Gli elementi soggettivi del reato riguardano lo stato d’animo e la volontà che caratterizzano l’agente di un’azione penalmente rilevante. Si tratta di requisiti indispensabili per attribuire la responsabilità penale al soggetto agente, in quanto esprimono il suo grado di consapevolezza e volontarietà nell’agire.
Il nostro ordinamento penale individua tre forme di elemento soggettivo: il dolo, la colpa e la preterintenzione. In questo nuovo articolo di Ripetiamo Diritto procederemo ad una loro disamina, individuandone le caratteristiche e la disciplina.
L’elemento soggettivo del reato è richiamato anche dalla Costituzione: l’art. 27, infatti, stabilisce, al primo comma, il principio della responsabilità personale.
Gli elementi soggettivi del reato sono oggetto di valutazione da parte del giudice; all’esito di tale valutazione, egli può applicare una pena più o meno grave, o anche escludere la responsabilità penale se sussistono cause di giustificazione o di esclusione degli elementi succitati.
Cosa dice l’art. 43 del codice penale
Prima di entrare nel vivo della trattazione, è doverosa una premessa. Affinché si possa parlare di reato, oltre al fatto materiale, è richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo. Occorre, cioè, l’attribuibilità psicologica del fatto di reato alla volontà dell’agente (cd. imputazione soggettiva del fatto).
Alla dimensione soggettiva del fatto tipico sono dedicati gli artt. 42 e 43 del codice penale. Tali articoli prescrivono i requisiti minimi che un comportamento umano deve avere, dal punto di vista psicologico, per assurgere a fatto costituente reato e stabiliscono quali tipologie di atteggiamento psichico rilevano ai fini della sussistenza di una condotta tipica.
È bene, dunque, citare il primo comma dell’art. 42 c.p. : “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. Pertanto, nel nostro ordinamento, la coscienza e la volontà, dell’azione o omissione nella quale si sostanzia il fatto criminoso circoscrivono lo spazio della condotta penalmente rilevante, senza esaurire però l’ambito dei requisiti di carattere psicologico necessari per perfezionare la dimensione soggettiva del reato.
Di qui il collegamento con l’articolo 43 c.p. Tale articolo, ci consente, infatti, di comprendere cosa si debba intendere per dolo, colpa e preterintenzione e ne descrive i caratteri fondamentali.
Dolo, colpa e preterintenzione
L’articolo 43 del codice penale regola le sostanziali difformità che sussistono tra i vari elementi soggettivi del reato, la cui esistenza è necessaria ai fine dell’imputazione di colpevolezza e alla conseguente punibilità dell’autore del fatto illecito.
Il dolo rappresenta la forma più grave di colpevolezza, nonché il criterio generale di imputazione soggettiva. Tutti i reati, infatti, per essere imputati al colpevole, devono essere stati commessi con coscienza e volontà, eccetto i casi in cui la legge esplicitamente persegue anche chi abbia agito con colpa o con preterintenzione.
Nello specifico, il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione (art. 43, comma 1, c.p.).
Dunque, nella struttura del dolo è possibile individuare due elementi costitutivi imprescindibili:
- rappresentazione, cioè la previsione da parte del soggetto agente dei probabili effetti del suo agire;
- volontà, ovvero l’azione consapevole al fine di produrre, come risultato della condotta, l’evento previsto dalla norma incriminatrice.
Il delitto è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, invece, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente (art. 43, comma 2, c.p.).
Sono fattispecie indiscusse di delitto preterintenzionale: l’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) e l’aborto preterintenzionale (art. 18 L. 194/1978); peraltro, le sole fattispecie espressamente previste dalla legge.
Per la configurabilità della preterintenzione è necessaria la volizione di un evento (minore) e la realizzazione involontaria di un evento più grave, che è sempre una conseguenza della condotta del soggetto agente. Ad es., nell’omicidio preterintenzionale il soggetto vuole percuotere la vittima, ma non fino al punto di cagionarne la morte.
Infine, il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43, comma 3, c.p.).
Quindi, alla luce del dato normativo, la colpa è identificabile nella commissione di un reato da parte del soggetto agente, non perché questi avesse la volontà di porlo in essere, ma perché non ha utilizzato la doverosa e richiesta diligenza (cd. colpa generica) o perché non ha osservato norme che impongono particolari cautele (cd. colpa specifica).
Si distingue, altresì, tra colpa cosciente e incosciente, a seconda che il soggetto agente preveda o meno l’evento.
Quanti tipi di dolo ci sono e qual è la forma più grave
Il dolo può variare nella sua intensità, a seconda del grado di rappresentazione e volizione dell’evento. Esistono, dunque, diverse configurazioni di dolo, le principali sono le seguenti:
- diretto di primo grado o intenzionale (certamente la forma più grave), si configura ogni qualvolta l’evento conseguito corrisponde a quello voluto e rappresentato dall’autore, in quanto tale evento:
- realizza il fine per cui egli agisce;
- rappresenta il mezzo necessario per perseguire quel fine;
- scaturisce, come conseguenza che il soggetto agente ritiene non evitabile, dall’uso dei mezzi scelti per l’attuazione dello scopo;
- diretto di secondo grado, in relazione a quegli accadimenti che rientrano nella volontà di azione del soggetto agente, in quanto effetti secondari altamente probabili e comunque certamente non evitabili, delle precise e definite modalità della condotta posta in essere. In tali casi il soggetto agente è consapevole che all’attuazione del suo disegno si legano ulteriori effetti;
- indiretto o eventuale, relativo a quegli eventi che il soggetto si è, ragionevolmente e fondatamente, rappresentato come possibili conseguenze del proprio agire, accettando il rischio del loro verificarsi. Suo presupposto necessario è che il soggetto agente si sia prefigurato come possibile l’accadimento.
I confini tra dolo diretto e dolo eventuale non sono tuttavia così netti.
- Generico, corrisponde alla coscienza e volontà di porre in essere tutti gli estremi di un fatto costituente reato; non rilevano lo scopo per cui il soggetto ha commesso il fatto né le sue motivazioni;
- specifico, quando la legge richiede che il soggetto agisca per un fine ulteriore rispetto alla realizzazione del fatto tipico. Più precisamente, la legge subordina l’esistenza del reato, o una sua particolare qualificazione, a questa finalità “aggiuntiva”, anche se poi quest’ultima non si realizza. Nel furto, ad esempio, è ravvisabile il dolo specifico, in quanto esso ricorre esclusivamente se la sottrazione della cosa mobile altrui si verifica “al fine di trarne profitto”; non importa poi se tale fine si realizza, ma è necessario che la volontà di trarre profitto esista al momento del furto.