Il divieto di scienza privata
Si impone al giudice di porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti sulla base del cosiddetto principio dispositivo. Questa situazione va sotto il nome di divieto di scienza privata del giudice. La possibilità di ammettere d’ufficio prove non contraddice la ratio del divieto di scienza privata. Si prevede che, ex art 115 c.p.c., il giudice senza bisogno di prove possa porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Si tratta del cosiddetto fatto notorio cioè del fatto che appartiene alla conoscenza collettiva, ad esempio la data di un evento sismico. Fatti del genere sono provati in se stessi
I canoni di valutazione della prova
Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice deve arrivare ad un convincimento in maniera ponderata (principio del libero convincimento): il significato concreto da attribuire alla prova non è precostituito dalla legge, ma è il frutto di una convinzione del giudice in relazione al caso concreto.
Il giudice può infatti desumere argomenti di prova in generale: dal contegno delle parti nel processo, dal rifiuto ingiustificato delle parti alle ispezioni e dalle risposte che danno le parti.
Un argomento di prova non vale di per sè quale prova, ma funge da elemento di informazione e di integrazione di distinti risultati istruttori.
Il principio del libero convincimento del giudice trova il limite da parte della legge ovvero dalle cosiddette prove legali. Sono prove legali quei mezzi di prova il cui esperimento fornisce piena prova del fatto che ne è già oggetto, ad esempio la confessione, il giuramento è l’atto pubblico.
L’onere della prova
La parte ha l’onere, non l’obbligo, di provare un fatto posto a fondamento della domanda. Se al momento della decisione la parte non ha provato il fatto non si vedrà soddisfatte le proprie pretese. È necessario sapere chi deve provare cosa. L’articolo 2697 c.c. stabilisce che chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne sono a fondamento. Inoltre Il convenuto nel caso in cui faccia eccezione su tali fatti è tenuto a provare tale eccezione. L’attore è tenuto a provare i fatti costitutivi del suo diritto. Se per il giudice tale prova non è sufficiente rigetta la domanda.
Con l’eccezione di merito il convenuto è tenuto a provare i fatti impeditivi, modificativi e o estintivi della domanda dell’attore.
Se il giudice non li ritiene giusti rigetta l’eccezione.
Il giudice rigetta la domanda o l’eccezione per mancato assolvimento dell’onere della prova. È il caso dell’attore che chiama in causa il convenuto perché a suo dire da alcuni suoi lavori ci sono state infiltrazioni d’acqua che gli hanno recato danno. Il CTU conclude che è incerto se effettivamente tali infiltrazioni possono essere considerate la causa scatenante del danno. Per cui il giudice è costretto a rigettare la domanda per mancato assolvimento dell’onere della prova.
Se la domanda viene rigettata perché il convenuto prova il contrario, ovvero di non aver provocato il danno, ma per esempio è l’attore che con altri lavori ha provocato le infiltrazioni non si parla di mancato assolvimento dell’onere della prova ma di accoglimento della prova del convenuto.
Il comma 2 dell’articolo 2697 c.c. spiega che se il convenuto pone una eccezione con un fatto estintivo, modificativo o impeditivo senza provarlo ci sarà il rigetto della eccezione; non sempre, però, con il rigetto dell’eccezione si accoglie la domanda dell’attore. La domanda viene accolta se l’attore prova che i lavori del convenuto hanno creato il danno, la domanda viene rigettata se l’attore non prova il danno, la domanda viene accolta se la eccezione del convenuto non ha avuto modo di contrastare il fatto costitutivo della domanda, la domanda viene rigettata se l’eccezione è coerente e viene accolta.
Se il fatto accolto non è contestato e la linea difensiva tace l’onere della prova non si concretizza: il fatto non contestato si intende riconosciuto. Questa regola è consentita dall’articolo 115 primo comma c.p.c. secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove poste dalle parti, nonché i fatti non specificatamente contestati dal convenuto.
La contestazione nell’atto difensivo non deve essere per forza esplicita ma può essere anche implicita. La posizione di contumacia è considerata come contestazione di tutto ciò che dice l’attore, c’è quindi una forte incongruenza con quanto detto prima, ovvero che il convenuto costituito dovrà stare attento a contestare tutto ciò che dice l’attore. Il convenuto contumace si trova in posizione di favore.
Quindi quando un fatto posto in essere nell’atto di citazione non è contestato dal convenuto su quel fatto non si concretizza l’onere della prova. Il fatto notorio, ad esempio un terremoto, conferma una eccezione dell’onere della prova, in quanto non deve essere provato perché è già certo.
L’onere della prova si concretizza anche per i fatti negativi: il debitore che non esegue la prestazione dovuta. Un metodo consiste nel provare un fatto positivo contrario, ad esempio che non ci sono transazioni di denaro dal debitore all’attore.
Per evitare situazioni problematiche la giurisprudenza ha individuato un criterio, quello della vicinanza della prova: nel caso di controversia tra datore e lavoratore è probabile che il giudice ritenga di far provare un fatto al datore e non al lavoratore perché il primo ha più facilità di accesso a determinati documenti.
Inversione dell’onere probatorio
I criteri di ripartizione dell’onere segnati dall’articolo 2697 c.c. fungono da regola generale ma possono essere derogati da disposizioni speciali di legge ed, entro certi limiti, dall’accordo delle parti. L’articolo 2698 c.c. stabilisce la nullità dei patti con i quali è invertito ovvero modificato l’onere della prova quando: si tratta di diritti di cui le parti non possono disporre, quando l’inversione o la modificazione ha per effetto quello di rendere ad una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
L’inversione è possibile tutte le volte che il diritto controverso è un diritto disponibile e dalla inversione non derivano difficoltà.
L’inversione convenzionale assumerà la forma di una clausola contrattuale.
Talora la legge prevede che non debba essere data prova di un dato elemento della fattispecie legale, il fatto è considerato sussistente fino a prova contraria. Ne segue che, trattandosi di fatto costitutivo l’attore non deve darne prova, se invece si tratta di fatto estintivo, modificativo impeditivo e il convenuto che non deve provarlo. L’esempio tipico è l’articolo 1218 c.c., la responsabilità del debitore. Al creditore basta provare l’inadempimento del debitore, al debitore spetta provare che l’inadempimento è dovuto a fatti a lui non imputabili. Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite. La presunzione legale si risolve in un’inversione dell’onere della prova che prende il nome di presunzione relativa. Al contrario di quella assoluta in cui non si ammette prova contraria.
Il meccanismo presuntivo
Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice traggono da un fatto noto per risolvere un fatto ignoto. Il meccanismo della presunzione è quello di imporre, o giustificare, un giudizio di su un fatto rilevante ai fini della decisione facendolo derivare non dalla prova di esso ma dalla prova di un altro distinto fatto. Il ragionamento presuntivo è consentito anche al giudice. Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale ammette solo presunzioni gravi, precise e concordanti.