Il rapporto tra Costituzione e P.A.
Il rapporto tra la Costituzione e l’amministrazione è disciplinato negli artt. 95, 97, 5, 28, 52, 114 nonché quelli relativi alla materia dei servizi pubblici (art. 32, 33, 38, 41, 43, 47).
Un primo modello di pa che emerge dalla Carta fondamentale si basa sul c.d. decentramento amministrativo, ossia la possibilità per le autonomie locali di avere un proprio indirizzo politico-amministrativo.
L’art. 98 Cost., poi, individua il modello dell’amministrazione legato al servizio degli impiegati pubblici per la collettività nazionale.
L’art.97 individua un modello indipendente basato sui principi di imparzialità ed efficienza enunciati nella disposizione costituzionale. Il legislatore può influire sull’amministrazione soltanto sul piano delle regole che disciplinano l’organizzazione.
Un modello di amministrazione meno indipendente è individuato nell’art. 95 Cost. che stabilisce «il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri». L’ipotesi di un’amministrazione strumentale al governo (Casetta), risiede nell’art. 95 co. 2 Cost. secondo cui ciascun ministro è a capo di un settore dell’amministrazione ed è responsabile degli atti del proprio dicastero. Quindi, detta norma qualifica l’indirizzo politico e amministrativo del governo.
L’indirizzo politico è la direzione politica dello Stato; una serie di manifestazioni di volontà in funzione del conseguimento di un fine unico, basato sul coordinamento armonico dei compiti statali (C. Mortati); l’indirizzo amministrativo è la determinazione di obiettivi dell’azione amministrativa nel rispetto dell’indirizzo politico (E. Casetta).
Esiste un altro modello di amministrazione, ed è quello costituito dalle autonomie funzionali (università, istituzioni scolastiche e camere di commercio.). Tali autonomie hanno una loro autonomia e sono legittimati ad essere titolari di attribuzioni amministrative in deroga all’art. 118 Cost.
In realtà l’attuale normativa sull’organizzazione pubblica non è basata sulla separazione tra politica e amministrazione. Il d.lgs. 165/2001: dà agli organi politici l’identificazione dei contenuti dell’attività qualificata come indirizzo politico-amministrativo mentre ai dirigenti spetta un’attività di indirizzo; individua uno stretto vincolo fiduciario tra organo politico e vertice dirigenziale (gli incarichi di segretario generale di ministeri e incarichi di direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al nuovo esecutivo, tale modello viene definito “spoils system”). Il meccanismo dello spoils system è stato oggetto di importanti decisioni della giurisprudenza costituzionale (sent. n. 34/2010); il principio di imparzialità è smussato, quello di buon andamento acquisisce importanza con riferimento alle posizioni apicali della dirigenza.
Il rapporto tra politica, amministrazione e diritto amministrativo è rilevante dal punto di vista della distinzione tra atti amministrativi e atti politici. I primi sono espressione del potere politico; gli atti amministrativi sono atti giuridici espressione della funzione amministrativa esercitata dall’autorità amministrativa. Viene individuata un’ulteriore categoria di atti amministrativi, definita atti di alta amministrazione (ad es. i provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende ospedaliere); per la loro discrezionalità sono il collegamento tra indirizzo politico (Stato-comunità) e attività amministrativa (Stato-amministrazione).
La responsabilità
L’art. 28 Cost. definisce il principio della responsabilità: «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».
Il principio di responsabilità è enunciato anche nella legge sul procedimento amministrativo, che ha individuato la figura del responsabile del procedimento. Si badi, però, che tale figura è stata individuata per soddisfare, più che altro, esigenze di trasparenza e di riferimento per il cittadino per superare il c.d. principio di impersonalità dell’amministrazione.
Il principio di legalità
La legalità nel diritto amministrativo è la necessità che l’amministrazione sia soggetta solo alla legge (principio di legalità in senso stretto); esso, è applicabile non solo all’amministrazione ma anche a qualsiasi potere pubblico (principio di legalità in senso lato).
Tale principio si sostanzia nella non contraddittorietà dell’atto amministrativo rispetto alla legge. Inoltre, il principio di legalità sottolinea l’esigenza che l’azione amministrativa abbia uno specifico fondamento legislativo, in altri termini conformità formale. Il rapporto tra legge e amministrazione è fondato sul dovere della pubblica amministrazione di agire nei casi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il relativo potere.
Il principio di legalità è inteso anche in senso sostanziale. L’attività amministrativa deve essere espletata non solo entro i limiti di legge ma anche in conformità alla disciplina sostanziale delle modalità di esercizio dell’azione intesa come esercizio del potere; la mancata osservanza del principio in questione determina l’illegittimità dell’azione amministrativa.
Il principio, in senso sostanziale, trova difficoltà nel contemperamento di due esigenze fondamentali quali: quella di garantire e di tutelare i privati (c.d. legalità-garanzia), che risiede all’interno della sfera del potere amministrativo e quella di lasciare discrezionalità alla pubblica amministrazione nell’espletamento della sua attività. Laddove l’amministrazione abusasse di questo potere discrezionale potrebbe incorrere in eccesso di potere (vizio di legittimità) (A. Romano).
Il potere è attribuito all’amministrazione dalla legge; quindi il rispetto di tale legge è presupposto perché si possano produrre gli effetti come risultato dell’esercizio dei poteri.
Sussiste anche la legittimità, che consiste nella conformità del provvedimento e dell’azione amministrativa a parametri diversi dalla legge anche se collegati alla stessa. Questi parametri sono le norme che disciplinano la gestione degli interessi pubblici e le regole non scritte collegate comunque alla legge, nel senso che nel caso concreto bisogna perseguire lo scopo della legge anche se il loro contenuto risulta definibile volta per volta.
Il principio di legalità viene enunciato anche nell’art. 1 l. 241/1990 ai sensi del quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da corollari di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. È richiamato anche dall’art. 21-octies, l. 241/1990.
Il principio di imparzialità
Il principio di imparzialità, con il principio di buon andamento, costituisce la base attraverso cui l’amministrazione esercita la sua attività (art. 97).
Il suddetto articolo, che introduce tale principio, si riferisce direttamente alla organizzazione come attività amministrativa.
Ci sono due tipi di comportamento dell’amministrazione: uno che è espressione del dovere dell’amministrazione di non discriminare la posizione dei soggetti interessati dalla sua azione nel perseguimento degli interessi a cui la stessa è delegata, e l’altro è la realizzazione di un assetto imparziale di rapporti.
L’imparzialità stabilisce che l’amministrazione sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di aparzialità (Casetta). Una applicazione di tale principio riguarda la posizione dei pubblici dipendenti, i quali sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.).
L’azione amministrativa è parziale se realizzata da un’organizzazione imparziale.
Concreta applicazione di tale principio è l’art. 6 bis l. 241 del 1990; secondo cui il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici (che compiono, ad esempio, pareri e valutazioni tecniche) devono astenersi in caso di conflitto di interessi.
L’imparzialità concerne anche le scelte che l’amministrazione compie nell’esercizio delle sue funzioni; si identifica nella congruità delle valutazioni finali e delle modalità di azione prescelte, tenendo conto gli interessi in gioco.
Il principio di buon andamento
L’art. 97 Cost. specifica anche il principio del buon andamento. La p.a. deve agire nel modo più adeguato e conveniente possibile. Esso concerne l’ordinazione dell’amministrazione al suo fine primario, ossia al perseguimento dell’interesse pubblico specifico (Police).
Il buon andamento si riferisce, non al singolo funzionario, ma all’ente nella sua interezza.
Differente è il concetto di buona amministrazione riferito al dovere incombente sui pubblici dipendenti di essere diligente nell’esercizio delle sue funzioni.