L’inabilitazione
L’inabilitazione è pronunciata con sentenza dal tribunale, quando vi siano, alternativamente, alcuni presupposti:
- infermità di mente non talmente grave da creare interdizione. Si fa riferimento ad una situazione che incide negativamente sulla capacità del soggetto di svolgere personalmente i propri affari, ma non priva il soggetto completamente della sua capacità di intendere o di volere (art. 415, comma 1, c.c.);
- prodigalità, ossia un impulso patologico che incide negativamente sulla capacità del soggetto di valutare la rilevanza economica dei propri atti, così da spingerlo allo sperpero e che lo induca ad esporre sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici (art. 415, comma 2, c.c.);
- abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, che porti il soggetto ad esporre sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici (art. 415, comma 2, c.c.);
- sordità o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia, sempre che il soggetto non abbia ricevuto un’educazione sufficiente a fargli acquisire la capacità necessaria per attendere personalmente ai propri affari (art. 415, comma 3, c.c.).
Il procedimento di inabilitazione ricalca sotto molti profili quello dell’interdizione; è il caso dei soggetti legittimati a promuoverlo, della fase istruttoria, della nomina del curatore provvisorio, della decorrenza degli effetti della sentenza di inabilitazione e della pubblicità di quest’ultima.
Lo stesso vale per il procedimento di revoca dell’inabilitazione.
L’inabilitato può autonomamente compiere gli atti di ordinaria amministrazione (art. 424, comma 1, che rinvia all’art. 394, comma 1, c.c.). Qualora dovesse compiere atti di straordinaria amministrazione è necessaria l’assistenza del curatore nominato dal giudice tutelare: deve, cioè, compiere l’atto unitamente al curatore. Ad ogni modo il curatore non si sostituisce all’inabilitato, come invece avviene per i genitori, in caso di minore età, e per il tutore, in caso di interdizione.
Il curatore, infatti, integra la volontà dell’incapace dopo aver ottenuto l’autorizzazione giudiziale; quindi, ad esempio per la vendita di un bene di proprietà dell’inabilitato, occorrerà il consenso sia dell’inabilitato stesso che del suo curatore, previa autorizzazione giudiziale (art. 394, comma 3, c.c.).
L’assistenza del curatore è sempre necessaria per far sì che l’inabilitato possa stare in giudizio.
Il giudice, con la sentenza che pronuncia l’inabilitazione o con un atto successivo, può prevedere che alcuni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere autonomamente compiuti dall’inabilitato, senza l’assistenza del curatore (art. 427, comma 1, c.c.).
L’emancipazione
Il minore ultrasedicenne, autorizzato dal tribunale a contrarre matrimonio (art. 84, comma 2, c.c.), con le nozze acquista automaticamente l’emancipazione (art. 390 c.c.) e in tal modo si sottrae alla disciplina della minore età.
L’istituto dell’emancipazione ha oggi un’applicazione pratica marginale, in quanto i tribunali adottano una linea progressivamente restrittiva con riferimento all’ammissione al matrimonio dell’infradiciottenne.
L’emancipato ha una condizione giuridica analoga a quella dell’inabilitato; può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione è necessaria la presenza del curatore, munito di previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria (art. 394 c.c.).
Gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal minore emancipato senza l’assistenza del curatore sono annullabili.
Se l’emancipato è sposato con persona maggiore di età, quest’ultima diventa il suo curatore; se è invece sposato con persona minorenne, il giudice tutelare nomina ad entrambi un solo curatore, scelto preferibilmente tra i genitori (art. 392, commi 1 e 2, c.c.).
L’annullamento del matrimonio (per causa diversa dal difetto di età) e lo scioglimento del matrimonio, non fa venir meno l’emancipazione (art. 392, comma 3, c.c.).
Lo stato di emancipazione cessa con il raggiungimento della maggiore età.