La zona contigua e la zona archeologica
La zona contigua è una fascia marina adiacente al mare territoriale, nella quale lo Stato costiero può esercitare, anche sulle navi straniere, il controllo necessario a prevenire e reprimere infrazioni alle leggi doganali, fiscali, sanitarie e di immigrazione, che potrebbero essere commesse o siano state commesse nel territorio o nel mare territoriale.
La Convenzione di Ginevra del 1958 ne prevede un’estensione massima di 12 miglia marine a partire dalla linea di base; la Convenzione del 1982 autorizza gli Stati ad istituire una zona contigua fino a 24 miglia marine. Dal momento che il mare territoriale può estendersi fino a 12 miglia, praticamente la zona contigua può estendersi per una fascia di mare adiacente di ulteriori 12 miglia marine. L’estensione della zona contigua a 24 miglia fa parte del diritto consuetudinario e quindi gli Stati possono istituire zone di tale ampiezza indipendentemente dalla ratifica della Convenzione del 1982. A differenza delle acque territoriali, l’istituzione di una zona contigua è facoltativa ed è necessaria una formale proclamazione dello Stato costiero. In Italia l’estensione del mare a 12 miglia ha assorbito la zona contigua.
L’Italia si è astenuta finora dal proclamare una zona contigua di 24 miglia, ma la legge 189/2002 attribuisce alle navi in servizio della Polizia e alle navi della Marina Militare poteri di polizia anche nei confronti di navi straniere, per contrastare il traffico illecito di migranti. Tali poteri possono esercitarsi nel mare territoriale o nella zona contigua e anche al di fuori delle acque territoriali, ma nei limiti consentiti dal diritto internazionale. Non essendo stata adottata alcuna legislazione attuativa, i poteri per contrastare le immigrazioni illegali restano virtuali.
Novità della Convenzione del diritto del mare è la possibilità di istituire una zona archeologica sul fondo marino adiacente la costa. La zona può avere un’estensione di 24 miglia dalla linea di base. Secondo la Convenzione, lo Stato costiero, al fine di controllare il commercio degli oggetti archeologici, può presumere che la rimozione di tali oggetti dalla zona, senza la sua approvazione, concretizzi una violazione di legge. Si vengono a riconoscere allo Stato costiero diritti speciali di controllo e giurisdizione in ordine alla rimozione di oggetti di valore archeologico e storico oltre il mare territoriale, sino ad una distanza di 24 miglia dalla linea di base.
In Italia manca una proclamazione ufficiale di zona archeologica, per cui deve considerarsi il codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale stabilisce una tutela di oggetti archeologici e storici rinvenuti nei fondali della zona di mare oltre le 12 miglia, a partire dal limite esterno del mare territoriale. La tutela dei beni sommersi è affidata alla legge 61/2006, istitutiva di zone di protezione ecologica. Le zone ecologiche italiane hanno un’estensione più ampia della zona archeologica.
La piattaforma continentale
Lo Stato costiero ha diritti sovrani, ai fini dell’esplorazione e dello sfruttamento delle risorse naturali, sulle zone del fondo e del sottosuolo marino facenti parte della piattaforma continentale. La prassi internazionale che ha portato alla cristallizzazione di una siffatta norma ha avuto origine nel momento in cui gli Stati Uniti rivendicavano un’esclusiva giurisdizione e controllo sulle risorse della piattaforma continentale adiacente alle proprie coste.
Il provvedimento degli Stati Uniti fu seguito negli anni successivi da analoghe pretese di vari Stati marittimi (alcuni Stati dell’America Latina si spinsero a rivendicare diritti esclusivi non solo sulla piattaforma, ma anche sulla colonna d’acqua sovrastante, il c.d. mare epicontinentale). Mentre tali pretese non furono accolte, l’istituto della piattaforma continentale costituì oggetto di riconoscimento sul piano convenzionale, fu definito dalla Convenzione di Ginevra del 1958 sulla piattaforma continentale. Essa garantisce allo Stato costiero diritti sovrani sulla piattaforma in merito a esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali. Per risorse naturali si intendono sia quelle minerarie (ad es. idrocarburi) che quelle biologiche sedentarie cioè gli organismi che rimangono immobili sulla piattaforma o che si spostano rimanendo in contatto col fondo marino.
I diritti sulla piattaforma sono esclusivi (nessuno può svolgere attività di esplorazione o sfruttamento senza autorizzazione dello Stato costiero) e automatici (non dipendono cioè da un’espressa proclamazione). Tali diritti non pregiudicano lo status giuridico delle acque sovrastanti la piattaforma, che rimangono soggette al regime dell’alto mare, né quello dello spazio aereo al di sopra di queste acque. Pertanto le attività di esplorazione o sfruttamento della piattaforma intraprese dallo Stato costiero o su sua autorizzazione non devono comportare una ingiustificabile interferenza con la libera navigazione e la pesca.
Gli Stati terzi possono collocare sulla piattaforma cavi (telefonici) e condotte (oleodotti), sotto riserva del diritto dello Stato costiero di prendere le misure ragionevoli per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse della piattaforma e per la prevenzione, riduzione e controllo dell’inquinamento da condotte.
Il limite interno della piattaforma coincide con il confine esterno del mare territoriale.
In merito al limite esterno la convenzione di Ginevra del 1958 pone due criteri alternativi: secondo il primo, di carattere batimetrico, la piattaforma si estende verso il largo sino al punto in cui la profondità delle acque si mantiene a 200m; la Convenzione contempla anche la possibilità di un’estensione dei diritti oltre i 200m e secondo il criterio della sfruttabilità, sino al punto in cui la profondità delle acque sovrastanti consente lo sfruttamento delle risorse naturali del suolo e sottosuolo marino.
La previsione del criterio della sfruttabilità crea forti incertezze per l’individuazione del limite esterno della piattaforma: consente, a misura del progredire delle capacità tecnologiche dello Stato costiero, un’estensione delle zone marine comprese nella nozione giuridica di piattaforma continentale. La questione è stata completamente ridefinita dalla terza Conferenza sul diritto del mare. A norma della Convenzione del 1982 la piattaforma in senso giuridico di uno Stato costiero comprende i fondi marini e il sottosuolo, al di là delle sue acque territoriali, fino a 12 miglia marine dalla linea di base.
Indipendentemente da ogni considerazione di carattere geologico, la piattaforma ha un’estensione minima di 200 miglia marine. Tale distanza potrà essere superata solo qualora lo Stato costiero abbia una piattaforma continentale, in senso geologico, più estesa. In questo caso il limite esterno verrà a coincidere con il bordo del margine continentale purché non si superi il limite massimo di 350 miglia dalle linee di base.
Il margine continentale comprende il prolungamento sommerso della massa terrestre dello Stato costiero; consiste nel fondo marino e nel sottosuolo della piattaforma, del pendìo e della risalita. Non comprende gli alti fondali oceanici come le dorsali né il sottosuolo.
Nell’ipotesi di sfruttamento della piattaforma continentale oltre le 200 miglia, il diritto esclusivo dello Stato costiero subisce una limitazione: lo stesso è tenuto a versare un contributo in denaro o in natura calcolato in percentuale dei benefici ricavati dallo sfruttamento all’Autorità dei fondi marini, che dovrà provvedere ad un’equa distribuzione dei contributi raccolti agli Stati parte della Convenzione.
La Corte internazionale di giustizia, nel 1985, nel caso della delimitazione della piattaforma continentale tra Libia e Malta ha ammesso che fa parte del diritto internazionale consuetudinario la regola secondo cui i diritti dello Stato costiero sul suolo e sottosuolo si estendono fino a 200 miglia dalle linee di base, indipendentemente dalla presenza di una piattaforma continentale in senso geologico.
Le Convenzioni del 1958 e del 1982 dettano regole differenti in materia di delimitazione della piattaforma tra Stati le cui coste si fronteggiano o sono adiacenti. Prevede che in tali casi la delimitazione vada fatta con accordo tra gli Stati interessati. In mancanza di questo, la linea di delimitazione è data dalla mediana, cioè dalla linea i cui punti sono equidistanti dai punti più vicini delle linee di base di ciascuno di tali Stati. Il criterio va corretto nel caso in cui sussistano circostanze speciali, ad esempio la presenza di isole vicino alla costa dell’altro Stato. Tale criterio non è stato ritenuto di diritto consuetudinario.
La Convenzione del 1982 stabilisce che la delimitazione della piattaforma è presa tramite accordo in modo da pervenire ad una soluzione equa. In attesa della conclusione di un accordo definitivo, gli Stati dovrebbero cercare di concludere un accordo provvisorio. La Corte internazionale di giustizia ha specificato che la delimitazione effettuata tramite accordo fa parte del diritto internazionale consuetudinario. L’Italia ha delimitato la propria piattaforma con una serie di accordi con gli Stati frontisti.
La zona economica esclusiva
La ZEE è un istituto introdotto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982. Essa è il logico sviluppo delle pretese avanzate dagli Stati costieri in relazione a zone di pesca esclusive nei mari adiacenti alle acque territoriali.
Può estendersi fino a 200 miglia calcolate a partire dalla linea di base. In pratica lo Stato costiero guadagna 188 miglia se si considera che il mare territoriale è fissato a 12 miglia.
I diritti di cui lo Stato gode nella ZEE sono diversi e meno intensi rispetto a quelli nel mare territoriale. L’istituzione della ZEE dipende da un atto di volontà dello Stato costiero; quindi non è attributo necessario dello Stato costiero, come invece per il mare territoriale e la piattaforma continentale. Deve essere proclamata.
Nella ZEE lo Stato gode di diritti esclusivi in materia di sfruttamento, gestione e conservazione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, esistenti sul fondo e sul sottosuolo marino nonché nella colonna d’acqua sovrastante, e circa le attività dirette alla utilizzazione a fini economici della zona, come la produzione di energia a partire dall’acqua, dalle correnti e dai venti. Lo Stato costiero ha diritti di giurisdizione in relazione allo stabilimento e all’uso di isole e installazioni artificiali, alla ricerca scientifica marina e in materia di protezione ambientale. Dal momento che i diritti dello Stato costiero riguardano fondo e sottosuolo marino, la ZEE quando viene istituita dallo Stato costiero assorbe la piattaforma continentale, a meno che questa non si estenda oltre le 200 miglia dalle linee di base.
La ZEE non è oggetto di un diritto di sovranità territoriale dello Stato costiero: pertanto gli Stati continuano a godere in tale zona di alcune libertà connesse al regime dell’alto mare, come la libertà di navigazione e di sorvolo.
In questa zona lo Stato costiero ha poteri di polizia; può visitare e catturare le navi straniere che abbiano violato le sue leggi.
La delimitazione va effettuata, come per la piattaforma continentale, tramite accordo conforme al diritto internazionale, in modo da ottenere un’equa soluzione.
Anche se la ZEE è innovazione introdotta dalla Convenzione del 1982, essa costituisce un istituto di diritto internazionale consuetudinario, come definito dalla Corte internazionale di giustizia.
Lo Stato ha diritti in relazione allo sfruttamento, alla gestione e alla conservazione delle risorse ittiche, nonché allo sfruttamento ottimale delle risorse biologiche.
Lo Stato può autorizzare altri a sfruttare le risorse ittiche della zona, tenendo in considerazione la propria economia e gli interessi nazionali, nonché i bisogni degli Stati vicini. L’accesso di altri Stati può essere subordinato al pagamento di corrispettivi e all’osservanza di particolari condizioni. Le navi straniere ammesse a pescare nella ZEE devono far sì che siano conservate le risorse biologiche.
Lo Stato può ispezionare o sequestrare navi straniere e proporre azione giudiziaria di fronte ai propri tribunali. Sono però stabiliti anche alcuni limiti: deve notificare prontamente allo Stato della bandiera ogni misura di sequestro o detenzione di navi straniere. Le pene non possono comprendere l’imprigionamento o punizioni corporali.
L’Italia non ha proclamato una ZEE; ha previsto però l’istituzione di una zona di protezione ecologica: in quest’ultima si applicherà la normativa interna e internazionale in materia di prevenzione e repressione di tutti i tipi di inquinamento marino. Questa zona non è riservata alla pesca e quindi i terzi possono dedicarsi a tale attività. L’Italia può prevedere misure per la protezione di mammiferi e biodiversità. I limiti esterni dovranno essere fissati in virtù di accordi con gli Stati adiacenti e frontisti; fino all’entrata in vigore di detti accordi, il tracciato della zona seguirà il criterio della linea mediana.