lo sciopero
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Lo sciopero

I soggetti titolari del diritto di sciopero

Titolari del diritto di sciopero sono in primis tutti i lavoratori subordinati in senso tecnico, con le eccezioni dei militari, del personale della pubblica sicurezza, dei marittimi nel periodo di navigazione, mentre la legge pone limiti, che vanno armonizzati con quelli previsti per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, nei confronti degli addetti agli impianti nucleari e degli assistenti di volo.

La titolarità del diritto è stata riconosciuta anche ai lavoratori autonomi parasubordinati in quanto soggetti contrattualmente deboli nei confronti del committente.

Sicuramente rientrano in questa categoria di soggetti contrattualmente deboli i collaboratori continuativi e coordinati e a carattere prevalentemente personale (i lavoratori che operano nelle Platform economy, i food delivery riders).

Per quanto riguarda i piccoli imprenditori che non abbiano alle proprie dipendenze lavoratori subordinati, secondo la Corte costituzionale la loro astensione dall’attività è una forma di protesta assimilabile allo sciopero. L’estensione dell’art. 40 Cost. è, invece, esclusa nei confronti dei piccoli imprenditori “forti”, ossia di coloro che abbiano lavoratori alle proprie dipendenze.

Quanto ai liberi professionisti, la Corte costituzionale ha escluso che l’astensione dal lavoro sia definibile come sciopero in senso tecnico e ha considerato tutte le azioni collettive svolte ai fini di protesta, rivendicazione o pressione, come manifestazione della libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost.

Infine, secondo un’autorevole dottrina, la titolarità del diritto di sciopero dovrebbe essere negata ai magistrati in quanto investiti di una funzione sovrana. In realtà numerosi sono stati gli scioperi dei magistrati e nessun organo giudiziario ha mai eccepito l’illegittimità di tali astensioni.

Le forme anomale di sciopero

Tra le c.d. forme anomale di sciopero sono abitualmente ricompresi lo sciopero selvaggio o improvviso, cioè attuato senza preavviso, lo sciopero a singhiozzo e lo sciopero a scacchiera.

Per quanto riguarda lo sciopero a sorpresa, ormai la giurisprudenza non considera illegittima questa forma di sciopero, anche se occorre precisare che il preavviso è obbligatorio per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

La denominazione “forme anomale di sciopero” si riferisce attualmente soprattutto allo sciopero a singhiozzo e a scacchiera, denominati nella prassi sindacale “scioperi articolati”.

In questi casi lo sciopero è intermittente, cioè è esercitato alternando periodi di lavoro a pause di lavoro (sciopero a singhiozzo); oppure non è attuato contemporaneamente da tutto il personale di un’azienda, ma da alcuni reparti in momenti diversi (sciopero a scacchiera).

Queste due forme di sciopero possono essere attivate anche congiuntamente.

Lo sciopero attuato con queste modalità arreca all’azienda un danno maggiore di quello inferto con lo sciopero tradizionale, perché scompagina l’organizzazione del lavoro con un minore sacrificio per i lavoratori, che in questo modo possono ridurre il periodo di sospensione della prestazione e quindi anche il periodo di sospensione della retribuzione.

Queste forme di sciopero furono considerate illegittime dalla giurisprudenza fino al 1980, non solo per le modalità di attuazione, ma soprattutto perché cagionavano all’impresa un danno superiore a quello che sarebbe consentito dal rispetto del principio della corrispettività dei sacrifici.

Nel 1980 la Cassazione con una storica sentenza abbandonò il criterio, fino ad allora utilizzato, del danno ingiusto e della corrispettività dei sacrifici per distinguere lo sciopero legittimo da quello illegittimo.

Secondo questa sentenza, per stabilire se lo sciopero è legittimo non si deve avere riguardo alla maggiore o minore entità del danno provocato alla produzione, ma si deve avere riguardo al danno arrecato alle persone e agli impianti, cioè alla produttività (intesa come capacità produttiva dell’impresa).

In altri termini, la giurisprudenza distingue il danno alla produzione (legittimo) dal danno alla produttività (illegittimo).

Inoltre, la legittimità degli scioperi articolati permette al datore di lavoro di non retribuire le prestazioni lavorative che non sono utili tra una sospensione e l’altra durante uno sciopero a singhiozzo, o dai lavoratori non scioperanti in caso di sciopero a scacchiera. Ad esempio, se il reparto in sciopero non fornisce i prodotti necessari, le prestazioni dei lavoratori di quel reparto potrebbero non essere utili al datore di lavoro.

In altre parole, se la prestazione offerta dal prestatore di lavoro non arreca alcuna utilità al datore di lavoro, questi è legittimato a rifiutarla.

Accanto alla pratica della messa in libertà va ricordata la c.d. comandata prevista da un accordo, formale o informale, tra imprenditore e sindacati per garantire una presenza continua di un certo numero di lavoratori, durante gli scioperi negli impianti siderurgici o chimici a ciclo continuo (ad es. altiforni), che non possono essere fermati o spenti. Lo spegnimento di un altoforno può considerarsi certamente un danno alla produttività e, quindi, titolo per la responsabilità aquiliana dei lavoratori che hanno causato tale danno, ferma restando ovviamente la responsabilità dell’imprenditore, obbligato anch’egli a predisporre le misure di sua competenza.

Le clausole di tregua sindacale

Si dicono di tregua sindacale le clausole volte a limitare l’esercizio del diritto di sciopero nel periodo di vigenza del contratto collettivo.

Fin dagli anni ’70 si è discusso sulla riconducibilità di tali clausole alla parte normativa o a quella obbligatoria del contratto collettivo: era dibattuto, infatti, se tali clausole vincolassero solo il sindacato a non proclamare Io sciopero o producessero effetti anche nei confronti dei singoli lavoratori, impedendo loro di scioperare.

Secondo l’opinione divenuta maggioritaria le clausole di tregua potrebbero impegnare i soli soggetti sindacali a non proclamare lo sciopero nell’arco di vigenza del contratto collettivo, senza vincolare i singoli lavoratori, che resterebbero liberi di esercitare il diritto di sciopero anche in assenza della proclamazione.

Al di là della costruzione teorica del problema, è pacifico che l’esperienza sindacale italiana non conosce clausole di tregua impegnative nei confronti dei singoli lavoratori.

Così, il Protocollo del 1993 aveva previsto in occasione del rinnovo del contratto collettivo un periodo di raffreddamento durante il quale le parti si impegnavano a non assumere iniziative unilaterali né a procedere ad azioni dirette da tre mesi prima a un mese dopo la scadenza del contratto. In questo caso il Protocollo vincolava le parti collettive e non i singoli lavoratori.

Nella stessa direzione si muove l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, che esclude espressamente l’efficacia nei confronti dei singoli lavoratori delle clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva.

Un ultimo accenno merita il problema della responsabilità per l’eventuale violazione della clausola di tregua da parte delle organizzazioni sindacali che proclamassero ugualmente lo sciopero.

In linea teorica l’inadempimento della clausola di tregua obbligherebbe il sindacato al risarcimento del danno nei confronti della controparte, ma di fatto la difficoltà di determinare i danni risarcibili e di quantificarli non consente una concreta possibilità di tutela risarcitoria.

Proprio tenuto conto dell’ineffettività della sanzione del risarcimento del danno dovrebbero essere le stesse clausole di tregua a prevedere sanzioni alternative nei confronti dei soggetti sindacali responsabili della loro violazione (ad es. esclusione dalle trattative, sospensione dei permessi o dei contributi sindacali).

Tuttavia, è importante notare che clausole di tregua di questo tipo sono rare nel settore industriale.

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Riferimenti:

  • Santoro Passarelli, Diritto dei lavori e dell’occupazione, Torino Giappichelli 2022.

Fonti normative:

  • Art. 18 Cost.;
  • art. 40 Cost.;
  • art. 28 Statuto dei lavoratori;
  • artt. 502, 503, 505 c.p.;
  • Protocollo del 1993;
  • Accordo interconfederale del 2011.