Il principio dello ius sanguinis, ossia l’attribuzione della cittadinanza per discendenza, ha per decenni consentito ai discendenti di italiani di vedersi riconosciuto il diritto alla cittadinanza, indipendentemente dal numero di generazioni trascorse.
Tuttavia, l’elevato numero di richieste e le difficoltà amministrative hanno spinto il Governo ad adottare una riforma incisiva con il Decreto-Legge n. 36/2025, pubblicato il 28 marzo e entrato in vigore il giorno successivo.
La nuova disciplina introduce un limite generazionale, riconoscendo la cittadinanza automatica solo a chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia. Inoltre, il provvedimento stabilisce che i cittadini italiani nati e residenti all’estero debbano mantenere un legame concreto con il Paese, dimostrando di aver esercitato almeno un diritto o un dovere civico ogni venticinque anni.
L’iter parlamentare per la conversione in legge sarà cruciale per definire gli effetti pratici della riforma.
Di seguito, un’analisi degli aspetti chiave del “pacchetto cittadinanza” e un cenno allo ius soli, ancora al centro del dibattito politico.
Lo ius sanguinis e la nuova limitazione generazionale
La principale novità introdotta dalla riforma riguarda la trasmissione della cittadinanza per discendenza. Fino al 2025, il riconoscimento era pressoché garantito per chiunque potesse dimostrare di avere un avo italiano, senza vincoli generazionali né l’obbligo di un legame effettivo con il Paese.
Con il Decreto-Legge 36/2025, la cittadinanza non sarà più trasmissibile oltre la seconda generazione: solo chi ha almeno un genitore o un nonno nato in Italia sarà considerato cittadino dalla nascita. Questa limitazione risponde alla necessità di evitare abusi e alleggerire il carico amministrativo che negli anni ha gravato sui consolati italiani.
Un’altra novità riguarda il mantenimento della cittadinanza: i cittadini italiani nati e residenti all’estero saranno tenuti a dimostrare un legame concreto con il Paese, esercitando almeno una volta ogni venticinque anni un diritto o dovere civico, come il voto, il rinnovo dei documenti o la regolarità fiscale.
Il decreto dispone anche che le richieste e i procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore saranno esaminati sulla base della normativa previgente. Di conseguenza, per questi specifici casi non verranno applicate le nuove limitazioni.
Ius sanguinis vs. ius soli
L’Italia ha storicamente adottato un modello basato sullo ius sanguinis, in contrapposizione allo ius soli, criterio adottato da Paesi come gli Stati Uniti e la Francia, che garantisce la cittadinanza a chi nasce sul territorio nazionale, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori.
Attualmente in Italia lo ius soli è applicabile solo in casi eccezionali, come:
- la nascita da genitori apolidi;
- la nascita da genitori ignoti;
- la nascita da genitori che, secondo la normativa del loro Paese d’origine, non possono trasmettere la propria cittadinanza.
Nel dibattito politico italiano, il tema dello ius soli ha suscitato ampie discussioni, soprattutto in relazione ai figli di immigrati stabilmente residenti nel Paese.
Negli ultimi anni, sono stati avanzati vari tentativi di riforma per introdurre lo ius soli temperato o lo ius culturae, che consentirebbero l’acquisizione della cittadinanza a chi è nato in Italia o ha compiuto un determinato percorso educativo sul territorio nazionale.
Tuttavia, nonostante le proposte, il Parlamento non ha mai approvato una riforma strutturale in questa direzione.
Il Decreto-Legge 36/2025, focalizzandosi esclusivamente sulla cittadinanza per discendenza, lascia invariata la normativa sullo ius soli, senza aprire nuove possibilità di riconoscimento per chi è nato in Italia da genitori stranieri.
Questo conferma la scelta di mantenere un criterio rigoroso e selettivo, ma allo stesso tempo alimenta il dibattito sulla necessità di una maggiore inclusione per le nuove generazioni nate sul territorio nazionale.
Un nuovo approccio alla cittadinanza: verso un modello più selettivo
Ebbene, con la riforma dello ius sanguinis l’Italia adotta un modello di cittadinanza più esigente che mira a evitare automatismi e rafforzare il legame autentico con il Paese.
Questo nuovo assetto normativo si inserisce in una tendenza già diffusa in diverse legislazioni europee, dove la cittadinanza viene sempre più associata a un’effettiva partecipazione alla vita della comunità nazionale, piuttosto che a un mero legame genealogico.
Un altro aspetto chiave riguarda la centralizzazione delle procedure, con la creazione di un ufficio speciale presso la Farnesina per la gestione delle richieste di cittadinanza, alleggerendo il carico amministrativo dei consolati.
Pertanto, se da un lato la nuova normativa promette maggiore efficienza e trasparenza, dall’altro la sua applicazione concreta dovrà dimostrare se sarà davvero in grado di bilanciare la necessità di semplificazione amministrativa con la tutela dei diritti di coloro che vantano una discendenza italiana.
Con il dibattito parlamentare ancora in corso, resta da vedere se la riforma riuscirà a risolvere le criticità storiche senza generare nuove tensioni giuridiche e sociali.