 1848 (costituzione flessibile) la Corte costituzionale ha il compito di stabilire se una disposizione di legge ordinaria (o di altri atti “aventi forza di legge”) sia in conflitto con norme costituzionali (art. 134 Cost.). Il controllo di legittimità costituzionale delle leggi è in forma incidentale, se un giudice, chiamato a decidere una controversia, ritiene di dover applicare una determinata norma di legge, e questa appare di sospetta incostituzionalità. In tal caso deve rimettere gli atti del processo alla Corte costituzionale, affinché decida al riguardo.

È previsto, poi, un giudizio di costituzionalità in via principale, che può essere promosso dal Governo, contro le leggi regionali che vadano oltre la competenza legislativa delle Regioni, o da una Regione contro le leggi dello Stato o di un’altra Regione che violino la sua sfera di competenza (art. 127 Cost., modificato dalla L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3).

Non è consentito a singoli privati rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale per denunziare l’illegittimità di una legge.

Se la Corte ritiene illegittima la norma dichiara, con sentenza, l’incostituzionalità della o delle disposizioni viziate che non avranno più efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione (art. 136 Cost.).

Nelle fonti di rango costituzionale rientrano anche le norme del diritto internazionale consuetudinario, di cui all’art. 10 Cost., secondo cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Quindi le norme di ambito internazionale formatesi in seguito ad uno ossequio spontaneo delle Nazioni entrano a far parte dell’ordinamento italiano senza la necessità di una legge di ratifica da parte del Parlamento e godono della stessa forza vincolante della Costituzione. Quindi non possono essere modificate o contraddette da una legge ordinaria.

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Riferimenti:

  • Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, XXV ed.

Fonti normative:

  • Artt. 1, 4, 8, 12, 15 delle “Disposizioni sulla legge in generale” o “preleggi”;
  • artt. 2, 3, 10, 11, 70, 75, 76, 77, 117, 127, 134, 136, 138, 139 Costituzione;
  • L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3;
  • L. 24 dicembre 2012, n. 234;
  • art. 288 TFUE;
  • artt. 1187, 1340, 1368, 1374 1368 c.c.