Giustizia internazionale
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Trattamento delle persone fisiche e giuridiche straniere

Premessa

La problematica è oggetto di esame da parte della dottrina. Con il progredire della protezione dei diritti umani, tale argomento è diventato strettamente connesso alla protezione della persona umana. Ad esempio la questione del diniego di giustizia, che tradizionalmente fa parte della tematica relativa al trattamento degli stranieri, può essere esaminata anche sotto il profilo del diritto dell’ accesso alla giustizia e ad un equo e giusto processo, di regola garantito dalle convenzioni in materia dei diritti dell’uomo. Stesse considerazioni valgono, almeno in parte, per le persone giuridiche.

Le norme in materia di diritti umani sono, di regole, formulate a garanzia di tutti gli individui, cittadini e stranieri, sottoposti al potere d’imperio dello Stato.

Al contrario quelle relative agli stranieri hanno per oggetto una ben più delimitata categoria di persone. Talune norme in materia di diritti umani, ad esempio buona parte di quelle relative ai diritti politici, attribuiscono diritti ai cittadini ma non per forza agli stranieri. Mentre le norme a protezione dei diritti umani hanno per oggetto la tutela dell’individuo, quelle relative agli stranieri sono poste a protezione degli Stati e solo in forma mediata dell’individuo.

Inoltre, vi sono alcuni istituti, come la protezione diplomatica, che sono peculiari del trattamento degli stranieri. Esistono poi norme che hanno per oggetto specificamente gli stranieri, come quelle relative all’ingresso nel territorio, ai richiedenti asilo o ai lavoratori migranti. E’ innegabile la tendenza a costruire le norme a protezione dei diritti degli stranieri come norme a protezione non dello Stato cui lo straniero appartiene, ma come norme a protezione dell’individuo. Lo Stato territoriale, infatti, è obbligato ad avvertire, su richiesta dello straniero, le autorità consolari dello Stato di appartenenza, in modo che gli sia data opportuna assistenza anche ai fini della rappresentanza in giudizio.

L’ammissione e l’allontanamento degli stranieri

Lo Stato è libero di ammettere gli stranieri nel proprio territorio. Può accordare o negare l’ingresso e non esiste alcuna norma di diritto internazionale generale al riguardo. Anche per quanto riguarda l’asilo, lo Stato non ha l’obbligo di ammettere il richiedente nel proprio territorio. Lo Stato, in linea di principio è anche libero di allontanare gli stranieri presenti. Ma buona parte della dottrina ritiene esistente una norma consuetudinaria che proibisce le espulsioni in massa degli stranieri. Tale assunto trova conferma a livello convenzionale.

La libertà di disciplinare l’ingresso o l’espulsione degli stranieri non è più assoluta come in passato, ma deve fare i conti con le norme poste a tutela della persona umana contenute nei trattati internazionali. Per l’espulsione, la Commissione del diritto internazionale ha adottato nel 2012 un progetto di articoli che conferisce allo Stato il diritto di espellere lo straniero, con la precisazione che questo deve avvenire in base ad una decisione conforme al diritto. Uno Stato parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo non può procedere all’allontanamento dello straniero verso uno Stato dove questi corre il rischio di un trattamento inumano o degradante, l’obbligo ha carattere assoluto. Anche la Convenzione contro la tortura stabilisce delle norme simili. Non sembra che lo Stato debba assegnare all’individuo un congruo lasso di tempo prima di lasciare il territorio. Regole convenzionali, nell’ambito dell’Unione Europea, sussistono per i cittadini degli Stati membri, i quali hanno diritto alla libera circolazione e soggiorno.

Una particolare categoria di persone, che gode di un diritto di circolazione all’interno di una fascia di confine a cavallo di due Stati, è quella dei lavoratori transfrontalieri. Anche in tal caso esiste una disciplina convenzionale in cui, di regola, gli Stati si accordano per le reciproche ammissioni. Lo Stato è libero di ammettere gli stranieri, pur assoggettandone l’ingresso al possesso di un documento d’identità (generalmente il passaporto) e a determinate condizioni (il visto di ingresso). Per gli apolidi, cioè gli individui privi di cittadinanza, viene rilasciato un documento di viaggio dalla organizzazione competente o dallo Stato in cui sono stanziati. Per i rifugiati o richiedenti asilo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo attribuisce ad ogni individuo il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni. La Dichiarazione però non è fonte di diritto.

A livello universale, lo strumento giuridicamente vincolante è costituito dalla Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati, la quale non attribuisce al rifugiato un diritto all’asilo. In materia di ingresso, il solo obbligo particolarmente qualificato che gli Stati parti assumono consiste nel non refoulement, cioè il non respingimento del rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza a una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche. Tale principio è considerato di diritto consuetudinario.

La Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 obbliga gli Stati parti a prendere misure adeguate per la protezione dei minori richiedenti asilo o che possano essere considerati rifugiati. Nell’ordinamento italiano l’articolo 10, terzo comma, Cost. dispone che “lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. La disposizione è estremamente liberale. Per beneficiare del diritto d’asilo, non è necessario che un individuo sia effettivamente perseguitato nel paese di origine. È sufficiente che non sia ivi possibile esercitare le libertà democratiche. Per lungo tempo la disposizione è stata interpretata come norma avente natura programmatica. Il mutamento si è avuto con una sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 1997 che ha riconosciuto l’esistenza di un diritto soggettivo perfetto per il richiedente asilo.

L’articolo 10, terzo comma, Cost. avrebbe una sfera soggettiva più ampia quindi di quella stabilita dalla Convenzione del 1951. La Cassazione con sentenza del 2005 ha, invece, dato un’interpretazione restrittiva, affermando che il richiedente asilo, in assenza di una disciplina organica di legge, ha solo il diritto di ingresso nel territorio nazionale per poter essere ammesso alla procedura di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato politico. Pertanto il richiedente dovrà dimostrare che egli è effettivamente perseguitato nello Stato di provenienza e non sarà sufficiente dimostrare che in tale Stato siano astrattamente negate le libertà democratiche garantite dalla nostra Costituzione. La posizione di coloro che entrano in Italia e hanno diritto alla protezione internazionale si articola in tre punti:

  • lo status di rifugiato, che comporta la titolarità di un permesso di soggiorno e il godimento dei diritti sanciti dalla Convenzione del 1951;
  • la protezione sussidiaria, accordata a chi non possiede requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno (ad esempio pena di morte o tortura). In virtù dell’evoluzione delle norme comunitarie, il contenuto della protezione sussidiaria è ormai sostanzialmente equiparabile a quello concesso ai rifugiati;
  • la protezione temporanea, prevista in caso di afflusso massiccio di sfollati, che ha carattere limitato al soggiorno di un anno e consente di esercitare attività di lavoro subordinato o autonomo.

L’immigrazione è un fenomeno disciplinato dagli Stati che non hanno nessun obbligo di ammettere sul proprio territorio i migranti, in assenza di accordo internazionale. Gli Stati tentano di disciplinare il fenomeno stipulando accordi con i paesi di origine dei flussi migratori.

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Il trattamento degli stranieri

Lo straniero, tranne nel caso in cui goda di un particolare status derivante dal diritto internazionale (come ad esempio la qualità di agente diplomatico), non è titolare di alcun privilegio nello Stato ospite ed è sottoposto alla giurisdizione dello Stato territoriale.

Pur essendo sottoposto alla giurisdizione dello Stato territoriale, lo straniero non è soggetto ai doveri che sono peculiari dello status civitatis. Ad esempio, lo straniero non può essere obbligato alla prestazione del servizio militare, tranne che abbia da tempo la residenza nel territorio dello Stato. Durante la guerra del Vietnam, l’Australia fece leva tra le comunità di migranti da tempo residenti in tale Stato, senza averne acquisito la cittadinanza. La nostra Corte costituzionale ha affermato che gli stranieri, secondo una norma di diritto internazionale generale immessa nel nostro ordinamento tramite l’articolo 10, primo comma, Cost., non possono essere sottoposti all’obbligo di prestare servizio militare poiché occorre impedire il sorgere di situazioni di conflitto con lo Stato nazionale. Al contrario, la prestazione del servizio militare può essere imposta all’apolide residente in Italia, poiché tale conflitto è per definizione escluso. Lo Stato è libero di arruolare come volontari gli stranieri nel proprio esercito, non configurandosi in tal caso la fattispecie di mercenariato. Neppure è ammissibile la sottoposizione a imposte dirette e personali, tranne che vi sia un criterio di collegamento con lo Stato estero, dato dalla presenza del territorio o dalla produzione del reddito.

Anche per quanto riguarda i diritti, lo straniero non può essere parificato al cittadino e pertanto non godrà dei diritti politici connessi alla cittadinanza, come la partecipazione al processo elettorale. Taluni diritti possono essere concessi unilateralmente dallo Stato territoriale oppure in virtù di un accordo internazionale, come accade per l’Unione Europea, in cui cittadini degli Stati membri hanno il diritto di circolare liberamente all’interno di tali Stati.

In caso di arresto, lo straniero ha diritto all’assistenza in giudizio da parte di un difensore e lo Stato ha l’obbligo di informarlo del suo diritto a rivolgersi alla propria autorità consolare.

Lo straniero ha diritto ad allontanarsi dallo Stato di soggiorno, tranne che esista legittimo impedimento, ad esempio abbia commesso un reato.

Le due regole che hanno per oggetto il trattamento degli stranieri sono quelle relative al minimum standard internazionale e al diniego di giustizia.

Per minimum standard internazionale si intende il trattamento che deve essere riservato allo straniero, secondo quello che è lo standard delle nazioni civili. Deve trattarsi di uno standard effettivamente applicato, non è sufficiente che sia astrattamente previsto dal legislatore. Il trattamento dello straniero secondo lo standard nazionale dello Stato territoriale è in genere conforme alla regola del minimum standard internazionale, tranne che l’ordinamento locale non assicuri un minimo di diritti o questi non siano effettivamente applicati.

Il diniego di giustizia ha per oggetto l’accesso dello straniero ai tribunali dello Stato territoriale, egli ha diritto che la sua causa sia udita; qualora gli sia impedito, lo Stato territoriale commette un illecito internazionale nei confronti dello Stato di cui lo straniero è cittadino. Il tribunale locale può respingere la domanda poiché l’oggetto del ricorso non è giustiziabile (ad esempio, in Italia, un ricorso contro un comportamento dello Stato italiano che metta in causa la sua politica internazionale) o perché il convenuto gode di immunità dalla giurisdizione. In questi casi, lo Stato territoriale non è responsabile di un diniego di giustizia. Secondo alcuni, però, una cattiva amministrazione della giustizia, sussiste quando si abbia una sentenza palesemente contraria al diritto; da ciò potrebbe ricavarsi un diniego di giustizia.

Oggi le due nozioni sono, in parte, superate dalle norme in materia di diritti dell’uomo. Per il minimum standard, occorre far riferimento alle norme sui diritti dell’uomo che assicurano a tutti gli individui, cittadini e stranieri, un determinato trattamento, ad esempio il divieto di discriminazione. Per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, questo è ricompreso nel diritto ad un processo equo.

Nell’ordinamento italiano l’articolo 16 delle disposizioni preliminari al codice civile prevede che lo straniero sia ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salvo le disposizioni contenute in leggi speciali. La Corte costituzionale ha statuito che gli articoli 2, diritti inviolabili dell’uomo, e 3, principio di uguaglianza davanti alla legge, si applicano a tutti, italiani e stranieri e che per questi ultimi possa essere ammesso un trattamento differenziato esclusivamente in relazione a situazioni di fatto diverse.

Le persone giuridiche

Per le persone giuridiche valgono, in quanto applicabili, i principi già specificati per le persone fisiche. Lo Stato è libero di ammettere nel proprio territorio le persone giuridiche, salvo gli obblighi derivanti da trattato internazionale. Ciò vale per tutte le categorie di enti, incluse le società commerciali. Il diritto di stabilimento può essere accordato solo con atto unilaterale dello Stato territoriale o mediante trattato. Tale diritto non è generalizzato, ma è circoscritto a determinate categorie di attività economiche.

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Fonti normative:

  • Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati;
  • Convenzione del 1989 sui diritti del fanciullo;
  • art. 10, comma 3, Costituzione;
  • sentenza Corte di Cass., Sez. Un., 26 maggio 1997, n. 4674;
  • sentenza Corte di Cass. 25 novembre 2005, n. 25028;
  • art. 16 disposizioni preliminari al Codice Civile;
  • art. 2, 3 Costituzione
  • Convenzione internazionale dell’Aja del 1930;
  • L. 91 del 1992;
  • caso Mavrommatis del 1924;
  • sentenza sulla Barcelona Traction del 1970;
  • caso ELSI del 1989;
  • Carta dei diritti e doveri economici degli Stati del 1974;
  • Convenzione di Seul del 1985