estinzione obbligazione
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L’estinzione dell’obbligazione

I modi di estinzione

L’obbligazione è un rapporto tendenzialmente temporaneo destinato ad estinguersi.

La forma tipica di estinzione è l’adempimento (artt. 1176-1217 c.c.), ossia l’effettuazione della prestazione dovuta, che permette al creditore di ottenere il risultato utile perseguito.

Tuttavia, il legislatore ha previsto alcuni casi in cui il rapporto obbligatorio si estingue anche senza adempimento. Questo avviene, innanzitutto, nel caso di morte del debitore, quando si tratti di prestazioni infungibili, ovvero prestazioni per il cui adempimento sono essenziali le qualità personali dell’obbligato, come l’obbligo di dipingere un quadro o di scrivere un libro.

Altri casi di estinzione delle obbligazioni, designati dal codice come modi di estinzione diversi dall’adempimento, includono:

  • la compensazione (artt. 1241-1252 c.c.);
  • la confusione (artt. 1253-1255 c.c.);
  • la novazione (artt. 1230-1235 c.c.);
  • la remissione (artt. 1236-1240 c.c.);
  • l’impossibilità sopravvenuta (artt. 1256-1259 c.c.).

L’esatto adempimento

L’adempimento, o pagamento, consiste nella realizzazione esatta della prestazione dovuta e richiede spesso cura, accortezza e cautela da parte del debitore, come nel caso della custodia di un bene di valore, la costruzione di un edificio, l’assolvimento di un mandato o l’esecuzione di un intervento chirurgico.

Perciò il legislatore stabilisce che il debitore, nell’adempiere l’obbligazione, deve usare la diligenza del “buon padre di famiglia” (art. 1176 c.c.), curando con attenzione, prudenza e perizia sia i preparativi dell’adempimento sia la conformità della prestazione rispetto all’obbligo assunto, al fine di evitare ritardi o impossibilità per cause a lui imputabili.

Ovviamente, il grado di diligenza esigibile nell’adempimento della prestazione varia a seconda del tipo di attività dovuta, della competenza del debitore e del rapporto obbligatorio, ecc. (art. 1176, commi 1 e 2, c.c.).

Le parti possono concordare su aggravamenti o attenuazioni della diligenza richiesta dal legislatore, ma è nullo un patto che, preventivamente, escluda o limiti la responsabilità del debitore per inadempienze derivanti da dolo o colpa grave di quest’ultimo (art. 1229 c.c.).

Il debitore deve adempiere esattamente la prestazione dovuta e il creditore, se vuole, può rifiutare un pagamento parziale se il rifiuto è conforme ai principi di buona fede e anche se la prestazione è divisibile (art. 1181 c.c.), mentre per cambiali e assegni vale  la regola opposta.

Sebbene la giurisprudenza abbia a lungo riconosciuto al creditore la facoltà di richiedere, anche giudizialmente, un adempimento parziale con riserva di agire successivamente per il residuo (Cass., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108), la Suprema Corte ha precisato che la richiesta di adempimento frazionato di un credito unitario può essere illegittima per violazione delle regole di correttezza e buona fede (art. 1175 c.c.) e del principio del “giusto processo” (art. 111 Cost.).

Il debitore può adempiere personalmente o tramite dipendenti o ausiliari, rimanendo responsabile del loro operato (art. 1228 c.c.). Il debitore non può impugnare l’adempimento eseguito, nemmeno se lo ha effettuato in stato di incapacità (art. 1191 c.c.) o con cose di cui non poteva disporre (art. 1192 c.c.).

Il debitore, quando effettua la prestazione dovuta, può richiedere al creditore il rilascio della quietanza (art. 1199 c.c.),  una dichiarazione di scienza che attesti l’avvenuto adempimento. Questa dichiarazione ha funzione di prova documentale precostituita, che il debitore potrà utilizzare in futuro per dimostrare l’avvenuto adempimento, qualora il creditore dovesse richiedergli nuovamente la prestazione. La giurisprudenza considera, infatti, la quietanza come assimilabile a una confessione stragiudiziale (Cass., sez. un., 22 settembre 2014, n. 19888), conferendole piena prova dell’adempimento (comb. disp. artt. 2735, comma 1, e 2733, comma 2 c.c.; Cass. 14 dicembre 2018, n. 32458). Il creditore può contestare l’efficacia probatoria della quietanza solo dimostrando che è stata rilasciata per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.), non essendo sufficiente la mera divergenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente accaduto.

Nel caso in cui il creditore dichiari non solo di aver ricevuto la prestazione, ma anche di non avere più nulla a pretendere dal debitore, la cosiddetta quietanza liberatoria, tale affermazione costituisce, salvo che non si tratti di un negozio di rinuncia o di transazione, una semplice espressione del convincimento soggettivo del suo autore di essere stato completamente soddisfatto di tutti i propri diritti (Cass. 19 settembre 2016, n. 18321).

Il destinatario dell’adempimento

Il destinatario dell’adempimento deve, di regola, essere il creditore, e il debitore deve assicurarsi che il creditore stesso abbia la capacità, si discute se solo quella legale o anche quella naturale, di ricevere la prestazione; in caso contrario, il debitore potrebbe essere obbligato a pagare una seconda volta, salvo che non dimostri che l’incapace ha tratto vantaggio dalla prestazione (art. 1190 c.c.). Talvolta, quindi, se il creditore non può ricevere direttamente, il pagamento deve essere eseguito al suo rappresentante legale o a una persona indicata dalla legge o dal giudice.

Il debitore può, se vuole, pagare, anziché al creditore o al suo rappresentante, a un soggetto indicato dal creditore come legittimato a ricevere il pagamento, detto “adiectus solutionis causa” (art. 1188, comma 1, c.c.). Peraltro, in caso di contestazione, il debitore deve provare che il creditore gli ha indicato il terzo come adiectus solutionis causa (Cass. 13 gennaio 2012, n. 390).

Se il debitore paga a un soggetto non legittimato a ricevere l’adempimento, detto pagamento al terzo, l’obbligazione non si estingue, a meno che il creditore non ratifichi il pagamento o non ne approfitti (art. 1188, comma 2, c.c.). In tal caso, spetta al debitore dimostrare che il creditore ha ratificato il pagamento o ne ha approfittato. Altrimenti, se il creditore non ratifica, si configura un’ipotesi di “indebito soggettivoex latere accipientis. In ogni caso, il debitore si libera se paga, in buona fede (cioè incolpevolmente), a una persona che, in base a circostanze univoche, appare essere il creditore, ovvero il “creditore apparente” (art. 1189, comma 1, c.c.). Ovviamente, chi riceve il pagamento come creditore apparente è tenuto a restituirlo al vero creditore (art. 1189, comma 2, c.c.).

La giurisprudenza ritiene che il debitore sia liberato, se paga a un soggetto, diverso dal creditore, che appare come suo rappresentante o, comunque, autorizzato a ricevere l’adempimento per conto del creditore stesso, come nel caso di un commesso che si sia abusivamente seduto alla cassa. In questo caso, il debitore deve dimostrare non solo di aver confidato senza colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore che ha fatto sorgere un ragionevole affidamento sulla legittimità del terzo.

Il luogo dell’adempimento

Il luogo dell’adempimento è, di norma, quello indicato nel titolo costitutivo del rapporto (contratto, testamento, cambiale, ecc.) oppure stabilito dagli usi o dalla natura della prestazione, come gli obblighi dei giocatori di una squadra di calcio o l’obbligo consegnare un macchinario industriale da montare ed avviare alla produzione (art. 1182, comma 1, c.c.).

Quando non vi sia una indicazione specifica, il legislatore detta le seguenti regole suppletive:

  • l’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata va adempiuta nel luogo in cui la cosa si trovava quando è sorta l’obbligazione (art. 1182, comma 2, c.c.);
  • l’obbligazione di pagare una somma di denaro liquida, ovvero determinata nel suo ammontare o determinabile mediante semplice calcolo aritmetico, va adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, configurando l’obbligazione portable (art. 1182, comma 3, c.c., con le deroghe previste dall’art. 1498, comma 2, c.c. e dall’art. 44 L. camb.);
  • l’obbligazione di pagare una somma di denaro da parte della Pubblica Amministrazione deve essere adempiuta presso la Tesoreria dell’ente debitore);
  • in tutti gli altri casi, l’adempimento va effettuato al domicilio del debitore al tempo della scadenza, configurando l’obbligazione quérable (art. 1182, comma 4, c.c.).

La distinzione tra obbligazioni portables e quérable è rilevante non solo per individuare il luogo in cui deve avvenire l’adempimento, ma anche per quanto riguarda la mora del debitore (art. 1219, comma 2, n. 3, c.c.).

Il tempo dell’adempimento

Il tempo dell’adempimento varia in base alla natura dell’obbligazione. Per le obbligazioni ad esecuzione continuata, come quelle del locatore o del lavoratore dipendente, e per quelle ad esecuzione periodica, come il pagamento degli interessi o di una rendita, è necessario determinare sia il momento iniziale sia quello finale della prestazione dovuta.

Per le obbligazioni ad esecuzione istantanea, come il pagamento di una somma di denaro, quelle ad esecuzione differita, come la consegna di un immobile da parte di un appaltatore, o quelle ad esecuzione periodica, come il pagamento del canone di locazione, è essenziale individuare il dies solutionis.

Il termine dell’adempimento è spesso indicato, esplicitamente o tacitamente, nel titolo costitutivo dell’obbligazione. Ad esempio, nel contratto di locazione si indicano le date di inizio e fine locazione e le scadenze per il pagamento del canone; nel contratto d’appalto per la realizzazione di un immobile si prevede il termine entro cui l’immobile deve essere completato e le scadenze per i pagamenti.

Se il termine è fissato, si presume che sia a favore del debitore (art. 1184 c.c.), impedendo al creditore di esigere la prestazione prima della scadenza (art. 1185, comma 1, c.c.) mentre il debitore può adempierla anticipatamente. Se, invece, il termine è espressamente fissato a favore del creditore (art. 1185, comma 1, c.c.),  questi può pretendere l’adempimento anticipato e il debitore non può eseguire la prestazione prima del termine.

Infine, se il termine è fissato a favore di entrambe le parti, né il creditore né il debitore possono ottenere o eseguire la prestazione prima della scadenza.

Il debitore decade dal termine fissato a proprio favore, permettendo al creditore di agire in giudizio come se il termine fosse già scaduto, se il debitore ha diminuito le garanzie date, non ha offerto le garanzie promesse, o è divenuto insolvente (art. 1186 c.c.). Lo stato di insolvenza, che comporta la decadenza del debitore dal beneficio del termine, è definito dalla giurisprudenza come una situazione di dissesto economico, anche temporaneo, che rende verosimile l’impossibilità per il debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (Cass. 11 novembre 2016, n. 23093).

In generale, le parti sono libere di definire, in piena autonomia, il tempo dell’adempimento.

Tuttavia, l’articolo 7 del Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, che attua la direttiva 2000/35/CE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, introduce delle deroghe. Queste deroghe riguardano solo le obbligazioni di pagare una somma di denaro per la fornitura di merci o la prestazione di servizi tra imprenditori, lavoratori autonomi, liberi professionisti e pubbliche amministrazioni.

La norma sanziona con la nullità ogni accordo in ordine alla data del pagamento che risulti gravemente iniquo in danno del creditore, come ad esempio un accordo che, in contrasto con il principio di buona fede e correttezza, si discosti gravemente dalla prassi commerciale corrente. La principale finalità di questa previsione è contrastare situazioni di abuso, specie a danno delle piccole e medie imprese, da parte di controparti contrattualmente più forti (come una grande impresa o la pubblica amministrazione). Inoltre, l’articolo 7-bis del D.Lgs. n. 231/2002 prevede che le prassi relative al termine di pagamento gravemente inique diano diritto al risarcimento del danno per il creditore.

Se il titolo non prevede il tempo dell’adempimento, la regola generale suppletiva dettata dal codice è che il creditore può pretendere immediatamente il pagamento (c.d. principio della “immediata esigibilità della prestazione“, articolo 1183, comma 1, c.c.).

Tuttavia, se per la natura della prestazione, o pe il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, la sua fissazione, in mancanza di accordo tra le parti, è rimessa al giudice (articolo 1183, comma 1, c.c.).

La giurisprudenza ritiene tuttavia che il creditore non debba ricorrere al giudice per ottenere la fissazione del termine se è trascorso un congruo lasso di tempo dal sorgere dell’obbligazione (Cassazione 11 settembre 2010, n. 19414).

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Riferimenti:

  • Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, XXV ed.

Fonti normative:

  • Artt. 1175-1176 c.c. ;
  • art. 1180 c.c. ;
  • artt. 1181-1186 c.c. ;
  • artt. 1188-1189 c.c. ;
  • artt. 1190-1192 c.c. ;
  • artt. 1193-1199 c.c. ;
  • artt. 1201-1210 c.c. ;
  • art. 1212 c.c. ;
  • art. 1214 c.c. ;
  • artt. 1216-1217 c.c. ;
  • art. 1219, comma 2, n. 3 – c.c. ;
  • art. 1220 c.c. ;
  • artt. 1228-1229 c.c. ;
  • art. 1256, comma 2, c.c. ;
  • art. 1977 e ss. c.c. ;
  • art. 1984 c.c. ;
  • art. 2041 c.c. ;
  • art. 1498, comma 2, c.c. ;
  • artt. 2732-2733, comma 2, c.c. ;
  • art. 2735, comma 1, c.c.