formazione del contratto
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Le trattative e la conclusione del contratto

La formazione del contratto. La proposta e l’accettazione

La determinazione del momento esatto della conclusione del contratto assume rilevanza sotto vari profili, tra cui l’effettiva esistenza dell’accordo, la capacità delle parti di concluderlo e la normativa applicabile in caso di modifiche legislative. Inoltre, il luogo di conclusione incide sull’adempimento e sulla competenza territoriale in eventuali controversie (art. 1182, comma 2, c.c.).

Un contratto può perfezionarsi in modi diversi, ad esempio con la sottoscrizione di un unico documento, lo scambio di due dichiarazioni scritte identiche, verbalmente o mediante comportamento concludente.

La determinazione del momento in cui un accordo si perfeziona è semplice quando il consenso delle parti avviene contestualmente nello stesso luogo e tempo. Tuttavia, la questione si complica quando le trattative si svolgono in momenti diversi o tra soggetti distanti, che comunicano attraverso intermediari, corrispondenza postale, telefono. Nel processo di formazione del contratto, i due elementi essenziali sono la proposta, che avvia il procedimento, e l’accettazione, che ne sancisce la conclusione.

Nel procedimento di formazione del contratto, due atti risultano essenziali: la proposta, con cui si avvia il procedimento stesso, e l’accettazione, con cui si conclude.

È discusso se la proposta e l’accettazione costituiscano, ciascuna di esse, un negozio. L’opinione tradizionale lo nega, ritenendoli atti prenegoziali, poiché precedono il perfezionamento del negozio. Di conseguenza, affinché l’accordo si formi validamente, è necessario che la capacità di agire e la volontà delle persistano fino alla sua conclusione: se prima di tale momento il proponente o l’accettante muoiono, vengono interdetti o revocano la proposta o l’accettazione, il contratto non viene ad esistenza o risulta viziato. Secondo una diversa parte della dottrina proposta e accettazione sono comunque espressioni di volontà aventi consistenza negoziale, poiché ciascuna di esse, combinandosi con l’altra, è idonea a dare origine al contratto.

Proposta e accettazione sono dichiarazioni di volontà individuali; quando alla proposta segue l’accettazione si ha l’accordo: essi si fondono in una volontà unica, la volontà contrattuale.

Affinché ciò avvenga, occorre:

  • che l’accettazione giunga al proponente nel termine da lui fissato, oppure entro quello ordinariamente necessario, in base alla natura dell’affare o agli usi. Se l’accettazione giunge tardivamente, il proponente può comunque considerarla valida, ma deve darne comunicazione all’altra parte (art. 1326, commi 2 e 3, c.c.);
  • che l’accettazione sia conforme alla proposta; altrimenti equivale ad una nuova proposta (art. 1326, ult. comma, c.c.);
  • che l’accettazione sia compiuta nella forma richiesta dal proponente: se quest’ultimo ha richiesto che essa avvenga per iscritto, una dichiarazione verbale non sarà sufficiente a concludere il contratto, anche se per il tipo di contratto da concludere la legge non richiede la forma scritta ad substantiam (art. 1326, comma 4, c.c.).

Quando il contratto si conclude tra persone distanti, sorgono problematiche relative all’accertamento del momento e del luogo dell’incontro delle volontà. In astratto esistono diversi criteri per determinare l’efficacia di una manifestazione di volontà:

  • il principio della dichiarazione (l’efficacia si produce nel momento stesso in cui la volontà viene espressa);
  • il principio della spedizione (la manifestazione di volontà è efficace non appena inviata all’altra parte);
  • il principio della ricezione (la manifestazione di volontà è efficace quando l’altra parte la riceve);
  • il principio della cognizione (la manifestazione di volontà diventa efficace quando il destinatario ne prende conoscenza).

Il criterio della cognizione è quello adottato dal legislatore in materia contrattuale, in quanto garantisce che si verifichi una fusione delle volontà, un consenso, solo quando entrambe le parti abbiano consapevolezza dell’intesa raggiunta. Per questo, l’art. 1326 c.c. stabilisce che il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha conoscenza dell’accettazione della proposta, comunicatagli dalla controparte. Solo allora si può affermare che le parti condividano un regolamento negoziale comune.

Tuttavia, questa impostazione può creare difficoltà pratiche: il proponente potrebbe sottrarsi agli obblighi contrattuali sostenendo di non aver letto la lettera contenente l’accettazione o di averne avuto conoscenza tardivamente.

Per evitare questa eventualità, la legge ha introdotto un’ulteriore regola, che deve essere coordinata con il principio, accolto dall’art. 1326 c.c., della cognizione.

Infatti, l’art. 1335 c.c. stabilisce che la proposta, l’accettazione e qualsiasi dichiarazione diretta a una persona determinata si reputano conosciute non appena giunte all’indirizzo del destinatario. Di conseguenza, per dimostrare il perfezionamento del contratto, è sufficiente provare che la dichiarazione di accettazione sia arrivata all’indirizzo del proponente presumendosi che nella stessa data egli ne ha anche avuto conoscenza. Sarà onere del proponente dimostrare, nel caso in cui intenda contestare il perfezionamento del contratto, di essersi trovato, senza sua colpa o dei suoi dipendenti, nell’impossibilità di averne notizia.

L’incontro dei consensi dei contraenti, mediante proposta e accettazione, costituisce la modalità generale di formazione del contratto, ma non l’unica. Nel rispetto del principio di autonomia privata, le parti possono derogare alle regole di cui agli artt. 1326 e 1335 c.c. stabilendo diverse modalità di perfezionamento dell’accordo.

I contratti si possono concludere anche senza una formale accettazione, attraverso l’esecuzione diretta di un “ordine” ricevuto dal proponente. In tal caso l’accordo si considera perfezionato “nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione” (art. 1327, comma 1, c.c.), purché l’attività posta in essere dal destinatario della proposta non sia meramente preparatoria del futuro adempimento, ma abbia rilevanza esterna (Cass. 1° giugno 2016, n. 11392; Cass. 13 gennaio 2014, n. 462). Questa modalità, però, opera solo se richiesta espressamente dal proponente o conforme alla natura dell’affare o agli usi. L’accettante deve comunque dare “prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione” (art. 1327, comma 2, c.c.), pena l’obbligo di risarcimento del danno.

Un’ulteriore regola specifica riguarda i contratti che impongono obblighi esclusivamente al proponente, come la fideiussione. In questi casi poiché l’accettazione da parte del destinatario può essere facilmente presunta, la legge non richiede una dichiarazione esplicita di accettazione.

L’art. 1333 c.c. stabilisce che la proposta diretta a concludere un contratto dal quale derivino obbligazioni per il solo proponente è ex lege irrevocabile dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, vincolando il proponente il quale non può più tirarsi indietro e revocare la proposta stessa (come invece di regola la legge ammette per ogni altro contratto). Inoltre, il contratto si perfeziona se il destinatario non respinge la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. Ne consegue che il luogo e il tempo di perfezionamento del contratto coincidono con il domicilio dell’oblato (cioè il destinatario della proposta) e con il decorso del tempo utile per il rifiuto.

L’applicabilità di questa regola si limita ai contratti a titolo gratuito, ma è discussa per quelli ad effetti reali e per i contratti per i quali è richiesta una data forma ad substantiam.

Una diversa regola è prevista per la donazione; data la solennità richiesta l’accettazione è sempre necessaria, salvo il caso particolare della donazione obnuziale. Se l’accettazione non avviene contestualmente alla proposta di donazione, deve essere notificata al donante (art. 782, comma 2, c.c.).

La revoca della proposta e dell’accettazione

La proposta e l’accettazione possono essere ritirate e private di effetto attraverso un atto uguale e contrario noto come revoca (art. 1328 c.c.).

L’articolo 1328 c.c. disciplina separatamente la revoca della proposta e dell’accettazione.

La proposta è revocabile finché il contratto non sia concluso (art. 1328, comma 1, c.c.), mentre la revoca dell’accettazione non ha effetto se non giunge a conoscenza (e cioè all’indirizzo: art. 1335 c.c.) del proponente prima dell’accettazione (art. 1328, comma 2, c.c.).

L’interpretazione prevalente distingue il regime normativo delle due revoche, considerando la revoca della proposta un atto non recettizio, efficace se emessa prima che il proponente abbia conoscenza dell’accettazione della controparte. Di conseguenza, non è necessario che la revoca sia conosciuta dall’accettante prima di tale momento (art. 1328, comma 1, c.c.).

Per la revoca dell’accettazione, invece, occorre che essa giunga all’indirizzo del proponente prima che vi sia pervenuta l’accettazione.

Un altro orientamento, accolto dalla Corte di cassazione (Cass. 16 maggio 2000, n. 6323), considera atti recettizi sia la revoca della proposta che quella dell’accettazione, ritenendoli entrambi soggetti al regime dell’art. 1335 c.c. Secondo questa interpretazione, anche la revoca della proposta sarebbe efficace solo se giunta a conoscenza del destinatario prima dell’accettazione e conseguente conclusione del contratto, rendendo insufficiente la sola emissione anticipata.

Tuttavia, la Cassazione ha confermato l’orientamento tradizionale (Cass. 15 aprile 2016, n. 7543), stabilendo che la revoca della proposta è perfezionata con la sua spedizione all’indirizzo dell’accettante, prima che l’accettazione giunga a conoscenza del proponente, e tanto basta ad impedire la conclusione del contratto.

La disciplina della revoca della proposta può comportare un rischio per l’accettante, che potrebbe iniziare in buona fede l’esecuzione del contratto ad esempio acquistando materiali per la realizzazione dell’opera oggetto della proposta. In tal caso se il proponente ha revocato tempestivamente la proposta non è vincolato al contratto, ma è tenuto a risarcire l’accettante per le spese sostenute e le perdite subite.

La proposta perde automaticamente efficacia se il proponente muore o diventa incapace prima che il contratto si sia perfezionato, così come l’accettazione perde efficacia se l’accettante muore o diventa incapace nell’intervallo tra la spedizione della dichiarazione di accettazione e l’arrivo di questa al proponente.

Tuttavia la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente o dell’accettante non comportano la caducazione della proposta o dell’accettazione se si tratta di dichiarazioni effettuate da un imprenditore nell’esercizio della sua impresa, a meno che si tratti di piccoli imprenditori o che la natura dell’affare o altre circostanze indichino diversamente (art. 1330 c.c.).

Per garantire alla controparte un periodo di valutazione senza il rischio di revoca, il proponente può dichiarare che la proposta è irrevocabile (art. 1329 c.c.). In tal caso un’eventuale revoca successivamente comunicata sarebbe inefficace, permettendo al destinatario di accettare, determinando la conclusione del contratto.

La legge richiede che l’irrevocabilità abbia un termine preciso, escludendo impegni perpetui. In assenza di indicazione del tempo per il quale la proposta deve considerarsi ferma, la proposta resta valida ed efficace come proposta semplice, revocabile secondo la regola generale (Cass. 2 ottobre 2014, n. 20853; art. 1328 c.c.).

La proposta irrevocabile mantiene la sua validità anche in caso di morte o sopravvenuta incapacità del proponente (art. 1329, comma 2, c.c.), consentendo al destinatario di perfezionare il contratto accettando l’offerta entro il termine stabilito. Gli effetti dell’accettazione rimangono vincolanti per gli eredi o per l’incapace (a meno che la natura dell’affare o altre circostanze non escludano tale efficacia).

L’offerta al pubblico

L’offerta al pubblico è un particolare tipo di proposta disciplinata dall’art. 1336 c.c. Essa, pur essendo rivolta a destinatari indeterminati, ha valore di proposta contrattuale e consente la conclusione del contratto mediante la sola accettazione da parte di chi sia interessato a perfezionare il contratto oggetto della proposta. Per essere valida, l’offerta deve contenere gli elementi essenziali del contratto cui è diretta, salvo diversa indicazione derivante dalle circostanze o dagli usi.

L’offerta al pubblico, che vale come proposta contrattuale, non deve essere confusa con un generico invito a trattare, che mira a suscitare proposte contrattuali (come avviene con le inserzioni pubblicitarie), né con la promessa al pubblico, che non è diretta alla conclusione di accordi contrattuali.

È controverso se l’esposizione in vetrina di merce con indicazione del prezzo costituisca un’offerta al pubblico o un invito a trattare; la soluzione può anche dipendere dal tipo di prodotto. Le offerte “a prelievo diretto”, come quelle nei supermercati, sono offerte al pubblico.

Come ogni altra proposta contrattuale l’offerta al pubblico è revocabile. Tuttavia, mentre una proposta con destinatario determinato può essere revocata solo a condizione che la revoca sia portata a conoscenza di quest’ultimo (art. 1328 c.c.), la revoca dell’offerta al pubblico, purché sia effettuata con la stessa forma dell’offerta o con una modalità equivalente, è efficace anche nei confronti di chi, pur essendo venuto a conoscenza dell’offerta, non abbia avuto contezza della revoca (art. 1336, comma 2, c.c.).

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Riferimenti:

  • Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, XXV ed.

Fonti normative:

  • Art. 1182, comma 2, c.c. ;
  • artt. 1326-1330 c.c. ;
  • art. 1333 c.c. ;
  • artt. 1335-1336 c.c.