Il contesto normativo e la nozione di servizio pubblico essenziale
Prima dell’intervento normativo del 1990, lo sciopero nei servizi pubblici essenziali era regolato da norme penali e amministrative e dai codici di autoregolamentazione.
Gli articoli 330 e 333 del codice penale Rocco prevedevano i reati di abbandono collettivo e individuale di un pubblico servizio. Queste norme, formalmente abrogate dalla legge 146 del 1990, sono state oggetto di alcune sentenze della Corte Costituzionale, che ha individuato, tra i servizi pubblici, quelli essenziali perché di preminente interesse generale e diretti a garantire valori fondamentali legati all’integrità della vita e della sicurezza. È stata altresì sottolineata l’esigenza di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con l’esercizio di altri diritti di pari o superiore rango costituzionale e, infine, è stato messo in evidenza che nell’ambito del servizio essenziale alcune prestazioni devono considerarsi indispensabili, nel senso cioè che non possono non essere assicurate agli utenti.
La legge 146/1990, avente ad oggetto la regolamentazione del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi pubblici essenziali, ha accolto il principio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale secondo il quale sono essenziali i servizi aventi carattere di preminente interesse generale ai sensi della Costituzione e diretti a garantire i diritti della persona di preminente rilievo costituzionale.
La legge in esame contiene, all’articolo 1, comma 1, un’elencazione esemplificativa dei diritti costituzionali della persona che non possono essere sacrificati dall’esercizio dello sciopero (diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza, all’istruzione) e, al secondo comma, dei servizi funzionali alla loro soddisfazione.
Il legislatore ha, inoltre, considerato come servizio essenziale, da garantire in caso di sciopero, la fruizione dei beni culturali e del patrimonio storico ed artistico, attraverso l’apertura regolamentata al pubblico di musei e luoghi della cultura.
La legge 146/1990 distingue, inoltre, tra servizio essenziale e prestazioni indispensabili; un discorso a parte va fatto, invece, per quanto riguarda i c.d. servizi strumentali dei servizi essenziali. Si tratta di servizi funzionalmente collegati a quelli essenziali, la cui sospensione può pregiudicare l’erogazione del servizio pubblico finale e di conseguenza gli utenti che ne sono fruitori.
Le fonti di regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali
Nel 2000 il legislatore è intervenuto nuovamente in materia con la legge n. 83, con l’intento di risolvere i punti critici della legge n. 146 del 1990.
Alla luce di questo intervento, le norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali non si applicano soltanto ai lavori subordinati ma anche ai lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori. Vi è stata dunque un’estensione della sfera dei destinatari della disciplina.
La legge ha dovuto realizzare obiettivi di efficienza senza limitare né scoraggiare le prerogative del sindacato: a tal fine ha cercato di coniugare una parte immediatamente precettiva con una parte che affida il governo del conflitto ad altre fonti e, in particolare, alla contrattazione collettiva. E tuttavia anche i sindacati hanno difficoltà a realizzare il compito ad essi affidato dalla legge per la frammentarietà della rappresentanza sindacale, favorita dal fatto che il legislatore non ha dettato criteri per la individuazione dei soggetti legittimati a proclamare lo sciopero.
La legge n. 146 ha previsto, ulteriormente, come fonti di disciplina dello sciopero: il contratto collettivo, il regolamento di servizio emanato sulla base dell’accordo collettivo, i codici di autoregolamentazione propri dei lavoratori autonomi, il lodo emanato dalla Commissione di Garanzia, il potere di regolamentazione provvisoria della stessa Commissione e l’ordinanza di precettazione.
La legge n. 146 del 1990: il suo contenuto direttamente precettivo
La legge indica diversi limiti all’esercizio dello sciopero:
- il preventivo esperimento delle procedure di raffreddamento e conciliazione del conflitto;
- l’obbligo di preavviso;
- l’obbligo di comunicare per iscritto la data, la durata, le modalità, la motivazione dello sciopero sia al datore di lavoro, che al Presidente del Consiglio dei Ministri se lo sciopero ha rilevanza nazionale o al Prefetto se ha rilevanza locale, che a loro volta sono tenuti a trasmettere immediatamente tale comunicazione alla Commissione di Garanzia;
- il divieto del c.d. effetto annuncio;
- il rispetto delle regole di rarefazione, cioè il rispetto di intervalli da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo. Generalmente tale intervallo non è inferiore a dieci giorni;
- il divieto di concomitanza che demanda alla Commissione di garanzia il compito di rilevare “l’eventuale concomitanza tra interruzioni o riduzioni di servizi pubblici alternativi, che interessano il medesimo bacino di utenza”, al fine di evitare che servizi pubblici alternativi siano, contemporaneamente, interessati da estensioni;
- il rispetto di misure dirette a consentire l’esecuzione delle prestazioni indispensabili.
Tali limiti sono tassativi; alcune deroghe sono tuttavia previste, esclusivamente, con riferimento allo sciopero generale nazionale di tutte le categorie pubbliche e private. Sciopero che, naturalmente, dovrebbe rappresentare un evento raro ed eccezionale.
L’eccessivo ricorso allo sciopero generale, soprattutto da parte di organizzazioni sindacali non adeguatamente strutturate, ha indotto la Commissione ad una possibile revisione di tale figura. L’obiettivo è quello di riservare le deroghe introdotte dalla delibera del 2003, esclusivamente a dei soggetti collettivi che abbiano un insediamento diffuso in tutte le categorie, pubbliche e private, alle quali è rivolto lo sciopero generale.
Le procedure di raffreddamento del conflitto e conciliazione
Queste procedure intervengono, di solito, quando vi è già uno stato di agitazione e configurano un ulteriore tentativo di evitare l’astensione dal lavoro. Anch’esse, pertanto, svolgono una funzione regolativa dello sciopero.
Laddove le parti non intendano avvalersi delle procedure previste dagli accordi, possono esperire una diversa procedura di conciliazione in via amministrativa, presso la prefettura, il comune o il Ministero del lavoro a seconda della rilevanza territoriale del conflitto. Più precisamente, tale procedura è possibile solo in caso di mancanza di accordo o per soggetti estranei alla contrattazione.
Se esiste il contratto collettivo applicabile, questa scelta può essere effettuata solo di comune accordo.
La Commissione, tuttavia, ha avuto modo di ridimensionare questa mera alternatività tra i due istituti procedurali, ribadendo che, almeno per le parti che hanno sottoscritto gli accordi sulle prestazioni indispensabili valutati idonei, sussista un obbligo a dar corso, preventivamente, alla procedura di raffreddamento, prevista in tali accordi.
È opportuno sottolineare che le procedure di raffreddamento e di conciliazione soddisfano esigenze diverse da quelle delle procedure di prevenzione. La procedura di prevenzione, infatti, è rivolta ad intervenire, in linea generale e astratta, sulle possibili cause di conflitto.
La procedura di proclamazione dello sciopero
A carico delle parti sociali sussistono una serie di doveri inerenti alla fase della proclamazione: in particolare, il dovere di rispettare le misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili e l’obbligo, per i soggetti che proclamano lo sciopero, di comunicare per iscritto nel termine di preavviso, che non può essere inferiore a 10 giorni, la durata, le modalità di attuazione e le motivazioni dell’astensione collettiva dal lavoro.
L’obbligo del preavviso consente all’utente di organizzarsi in vista della sospensione del servizio; il dovere di predeterminazione della durata dello sciopero implica il divieto di scioperi ad oltranza. Infine, l’obbligo di comunicare per iscritto le modalità e le motivazioni dell’astensione, consente forme di controllo nel merito della controversia da parte della Commissione di garanzia.
Destinatari della comunicazione sono le amministrazioni o imprese che erogano il servizio e l’apposito ufficio costituito presso l’autorità tenuta ad adottare l’ordinanza di precettazione, che ne cura l’immediata trasmissione alla Commissione di garanzia.
Anche le amministrazioni e le imprese erogatrici sono tenute ad una serie di comunicazioni nei confronti degli utenti.
L’azione sindacale sleale
Al di fuori dei casi in cui sia intervenuto un accordo tra le parti ovvero vi sia stata una richiesta della Commissione di garanzia o dell’autorità competente ad emanare l’ordinanza di precettazione, la revoca spontanea dello sciopero già proclamato costituisce forma sleale di azione sindacale.
La revoca ingiustificata può essere censurata non soltanto dalla Commissione di garanzia ma anche in sede giudiziaria su iniziativa delle associazioni degli utenti abilitate. A tali associazioni è riconosciuta la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti delle organizzazioni sindacali responsabili, quando lo sciopero sia stato revocato dopo la comunicazione all’utenza, e da ciò consegua un pregiudizio al diritto degli utenti di usufruire con certezza dei servizi pubblici.
Il preavviso e le deroghe al preavviso
Il preavviso tutela l’interesse degli utenti a utilizzare servizi alternativi o a programmare diversamente l’uso del servizio. Esso consente, altresì, all’amministrazione o all’ente erogatore del servizio di predisporre le misure necessarie per l’esecuzione delle prestazioni indispensabili e per favorire eventuali tentativi di composizione del conflitto.
Le norme sul preavviso non trovano applicazione nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e sicurezza dei lavoratori, fermo restando, anche in questi casi, l’obbligo di garantire le prestazioni indispensabili.
Si tratta di ipotesi tassative che sono state considerate in senso restrittivo dalla Commissione di garanzia.
Le prestazioni indispensabili
La legge affida in primo luogo alle parti sociali il compito di individuare le prestazioni indispensabili, cioè quelle prestazioni che devono comunque essere assicurate durante le astensioni al fine di contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con l’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti.
L’oggetto di tali prestazioni non è costituito esclusivamente dalle prestazioni dei lavoratori, ma anche dall’attività di organizzazione dell’imprenditore e dalla sua attività di cooperazione all’adempimento delle obbligazioni dei lavoratori. La legge non indica il contenuto delle prestazioni indispensabili, affidando al contratto collettivo il compito di specificarlo, imponendo una serie di soglie di esecuzione delle suddette prestazioni cui le parti devono uniformarsi.
In mancanza di accordo tra le parti la legge riconosce alla Commissione di garanzia il potere di individuare le prestazioni indispensabili, stabilendo altresì i limiti che devono essere rispettati dalla Commissione nell’esercizio del suddetto potere. Nello specifico, deve essere assicurato il 50% delle prestazioni normalmente erogate e devono riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente al terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero.
Gli stessi limiti devono essere rispettati dalla Commissione di garanzia per la valutazione dell’idoneità degli atti negoziali e di autoregolamentazione.
La previsione di percentuali rigide e predeterminate non tiene conto delle peculiarità di ogni servizio pubblico e pone un problema circa l’ambito di riferimento delle stesse.
In caso di astensione dal lavoro dei lavoratori autonomi, liberi professionisti e piccoli imprenditori, la disciplina delle prestazioni indispensabili è contenuta in codici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni che li rappresentano.
Se tali codici mancano o non sono valutati idonei la Commissione di garanzia adotta la provvisoria regolamentazione.